Qualifica Autore: co-coordinatrice del Forum Disuguaglianze e Diversità

Dal Rapporto Draghi all’Europa di domani: parole chiave, limiti, sfide da affrontare.

 

Nel libro Quale Europa (a cura di E. Granaglia e G. Riva, Donzelli, 2024), prodotto dal Forum Disuguaglianze e Diversità (ForumDD) in occasione delle scorse elezioni europee, sottolineavamo la presenza di almeno tre idee di Unione che si fronteggiavano. Una è quella che ha mosso le attività degli ultimi cinque anni e che, nonostante i passi in avanti compiuti in ambito digitale, ambientale e di autonoma capacità di investimento, resta profondamente segnata dalla cultura neoliberista; l’altra, quella conservatrice-autoritaria, che al neoliberismo aggiunge nazionalismo e corporativismo, giocando «sociale» contro «ambientale», «noi» contro «loro»; infine, l’idea di un’Europa di giustizia sociale e ambientale e di pace che, come ForumDD, promuoviamo.

I primi segnali che arrivano dall’Unione sono decisamente preoccupanti per i sostenitori di questa terza idea. Basti pensare a un’indicazione, largamente trascurata nella discussione pubblica, su cui ci invita a riflettere Luca Jahier (https://euractiv.it/section/economia-e-sociale/opinion/con-un-tratto-di-penna-la-nuova-commissione-cancella-lanalisi-annuale-della-crescita-sostenibile/).

Lo scorso 18 dicembre, la Commissione ha approvato la seconda parte del pacchetto di autunno del semestre europeo, escludendo all’ultimo momento la parte sull’analisi annuale della crescita sostenibile. Tutta l’attenzione è andata alla sola crescita. Così facendo, la Commissione ha cancellato quello che negli ultimi dieci anni è stato il tratto distintivo del semestre europeo, ossia, il prendere congiuntamente in considerazione gli obiettivi di crescita e quelli di sostenibilità, in accordo con l’agenda 2030 dell’ONU. I rischi per il Green New Deal appaiono evidenti.

Ciò riconosciuto, passiamo al Rapporto Draghi, divenuto centrale tra i mandati della Commissione. Come approfondiamo nel documento del ForumDD, il Rapporto presenta una diagnosi ben definita. L’Europa soffre oggi di un forte divario di produttività rispetto agli Stati Uniti, in un contesto in cui i fattori che avevano sostenuto la crescita dopo la fine della guerra fredda – espansione del commercio internazionale, energia a prezzi relativamente bassi e stabilità geo-politica – stanno rapidamente indebolendosi o addirittura sono venuti a mancare. Bisogna allora cambiare passo, investendo nell’innalzamento della produttività grazie all’innovazione e alla diminuzione dei prezzi dell’energia, sostenendo la decarbonizzazione e l’economia circolare e smettendo di fare affidamento sugli altri Paesi per la propria sicurezza. Adottando gli Stati Uniti come modello, si richiede di ridurre le regolazioni e gli interventi antitrust che frenerebbero lo sviluppo dei campioni europei, gli unici in grado di sostenere la concorrenza globale; sostenere gli investimenti in innovazione e in difesa, grazie allo sviluppo delle competenze, al rafforzamento dei mercati finanziari europei e alla commercializzazione della ricerca prodotta dagli enti pubblici, in particolare dalle Università. Certo, negli Stati Uniti, sono cresciute molto le disuguaglianze, ma, sostiene il Rapporto, noi abbiamo il nostro welfare che le può contenere.

Il Rapporto offre diverse indicazioni condivisibili. Basti pensare alle richieste di indebolimento del metodo intergovernativo, che frena il processo decisionale europeo, dando potere di veto ai singoli Paesi; di rafforzamento del bilancio europeo, grazie alla creazione anche di debito europeo; di espansione dei programmi comuni di investimento (sopperendo alla frammentazione e alle diseconomie di scala prodotte dalla proliferazione di programmi nazionali e sub-nazionali). Condivisibili sono pure molte proposte in materia di definizione dei prezzi dell’energia.

Ma i punti critici sono diversi (oltre al sopra citato documento del ForumDD, vedasi i numeri 224, 227, 228 del Menabò di Etica e Economia, https://eticaeconomia.it/).

Primo, se si analizza non solo il PIL pro capite (per neutralizzare la dinamica della popolazione), ma anche il PIL pro capite a parità di potere d’acquisto (per neutralizzare l’apprezzamento del dollaro), il divario fra USA ed EU si attenua fortemente.

Secondo, preoccupano diverse modalità indicate per stimolare la crescita. Preoccupa la creazione dei campioni europei, grandi oligopoli, che alterano i rapporti di potere (sul tema, cfr. J. Stiglitz, Le strade per la libertà, Einaudi, 2024). Maggiore la concentrazione di mercato e maggiore è anche il potere di determinazione dei prezzi (basti pensare a Big Pharma) e quello di influenza delle imprese sulla democrazia (si pensi a Musk). Maggiore è la concentrazione di mercato, inoltre, e maggiore è il rischio di disuguaglianze personali e territoriali. Peraltro, in un mondo globale, neppure vi è la garanzia che i redditi generati restino nei nostri Paesi e i sussidi pubblici non beneficino altri. Preoccupa altresì la torsione dei compiti delle università pubbliche, da luoghi di conoscenza aperta a beneficio di tutti a quelli di conoscenza recintata, grazie a brevetti che ne permettono la commercializzazione. Preoccupa, inoltre, il peso attribuito alla spesa militare e alla ricerca ad essa connessa.

Terzo, la dimensione sociale è fortemente sottovalutata, nonostante il Rapporto guardi al welfare come veicolo di riduzione delle disuguaglianze create dall’economia, nonché di istruzione e di formazione ai fini dell’innovazione e della crescita.

Dimensione sociale

La dimensione sociale è più che questo. Coinvolge la realizzazione di una base di condizioni di vita dignitose che hanno valore in sé, per ragioni di giustizia sociale (e, oggi sempre più ambientale), a prescindere dagli effetti sulla crescita. In questa prospettiva, centrali sono un’infrastruttura di base di servizi di qualità sociale (dalle scuole alle abitazioni; dai servizi sanitari a territori sicuri e ben funzionanti) e l’immissione, anche nell’economia capitalistica, di modalità di relazioni interpersonali rispettose dei singoli e della loro voce, nonché della socialità umana grazie al rafforzamento della democrazia economica, del dialogo sociale e della più complessiva partecipazione.

Nel Rapporto Draghi, invece, il welfare è essenzialmente ancillare all’economia che prescinde dalla dimensione sociale. Detto in altri termini, lo Stato sociale assicura alcune “cose” che aiutano l’economia e poi mercati e imprese sono “liberi” di scegliere, non importa se quella libertà va a discapito delle finalità di giustizia sociale e ambientale. Ad esempio, la direzione dell’innovazione è sostanzialmente lasciata ai mercati, nella sottovalutazione dei rischi di contrasto fra interessi privati e finalità sociali (rischi assai elevati nell’odierno capitalismo molto finanziarizzato). L’innovazione, infatti, può promuovere l’automazione oppure nuove complementarità con il lavoro o, ancor più precisamente, con la qualità del lavoro; può favorire il controllo individuale sui dati oppure il controllo collettivo e una maggiore democrazia. L’intervento in ambito ambientale è limitato alla questione, pur centrale, della decarbonizzazione. Sono trascurate la più complessiva cura del territorio e la dimensione sociale delle misure di adattamento e di mitigazione, dalla mobilità collettiva agli investimenti in progetti collettivi di prevenzione dei disastri ambientali e alla produzione comunitaria decentrata di energia. Ancora, il dialogo sociale è visto soprattutto come strumento per fare accettare le indicazioni del rapporto e, comunque, l’enfasi attribuita alla semplificazione richiamata nel Piano rischia la contropartita della riduzione della partecipazione.

E non è tutto. Anche nella visione ancillare, affidare la riduzione delle disuguaglianze al solo stato sociale rischia di essere un compito irrealizzabile sia per difficoltà tecniche (come per la tela di Penelope, i divari colmati un dato momento ricrescono successivamente) sia perché disuguaglianze economiche elevate potrebbero indebolire il sostegno alla redistribuzione. Esemplificativa è la copertina di un Rapporto dell’Ocse di alcuni anni fa, che riporta la mongolfiera dell’1% più ricco della popolazione che si allontana dalla terra, un luogo cui non sente più di appartenere. Inoltre, come sostengono Hemerijck e Bokhorst, alla crescita serve di più che non solo il contrasto ex post alle disuguaglianze prodotte dai mercati. Serve prevenire il più possibile queste ultime attraverso un investimento sociale a favore dei servizi per i minori e dell’equilibrio fra lavoro e cura.

Sviluppo e migrazioni

Infine, il Rapporto trascura del tutto un tema centrale sia per la crescita sia per la giustizia sociale, il tema delle migrazioni e dello sviluppo globale. Al contrario, congela le relazioni internazionali in “allineati” e “non-allineati e nulla dice circa possibili relazioni di pace e cooperazione con la Cina o di nuove relazioni con l’Africa (citata due sole volte nell’intero rapporto) e con il Sud del mondo.

 

 

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Per approfondire

www.forumdisuguaglianzediversita.org/non-ci-siamo-il-piano-draghi-non-aiuta-leuropa-e-necessario-un-pubblico-dibattito-cittadinanza-e-parlamento-eu-abbiano-un-peso-sul-futuro-dellunione 

www.socialeurope.eu/why-social-investment-holds-the-key-to-delivering-on-the-draghi-report 

 

 

 

 

 

 

 

 


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