Il magistero della pace di Francesco attraverso i messaggi per le Giornate mondiali per la Pace.
Un cantiere
Dodici anni di Pontificato offrono molteplici riflessioni. Se si guarda al tema della pace, possiamo parlare di un magistero fecondo e generativo.
Rileggendo i messaggi per la Giornata mondiale della Pace dal 1° gennaio 2014 al 2025, si riscontrano due caratteristiche.
La prima è data dallo stretto legame con la Storia. Il magistero della pace di Francesco risente degli eventi accaduti negli anni di ministero come vescovo di Roma.
Affronta il tema delle migrazioni, fronteggia gli strascichi della crisi finanziaria mondiale del 2007-2008, accompagna la stagione della pandemia, illumina le questioni legate alla crisi ambientale e ai progressi della tecnologia, si concentra sulle drammatiche guerre in Ucraina e in Medioriente.
Non sono stati anni semplici. Tuttavia, l’insegnamento di Papa Francesco è un viatico per la stagione della complessità.
Da qui la seconda caratteristica: questi testi regalano un vocabolario della pace. Lo si evince dai titoli: fraternità, indifferenza, nonviolenza, migrazioni, politica, speranza, dialogo, riconciliazione, conversione ecologica, cura, educazione, lavoro, intelligenza artificiale, remissione del debito. C’è davvero tanto. E c’è il pericolo di perdersi se non si coglie il filo rosso che attraversa una riflessione che ha un chiaro intento educativo.
Da queste due caratteristiche emerge una prima fondamentale conclusione: il magistero di Francesco non semplifica, ma offre strumenti per abitare la complessità.
Il nocciolo della proposta sulla pace è composto di tre passaggi determinanti: dalla globalizzazione dell’indifferenza alla fraternità attraverso il perdono; dalla cultura dello scarto alla cultura della cura grazie all’ecologia integrale; dalla corsa agli armamenti alla nonviolenza passando per l’impegno educativo.
Fraternità
È la questione centrale. I primi messaggi (dal 2014 al 2016) approfondiscono il tema della fraternità, che poi troverà ulteriori sviluppi nell’enciclica Fratelli tutti (FT). La pace è esercizio di fraternità. Siamo tutti fratelli e sorelle, figli dello stesso Padre, amati e voluti da Dio.
Ciò che contrasta e smentisce la fraternità è la “globalizzazione dell’indifferenza”, che crea l’abitudine alla sofferenza degli altri.
Troppe sono le vittime innocenti delle guerre dimenticate, accanto alle persone che ogni giorno muoiono di fame, sono sfollate, vivono nella paura e sono costrette a emigrare.
Il grido di dolore dell’umanità sofferente chiede di essere ascoltato, mentre viviamo un tempo in cui le peggiori disumanità si realizzano nell’indifferenza generale.
Assistiamo a tre livelli di indifferenza: verso Dio, verso il prossimo e verso il creato.
Quando si pensa di non dover nulla a nessuno e l’uomo si sente autosufficiente, ecco che lo sguardo finisce per ripiegarsi nel narcisismo.
L’aumento delle informazioni non significa crescita dell’attenzione verso chi soffre.
L’indifferenza anestetizza e relativizza la gravità dei problemi. “Quasi senza accorgercene, siamo diventati incapaci di provare compassione per gli altri, per i loro drammi, non ci interessa curarci di loro, come se ciò che accade ad essi fosse una responsabilità estranea a noi, che non ci compete” (2016).
L’indifferenza verso il prossimo sfocia nel disimpegno e nell’accettazione delle peggiori scelte di politica economica, capaci di generare ingiustizie, divisioni, violenze e scarti umani. A ciò porta l’esclusiva ricerca del benessere individuale o nazionale.
I nazionalismi sono il veleno della fraternità. Al contrario, “Dio non è indifferente! A Dio importa dell’umanità, Dio non l’abbandona!” (2016). Tale ragione teologica si fonda sulla scelta originaria del Creatore di amare l’umanità.
Per questo l’ha creata e ha affidato all’uomo la responsabilità della fraternità, ossia l’insopprimibile anelito alla comunione. Francesco ha intuito che la famiglia umana è legata a un unico destino ed è chiamata a vivere “la vocazione a formare una comunità composta da fratelli che si accolgono reciprocamente, prendendosi cura gli uni degli altri” (2014).
Lo stesso discepolato in Cristo costituisce una nuova nascita, come mostra san Paolo nella celebre lettera a Filemone, rimandando lo schiavo Onesimo al padrone con la raccomandazione di trattarlo da fratello (2015).
I problemi del nostro tempo, in primis la pandemia, hanno offerto una lezione: “abbiamo tutti bisogno gli uni degli altri” e “nessuno si può salvare da solo” (2023).
Senza fraternità non è possibile uscire da una pandemia. Senza fraternità le nuove tecnologie e l’intelligenza artificiale aggravano le disuguaglianze (2024).
Senza fraternità la politica è chiusura nazionalistica (2019). Senza fraternità c’è sfruttamento del lavoro (2022) e degrado ambientale (2020).
Senza fraternità si costruisce la cultura del nemico e si fomentano schiavitù (2015). Senza fraternità si alimentano i conflitti e si ostacola la pace.
Più volte il Papa ha ricordato in negativo l’episodio biblico di Caino che uccide Abele e, in positivo, la parabola evangelica del buon Samaritano (2016). Torna la domanda: “Sono forse io il custode di mio fratello?” (Gen 4,9). Le radici della pace si trovano nella fraternità.
Non c’è altro sentiero verso una pace duratura. Non saranno né le armi né la deterrenza a garantire l’umanità, ma nuove relazioni improntate sul reciproco riconoscimento.
La speranza risiede in un cammino di riconciliazione che tralascia la tentazione di dominare sull’altro per abbracciarlo come persona e come figlio di Dio: “L’altro non va mai rinchiuso in ciò che ha potuto dire o fare, ma va considerato per la promessa che porta in sé” (2020).
La forza del perdono rimette in piedi le persone e le riabilita a nuovi percorsi di riconciliazione. Si rinvigoriscono le relazioni tra le persone e tra i popoli.
La cura
In molti messaggi è forte la denuncia. Ci sono atteggiamenti che denotano una diffusa cultura dello scarto: la corruzione, il commercio della droga, l’inquinamento, la devastazione dell’ambiente, lo sfruttamento del lavoro, la speculazione finanziaria, la prostituzione, il debito, le forme di schiavitù, l’illegalità, le migrazioni forzate, le condizioni inumane nelle carceri.
Le violazioni della dignità umana minano la pace. Ogni volta che le persone vengono scartate ed emarginate si finisce per rafforzare modelli relazionali iniqui.
Dopo la pubblicazione della Laudato Si’ nel 2015 l’ecologia integrale è divenuta proposta continua, ma era già ben presente nel primo messaggio del 2014: “Siamo spesso guidati dall’avidità, dalla superbia del dominare, del possedere, del manipolare, dello sfruttare; non custodiamo la natura, non la rispettiamo, non la consideriamo come un dono gratuito di cui avere cura e da mettere a servizio dei fratelli, comprese le generazioni future”.
Da qui la necessità di far crescere la cultura della cura. Lo stato di salute precario della casa comune per i cambiamenti climatici, la perdita di biodiversità, l’inquinamento delle acque e dell’aria, lo sfruttamento delle foreste e la distruzione dell’ambiente ci obbligano a riconoscere il peccato ecologico e a prenderci cura del dono che abbiamo ricevuto dal Creatore.
Il compito di “coltivare e custodire” (Gen 2,15) ricorda la responsabilità di ciascuno anche verso il futuro. Occorre convertire lo sguardo perché ci apr iamo “all’incontro con l’altro e all’accoglienza del dono del creato, che riflette la bellezza e la sapienza del suo Artefice” (2020).
Di fronte alle crescenti disuguaglianze serve una bussola che imprima una rotta comune pienamente umana al processo di globalizzazione.
Ciò può avvenire “soltanto con un forte e diffuso protagonismo delle donne, nella famiglia e in ogni ambito sociale, politico e istituzionale” (2021). Se Papa Francesco aveva elogiato i movimenti popolari per il loro protagonismo sui temi del lavoro, della casa e della terra, in modo analogo la pace esige un’apertura di credito a categorie di persone spesso trascurate, come i giovani (2022), le donne (2021), le popolazioni indigene (2020).
Nel 2022 ha scritto: “C’è una “architettura” della pace, dove intervengono le diverse istituzioni della società, e c’è un “artigianato” della pace che coinvolge ognuno di noi in prima persona.
Tutti possono collaborare a edificare un mondo più pacifico: a partire dal proprio cuore e dalle relazioni in famiglia, nella società e con l’ambiente, fino ai rapporti fra i popoli e fra gli Stati”.
Viviamo sfide sistemiche e interconnesse (2025). La filantropia che si limita a donazioni senza mettere in discussione sistemi culturali e strutture non può portare né alla pace né a cambiamenti duraturi. L’ecologia integrale sa ascoltare il grido del povero e della terra, osa connettere questioni ambientali e sociali, opera scelte anche nell’interesse delle future generazioni.
La nonviolenza
La pace esige un ulteriore passaggio dalla corsa agli armamenti all’esercizio della nonviolenza. Le armi seminano morte e violenza.
Francesco ricorda che “finché ci sarà una così grande quantità di armamenti in circolazione come quella attuale, si potranno sempre trovare nuovi pretesti per avviare le ostilità” (2014).
Ciò comporta la scelta del disarmo e di optare per la non proliferazione delle armi nucleari e chimiche. Inoltre, gli investimenti militari disperdono risorse che potrebbero essere utilizzate per finalità più importanti, come lo sviluppo umano integrale, la lotta alla povertà e alla fame, la garanzia dei bisogni sanitari per tutti. Preoccupa la crescita esorbitante delle spese militari. Per questo, nel 2021 e nel 2025 il Pontefice ha rilanciato la proposta presente in FT di costituire un Fondo mondiale per lo sviluppo dei Paesi più poveri. È tempo di realizzare la profezia di Isaia di trasformare le spade in vomeri, soprattutto nell’epoca di tecnologie sempre più devastanti e anonime.
L’IA applicata agli armamenti può favorire “un approccio ancora più freddo e distaccato all’immensa tragedia della guerra” (2024).
I sistemi d’arma autonomi non potranno mai diventare soggetti moralmente responsabili. Inoltre, c’è sempre il pericolo che armi sofisticate finiscano in mani sbagliate, facilitando la follia della guerra, atti terroristici o distruzioni di massa.
“Gli accordi internazionali e le leggi nazionali, pur essendo necessari e altamente auspicabili, non sono sufficienti da soli a porre l’umanità al riparo dal rischio dei conflitti armati. È necessaria una conversione dei cuori che permetta a ciascuno di riconoscere nell’altro un fratello di cui prendersi cura, con il quale lavorare insieme per costruire una vita in pienezza per tutti” (2014).
Inoltre, tra le armi in circolazione da disinnescare vi sono anche “i discorsi politici che tendono ad accusare i migranti di tutti i mali e a privare i poveri della speranza” (2019): le parole al vento della politica che costruisce nemici per salvaguardare se stessa non porteranno mai alla pace perché minano la dignità di ogni persona.
Il sentiero impervio da percorrere è quello della nonviolenza. I processi nonviolenti di costruzione della pace sono i più credibili, perché introducono un disinteresse gratuito.
La violenza, infatti, provoca enormi sofferenze e genera facilmente la sete di vendetta. I signori della guerra desiderano scatenare rappresaglie e far degenerare le relazioni in conflitti letali. “La violenza non è la cura per il nostro mondo frantumato” (2017). Se alla violenza si risponde con la violenza si continua a rimanere nella spirale perversa della guerra che porta alla morte e alla distruzione.
La nonviolenza, invece, è “un modo di essere della persona, l’atteggiamento di chi è così convinto dell’amore di Dio e della sua potenza, che non ha paura di affrontare il male con le sole armi dell’amore e della verità” (2017).
Dunque, la forza delle armi inganna. Esse illudono che la conclusione possa essere vera vittoria. Al contrario, la non violenza praticata ha prodotto risultati in molte occasioni, dall’India di Gandhi alle lotte razziali di Martin Luther King negli USA, dalle donne in Liberia alla caduta dei regimi comunisti in Europa. La non violenza attiva è frutto di un impegno educativo che nasce nella famiglia e si espande nella società. Essa permette di abitare i conflitti senza farli degenerare in guerra, e trasformarli in opportunità di convivenza tra diversi. L’artigianato della pace passa attraverso la costruzione di comunità nonviolente.
Le vie della pace
Papa Francesco ha coniato l’espressione di “guerra mondiale a pezzi” per descrivere i conflitti del nostro tempo. I suoi appelli insistenti hanno trovato nei messaggi destinati a tutti gli uomini di buona volontà una sintesi significativa per la formazione di coscienze artigiane di pace. Bergoglio non si è mai rassegnato alla cultura militaresca che vede nelle armi l’unica soluzione e che fomenta odio e violenza. I suoi dodici messaggi andrebbero letti in parallelo con il magistero non scritto che l’ha portato a Lampedusa e a Lesbo per commemorare i migranti morti in mare, a dialogare con ambasciatori e governanti, a piantare ulivi di pace, ad abbracciare capi religiosi, fino a baciare i piedi di nemici che si sono combattuti per anni. Un’ostinazione fuori misura, radicata nella fede in Cristo. Le vie della pace passano dall’incontro.
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Messaggi per le Giornate Mondiali della Pace
2025 - Rimetti a noi i nostri debiti, concedici la tua pace
2024 - Intelligenza artificiale e pace
2023 - Nessuno può salvarsi da solo. Ripartire dal Covid-19 per tracciare insieme sentieri di pace
2022 - Dialogo fra generazioni, educazione e lavoro: strumenti per edificare una pace duratura
2020 - La Pace come cammino di speranza: dialogo, riconciliazione e conversione ecologica
2019 - La buona politica è al servizio della pace
2018 - Migranti e rifugiati: uomini e donne in cerca di pace
2017 - La nonviolenza: stile di una politica per la pace
2016 - Vinci l’indifferenza e conquista la pace
2015 - Non più schiavi, ma fratelli
2014 - Fraternità, fondamento e via per la pace
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In un tempo dominato dalla cultura dello scarto, di fronte all’acuirsi delle disuguaglianze all’interno delle Nazioni e fra di esse, vorrei dunque invitare i responsabili delle Organizzazioni internazionali e dei Governi, del mondo economico e di quello scientifico, della comunicazione sociale e delle istituzioni educative a prendere in mano questa “bussola” dei principi sopra ricordati, per imprimere una rotta comune al processo di globalizzazione, “una rotta veramente umana”. Questa, infatti, consentirebbe di apprezzare il valore e la dignità di ogni persona, di agire insieme e in solidarietà per il bene comune, sollevando quanti soffrono dalla povertà, dalla malattia, dalla schiavitù, dalla discriminazione e dai conflitti. Mediante questa bussola, incoraggio tutti a diventare profeti e testimoni della cultura della cura, per colmare tante disuguaglianze sociali. E ciò sarà possibile soltanto con un forte e diffuso protagonismo delle donne, nella famiglia e in ogni ambito sociale, politico e istituzionale.
La cultura della cura come percorso di pace
1° gennaio 2021