Qualifica Autore: Fairwatch

Il pensiero di Francesco rispetto alle ingiustizie e alle disuguaglianze.

 

Con le tinte spente dei giorni mesti che hanno seguito la morte di Papa Francesco, gonfi del cordoglio di facciata di alcuni dei più potenti della terra, stridono invece i colori, le musiche e le voci che hanno accompagnato, a Buenos Aires, sua città natale, i cortei improvvisati che si sono generati in alcuni dei barrios più infrequentabili e che si sono rovesciati, scomposti e sconnessi, nei salotti buoni della capitale argentina. Papa Francesco amava gli sgangherati: senza affettazione, senza piaggeria. Erano i suoi principali alleati nell’impresa titanica che si era prefisso: rimettere al centro delle preoccupazioni, del pensare e fare Chiesa, la giustizia sociale.

Non il successo dei meritevoli, il perdono dei penitenti, il premio per il figlio prediletto: la giustizia di Dio, che fa festa per il figliol prodigo e gli fa spazio come se non se ne fosse mai andato; l’attenzione di Cristo per le parole della peccatrice, la rabbia per i mercanti nel tempio, la forza vitale che risuscita Lazzaro, la compagnia, nell’ultima cena, con Pietro e con Giuda, quella, in croce, con i due ladroni. 

Chiesa in uscita

Il pensiero di Francesco rispetto all’ingiustizia che piega il nostro tempo è come se si fosse andato chiarendo negli anni, ma fin dall’esortazione apostolica Evangelii Gaudium del 2013 Bergoglio ripete “ciò che molte volte ho detto ai sacerdoti e laici di Buenos Aires: preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze”. La sua è, fin da subito, “Chiesa in uscita” perché “fuori c’è una moltitudine affamata e Gesù ci ripete senza sosta: ‘Voi stessi date loro da mangiare’” (Mc 6,37).

Chi pensava che questa sarebbe stata una preoccupazione “figurata” da pontefice “terzomondiale”, sarà subito smentito perché Papa Francesco mette in chiaro da subito quali sono le regole d’ingaggio per il cristiano contemporaneo: cambiare il sistema socioeconomico di sfruttamento in cui “il denaro governa invece di servire”, per ricucire la comunità dei “Fratelli tutti” (2020), come li chiamava San Francesco, dove “certe parti dell’umanità sembrano sacrificabili a vantaggio di una selezione che favorisce un settore umano degno di vivere senza limiti” (#18). Un cambiamento radicale rispetto ai suoi predecessori.

Papa Giovanni Paolo II ha affrontato la questione della giustizia sociale con un approccio focalizzato sull’equità distributiva e sul riconoscimento dei diritti fondamentali dell’individuo. Nell’enciclica Centesimus Annus (1991), sottolinea l’importanza di un’economia di mercato che rispetti la dignità umana e promuova il bene comune. “Il mercato, sebbene non possa essere considerato un fine in sé – spiega – è uno strumento che può contribuire al bene comune”. La sua visione rimane ancorata al modello economico capitalista di mercato, senza una profonda integrazione delle dimensioni strutturali, ecologiche o intergenerazionali della giustizia che dovrebbe animarlo.

Giovanni Paolo, infatti, afferma che “se con ‘capitalismo’ si intende un sistema economico che riconosce il ruolo fondamentale e positivo dell’impresa, del mercato, della proprietà privata e della conseguente responsabilità per i mezzi di produzione, della libera creatività umana nel settore dell’economia, la risposta è certamente positiva”. Il socialismo reale di cui ha fatto esperienza in gioventù lo spinge a preoccuparsi, nella Sollicitudo rei socialis (1987) della “soggettività creativa del cittadino” e dello spirito d’iniziativa economica che vengono, a suo giudizio “distrutte dalla collettivizzazione dell’economia e sostituite con le qualità umane opposte della passività, dipendenza, sottomissione all’apparato burocratico...” (# 15).

Criteri

È un radicato bias anti-comunista a portare Papa Wojtyla indietro rispetto alla Pacem in terris (1963) di Papa Giovanni XXIII che, come fattori determinanti della pace, tra i diritti di ordine economico, indicava il “diritto di svolgere le attività economiche in attitudine di responsabilità”, e come “al diritto di proprietà privata sui beni anche produttivi”, fosse “intrinsecamente inerente una funzione sociale”, tale che fosse “in modo speciale messo in rilievo il diritto a una retribuzione del lavoro determinata secondo i criteri di giustizia, e quindi sufficiente, nelle proporzioni rispondenti alla ricchezza disponibile, a permettere al lavoratore e alla sua famiglia, un tenore di vita conforme alla dignità umana” (#10).

Sarà Papa Benedetto XVI ad ampliare il concetto di giustizia sociale, introducendo l’idea dello sviluppo integrale dell’uomo e della solidarietà globale. Nell’enciclica Caritas in Veritate (2009), infatti, afferma che “lo sviluppo deve essere integrale, cioè promuovere ogni uomo e tutto l’uomo”, ma la sua visione rimane centrata su un’etica della carità e della verità, senza una proposta concreta di trasformazione strutturale dei sistemi economici e sociali.

Antropologia situata

Papa Francesco ha introdotto una rivoluzione teologica nel concetto di giustizia sociale, integrando le dimensioni ecologiche, intergenerazionali e relazionali ed elaborando nella esortazione Laudate deum (2023) il concetto di “antropologia situata” che ricolloca l’essere umano al centro dell’universo come parte della creazione, responsabile relazionalmente non soltanto della sua salvaguardia, ma dell’armonia tra tutti gli esseri attraverso la postura e le attività di cura. La povertà, aveva evidenziato nell’enciclica Laudato Si’(2015), “è il risultato di un sistema economico che ha dimenticato la dignità dell’uomo e il rispetto per la natura”. E per questo la giustizia sociale, spiegherà nella Fratelli tutti (2020), “non è solo una questione di distribuzione equa delle risorse, ma implica anche la costruzione di relazioni di solidarietà e di pace”.

Cammini nuovi

La giustizia diventa un cammino di riconciliazione e di costruzione di una società più inclusiva e solidale. Mai come oggi la sua semplice lapide bianca ci chiama all’azione, come mirabilmente ha fatto nella Fratelli tutti: “La storia del buon samaritano si ripete – aveva constatato Papa Francesco –  risulta sempre più evidente che l’incuranza sociale e politica fa di molti luoghi del mondo delle strade desolate, dove le dispute interne e internazionali e i saccheggi di opportunità lasciano tanti emarginati a terra sul bordo della strada. Nella sua parabola, Gesù non presenta vie alternative”, aveva aggiunto (#71). “Le nostre molteplici maschere, le nostre etichette e i nostri travestimenti cadono: è l’ora della verità – ci ha spiegato, senza possibilità di mal interpretare.

Ci chineremo per toccare e curare le ferite degli altri? Ci chineremo per caricarci sulle spalle gli uni gli altri? Questa è la sfida attuale, di cui non dobbiamo avere paura. In questo momento, chiunque non è brigante e chiunque non passa a distanza, o è ferito o sta portando sulle sue spalle qualche ferito”.

 

 

 

 

 

 


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