A cura di Ilaria Dell’Olio, Andrea Lariccia, Patrizia Morgante, Elena Rotondi 

Orari e carichi di lavoro, precarietà e diritti, contrattazioni e mutamenti legislativi: come cambia il mondo del lavoro? Quanto del ben-essere dipende dal lavoro e perché oggi è così totalizzante e performativo? Nelle pagine che seguono offriamo uno sguardo su alcune nuove sfide, domande aperte, inquietudini. E ci interroghiamo sui cambiamenti prodotti dall’introduzione dell’Intelligenza Artificiale e dall’acuirsi del liberismo nel lavoro. Perché questo sia fuori dalla logica del profitto.

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Quale posto occupa il lavoro nella realizzazione delle persone oggi? Quali conseguenze della continua pressione per la produttività?

 

Francesco ha ventinove anni e da un mese trascorre le sue giornate a letto, con le tapparelle abbassate e il telefono spento. Laureato con il massimo dei voti, si era iscritto a giurisprudenza coltivando il sogno di diventare magistrato. Poi sono arrivati quattro anni di lavoro sotto pressione, in una grande multinazionale. Oggi Francesco vegeta in uno stato confusionale, progressivamente abbandonato alla sua “indolenza” da parenti e amici.

La situazione di Elena, giovane impiegata in una società di consulenza finanziaria, è incredibilmente simile a quella di Francesco. A venticinque anni, Elena trascorre otto ore al giorno in un open space, sotto l’occhio vigile dei suoi superiori. Ogni volta che i risultati di vendita quotidiani non rispecchiano le previsioni dei vertici aziendali, lei e i suoi colleghi vengono aspramente redarguiti. La pressione e la competizione sono incessanti: il tabellone all’ingresso dell’ufficio registra in tempo reale l’ascesa e la discesa dei nomi dei dipendenti, in funzione dei tassi di vendita raggiunti. La posizione nella classifica determina il proprio valore professionale agli occhi di dirigenti e colleghi. Da qualche mese, Elena soffre di attacchi di panico.

Quelle di Francesco ed Elena sono solo due delle tante storie che raccontano un disagio psicologico sempre più diffuso. Un rapporto dell’Osservatorio WellFare ha rivelato che circa il 60% dei giovani lavoratori italiani ha sperimentato disagi emotivi e fisici, per lo più dovuti a esaurimenti nervosi causati dal burnout. Più in generale, secondo il McKinsey Health Institute, uno studio su 30.000 dipendenti in 30 Paesi mostra che, a livello globale, circa due lavoratori su dieci soffrono di questo disturbo.

Questi dati sono il riflesso di una sofferenza silenziosa, chiaro sintomo di una delle tante falle del nostro sistema capitalistico.

Andrea Colamedici e Maura Gancitano, fondatori della scuola di filosofia e Casa editrice Tlon, hanno approfondito questo tema nel loro saggio Ma chi me lo fa fare.

Qui i due autori ripercorrono lo sviluppo storico e culturale del modello lavorativo capitalistico, rintracciandone le origini etico-religiose nel calvinismo dell’Europa del nord, per poi seguirne le linee di sviluppo liberiste fino ai giorni nostri (Colamedici Andrea, Gancitano Maura, Ma chi me lo fa fare, HarperCollins Italia, Milano, 2023).

Come spesso accade, all’origine di molti disagi psicologici si annidano credenze erronee, radicate in profondità, che finiscono per avvelenare l’esistenza di chi le interiorizza. In questo caso, secondo Colamedici e Gancitano, la convinzione dannosa su cui l’ultima generazione sta definendo le proprie scelte di vita riguarda un’interpretazione distorta del ruolo del lavoro nella costruzione dell’identità personale.

Qualifica Autore: avvocato

O anche il diritto al lavoro: brevi orientamenti storici.

  

La conoscenza del mondo del lavoro passa anche dai riferimenti normativi che lo regolano.

In realtà, non serve uno studio tra leggi e cavilli giuridici. È sufficiente osservare l’evoluzione sociale da cui ha preso le forme. Chiediamoci: perché la Carta costituzionale dichiara l’Italia “fondata sul lavoro”?

Fin da giovanissimi riceviamo le prime proposte dai nomi poco chiari e molto variegati: tirocinio, borsa di studio, parasubordinazione, apprendistato, ecc. Il senso di disorientamento rispetto a questa terminologia può accompagnare le nostre esperienze professionali anche per tutta la vita. Ciò non ci impedirà di essere buoni cittadini e lavoratori.

Ci basti sapere che la scienza giuslavorista è convenzionalmente suddivisa tra diritto del lavoro in senso stretto, diritto sindacale e legislazione sociale.

Nel suo complesso, disciplina il rapporto di lavoro per garantire i diritti fondamentali, la sicurezza e la dignità dei lavoratori, anche per gli effetti nelle loro vite individuali e collettive. Non avrebbe senso, per esempio, sancire un vago diritto alla retribuzione, senza prevedere che sia per il lavoratore “in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa” (Cost. art. 36, co. 1).

Eppure, questa sensibilità non esiste da sempre.

L’analisi storica può aiutarci a esplorare le prese di coscienza del passato. Non parliamo di scoperte in laboratorio, come è stato il vaccino per il vaiolo. Né un giorno qualche luminare o statista ci ha concesso l’astensione retribuita per la maternità, la mutua sanità pubblica e le pensioni.

Lo stato sociale è l’obiettivo voluto e costruito dai lavoratori, conquistato per il benessere della comunità.

Il diritto del lavoro è la narrazione di una lotta.

Qualifica Autore: segretaria FLC CGIL Bari Federazione Lavoratori della Conoscenza

Cosa succede alla scuola pubblica e statale italiana?

  

Economia dell’educazione. Se ne parlava già negli anni Sessanta negli Stati Uniti. In Italia abbiamo cominciato con il sistema di crediti e debiti a introdurre una visione economicista dell’istruzione. Arricchendola con l’illusione di poter valutare in termini assoluti la produttività scolastica: oggi, in Italia, le prove INVALSI sono la fonte delle classifiche fra Istituti scolastici e il pretesto per ogni riforma, fra presunti divari Nord-Sud, analfabetismo funzionale, inferiorità della scuola italiana rispetto all’Europa.

Eppure si va avanti con le riforme, blaterando di studenti ignoranti e bulli e docenti vittime impotenti.

Ne derivano alcuni provvedimenti che sembrano “mettere ordine”: la norma sul voto in condotta, i richiami costanti alla coercizione dello studio, all’autorità del docente, sono avvilenti strizzate d’occhio a tempi che abbiamo superato con la fatica dell’approfondimento, dello studio, della consapevolezza, e che bastano un paio di norme a costo zero e una manciata di interviste per distruggere.

Quindi, da un lato si accontentano quelli che vedono la realtà in modo generalista, dall’altro si promuovono i cambiamenti: ma cambiare non vuol dire sempre andare avanti. Solo due esempi degli ultimi mesi. Le Nuove Indicazioni Nazionali (che di fatto elencano i nuovi programmi di insegnamento), lungi dal proporre novità pedagogicamente fondate, parlano di Occidente come unico depositario della Storia, di identità culturale come caratterizzante dell’identità personale, dei talenti potenziali degli studenti. Le Nuove (anche qui) Linee Guida sull’Educazione Civica, già in vigore da quest’anno scolastico, trascurano inclusività, parità, ambiente (su cui si fondavano le precedenti norme di soli 3 anni fa) per sottolineare lo studio dell’inno nazionale, la tutela del patrimonio individuale, la visione personalistica della Costituzione.

Il tutto è portato avanti senza un reale confronto.

Qualifica Autore: già Segretario generale della CISL

Quali metamorfosi attraversano il mondo del lavoro con l’accelerazione tecnologica?

  

Per capire come il lavoro stia subendo una metamorfosi e come sarà profondamente diverso da quello che ho vissuto come operaio tessile e sindacalista, sarebbe necessario ripercorrere l’evoluzione e la trasformazione del lavoro in Italia e in particolare del lavoro industriale e salariale, analizzando le conquiste passate e i valori che le hanno animate per rapportarle alle sfide odierne e future, soprattutto alla costante svalorizzazione umana e sociale del lavoro, al declino del modello industriale manifatturiero e all’avvento della digitalizzazione.

Gli anni della crescita

Negli anni Sessanta e Ottanta, il lavoro salariato in Italia visse una stagione di emancipazione, di riscatto e l’affermazione di una nuova soggettività politica. La fabbrica, simbolo dell’industrializzazione, non fu solo un luogo di produzione ma di trasformazione sociale: milioni di contadini divennero operai, trovando nella solidarietà sindacale una nuova identità. Le battaglie per salari dignitosi, la riduzione dell’orario di lavoro e il diritto allo studio (con le 150 ore per il diploma), l’inquadramento unico tra colletti blu e bianchi portarono i principi costituzionali dentro i cancelli degli stabilimenti e impressero nella società l’idea della solidarietà e dell’uguaglianza.

Qualifica Autore: Segretario generale Filt Cgil Parma Federazione italiana lavoratori trasporti

Il colosso Amazon e lo sciopero possibile. Anzi, riuscito.

 

Logistica. Elogiata in tempo di Covid, spesso vituperata, sinonimo di degrado e sfruttamento.

Interi siti produttivi come nuove favelas industriali. Sfide continue e nuove modalità di contrattazione.

Un algoritmo da governare, Amazon e la sua apparente impenetrabilità. Si, perché per anni il colosso americano è risultato impermeabile ad ogni approccio sindacale, ad ogni tentativo di elevare la posizione dei lavoratori, relegati a schiavi senza un nome né diritti.

L’ultimo miglio cui dare identità e valori, poiché loro, così come i facchini, cosi come gli operatori nella sanità e nel trasporto pubblico locale, hanno garantito che il Paese non crollasse nel 2020.

Ricordo l’esperienza del 2021. Il primo vero sciopero contro quel colosso. L’incognita del successo. Un coinvolgimento dei lavoratori senza precedenti.

Corrieri, rider, autisti: quando tempo di lavoro e rischi non sono proporzionati a retribuzione e tutele.

 

 

Ai microfoni di Mosaico di pace sono intervenuti Francesco Brugnone, segretario generale NIdiL-Cgil Palermo, e Marco, rider di professione.

È opportuno specificare, in prima battuta, il significato dell’acronimo NIdiL, ovvero Nuove Identità di Lavoro, categoria della Cgil che si occupa delle figure lavorative nate dalla fine degli anni Novanta fino ai nostri giorni. Tra queste rientrano le partite IVA, le prestazioni occasionali, i collaboratori coordinati e continuativi, quelli a progetto, fino ad arrivare alle nuove figure di corrieri, definiti rider.

A prendere la parola è Marco, rider palermitano, il quale ci ha spiegato cosa l’ha spinto a intraprendere questo lavoro.

Prima dell’avvento della pandemia di Covid-19 lavoravo come cameriere; a seguito di questo evento, però, sono stati licenziati parecchi/e ragazzi/e, tra questi c’ero anch’io. L’unico impiego che mi avrebbe permesso di guadagnare qualcosa, 20/30 euro al giorno, era proprio il corriere.

Come si svolge la tua giornata lavorativa?

La mia giornata lavorativa ha inizio tra le 11:30/12:00 e termina molto tardi la sera, anche alle 03:00 di notte. Infatti, sono state aggiunte delle ore notturne assurde, che ci espongono a rischi maggiori. Con il guadagno della giornata è possibile coprire soltanto le spese del carburante e il pagamento delle tasse.


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