Due ragazze di terza media delle scuole delle Marcelline di Bolzano affrontano il male oscuro del conflitto a partire da Gaza ed esprimono il loro disgusto per un mondo senza più anima e senza più futuro.

  

Come iniziare un anno scolastico in un tempo di eccidi, di stermini, di genocidi e di guerra? Rileggendo un classico della letteratura: 1984 di George Orwell. Ho iniziato così le mie lezioni di italiano, in collaborazione con la collega di inglese del mio istituto pluricomprensivo dove insegno a Bolzano, la professoressa Sonia Reilly. Con i ragazzi dell’ultimo anno del liceo linguistico abbiamo lavorato tutto il mese di ottobre per capire l’attualità di Orwell, a 75 anni esatti dalla morte, e per cercare di indagare le distopie di oggi. Ne è venuto fuori un lavoro interessantissimo che sarà pubblicato come dossier su questa rivista nel numero di gennaio. Ma non ero del tutto soddisfatto, perché anche nelle mie due terze medie sentivo il bisogno di aprire un confronto su questi temi e sul tema più ampio della guerra.

E così abbiamo lavorato in parallelo anche alle medie sulla distopia del nostro tempo schiacciato dalle macchine e sulla guerra che toglie il sorriso e tiene bloccati anche ragazzi fortunati delle nostre città, in una condizione permanente di stress, magari impercettibile ma reale, per tutto quello che gli adulti non dicono, ma che comunque loro avvertono profondamente. Così ho proposto a questi ragazzi due tracce per un tema scritto in classe, una sulla società distopica e una sui bambini di Gaza. E ne è venuto fuori un mosaico ricchissimo di voci, sensazioni, idee, rabbie, denunce, paure... Così abbiamo pensato di dare testimonianza con la pubblicazione di due temi di due ragazze di terza B delle scuole medie Marcelline per far emergere la coscienza critica dei ragazzi di scuola media, non più bambini a cui far giungere solo favole e filastrocche, ma ragazzi in divenire capaci di uno sguardo sul mondo.

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La stranezza della guerra

Anna Aufderklamm

Che parola strana la guerra. Si comincia senza fissare la data di scadenza. Ha senso iniziare una cosa di cui non si sa la fine? Forse un vero finale non c’è mai. Perché il “vissero per sempre felici e contenti” non esiste in questo mondo distopico dove le parole significano tutto il contrario di quello che i vocabolari ci fanno studiare a scuola. Non può esistere una realtà in cui la vita conta così poco.

Perché una guerra è come un patto col diavolo. Ti do l’anima ma in cambio cosa ricevo? Altre anime morte condannate, non per scelta, destinate a morire solo perché appartenenti a un certo territorio, religione o colore della pelle. Diamo più di quello che otteniamo.

Chi ha vinto la guerra? Non possiamo definire qualcuno vincitore, perché lo ha fatto barando, passando sopra tutto e tutti pur di ottenere quello che voleva. Il gioco non funziona così. Uccidere bambini e neonati non è vincere. Perché tutti abbiamo il diritto alla vita. Un neonato può definirsi un avversario? Siamo sleali anche in questo.

Non sa neanche il suo nome, come può essere un nemico? Ci sentiamo grandi e grossi, invincibili, ma portiamo solo distruzione e disperazione. Non ci giriamo nemmeno a vedere cosa stiamo causando. Ma lo sentiamo lo stesso. Eccome se lo sentiamo. Sentiamo i pianti, i singhiozzi delle madri che hanno perso i figli e quelli dei figli che hanno perso le madri. Sentiamo il tremolio del terreno mentre un edificio cede e crolla addosso agli altri, come a chiedere aiuto. Sentiamo gli aerei che volano sopra le nostre teste. Sentiamo la pressione rilasciata da una bomba appena esplosa. Le sentiamo tutte queste cose. Ma fingere di essere sordi è più facile.

È più facile lasciare tutto così. È più facile anche alzarci la mattina nella nostra bella Italia e fregarcene di tutto il resto. Perché è così che funziona il mondo oggi. Ognuno guarda sé stesso. Perché non abbiamo il sangue freddo di ribellarci e mettere fine a questo strazio. Tante cose sono più facili, più comode da ottenere. Ma non significa siano quelle giuste da fare. Adesso ce ne stiamo qui tranquilli, a farci i fatti nostri. Quando poi la guerra sarà da noi? Probabilmente chiederemo aiuto ad altri Paesi. Il risultato? Non ci sarà nessuno. O perché sono morti tutti, o perché ci rinfacceranno la nostra assenza quando loro ne avevano bisogno. La guerra. Che parola strana.

È un controsenso totale. Cerchiamo qualcosa e lo otteniamo – se lo otteniamo – con la morte. Se dovessi descrivere la nostra società distopica con una parola direi: “Società ipocrita”. Siamo degli ipocriti perché diciamo tanto che bisogna aiutare, che la guerra non porta a nulla, ma alla fine quelli che fanno la guerra siamo noi. Sì, ipocriti è la nostra parola. Però c’è un’altra parola strana che non capisco. La guerra. Questa sì che andrebbe tolta dai vocabolari del mondo. 

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Nessuna pietà

Giorgia Zandonella

La guerra non ha pietà. Sopportazione. Scrupoli. È la normalità svegliarsi la mattina ricordandosi di un incubo notturno che potrebbe trasformarsi in realtà? È normale vedere i propri cari soffrire, morire in un attimo? Veder sgretolarsi tutto ciò che, con pazienza e costanza, si è costruito giorno per giorno, instancabilmente, dando per scontato che sarebbe andato tutto bene? I bambini, poi, così deboli, che già alla loro età vedono cose che metterebbero sottosopra un adulto, facendolo naufragare nel dolore totale. Come dovrebbero sentirsi questi bimbi? Dovrebbero piangere?

Forse anche loro comprenderebbero che non serve a nulla. Allora, davanti alla loro famiglia, si mostrerebbero forti, positivi, sorridenti e addirittura felici. Eppure, più il sorriso è grande più il dolore è radicale. Chi riuscirebbe a sopportare questo capriccio della vita che gira sempre e comunque intorno al denaro? Ve lo dico io. Nessuno. Perché, a Gaza, se qualcuno sopravvive fuori, dentro è morto da tempo. Da quando ha visto tutto andare in fumo.

Questi bambini dovrebbero però avere gli stessi diritti e la stessa protezione che hanno tutti i bambini nel mondo, come quello all’istruzione, ad avere una casa accogliente, dei vestiti, del cibo, la libertà di muoversi, di vestirsi, di giocare, di ascoltare musica e di dormire. Pure dei privilegi per garantirsi una buona crescita. Loro sono il nostro futuro. Se non facciamo nulla per aiutarli, oltre ai loro grandi sogni, ai loro ardenti desideri che vogliono realizzare, quella fiamma dentro di loro che nessuno spegnerà mai, distruggiamo noi stessi.

Quello che saremo un domani. Le nostre speranze per un mondo migliore. Ma invece di sperare, sognare, immaginare, dobbiamo mettere in pratica i valori che sbandieriamo. Rimboccarci le maniche e riparare, riscrivere un futuro già scritto. Carpe dìem, cogli l’attimo fuggente.

Tra un secolo non potremo aggrapparci al ricordo di ciò che eravamo. Tutto ciarpame. Dobbiamo agire ora, fermare le guerre, ovvero questi pensieri controversi in cui l’avere sempre di più, che sia terra, denaro, armi, potere, determinino la legge del più forte, ossia di colui che comanda, che dà ordini, che impone. Forse vogliono ammirazione? Soggezione? Timore? Caos? Forse vogliono semplicemente ammirare ciò che hanno usurpato ed elogiarsi? Queste menti malate non sanno, però, che chi si vuole espandere troppo finisce per ritrovarsi un misero granello di sabbia in mano.

E forse rendersi conto degli sbagli che ha commesso a volere una situazione del genere. Forse la pace trionferà, forse no, forse ci sarà giustizia, forse solo ingiustizia. Forse vivremo in un mondo migliore, forse in uno peggiore. Non lo sapremo finché non avremo tutti la coscienza puntata in una direzione. Finché non ritorneremo a rilanciare la speranza e l’utopia di un mondo migliore e spegnere la terribile distopia che divora la vita e la storia e lascia sul terreno solo morti e detriti.

Quando riusciremo a distanziarci dal gregge e avere una nostra idea ci sarà la pace. È dietro l’angolo, ma finché non saremo decisi a concluderla, finché non ci renderemo conto che non va tutto bene, che è una cosa seria, continueremo a combattere questa battaglia che è persa a priori.

Facciamo tesoro dei sogni dei bambini di Gaza, curiamo le loro ferite, trasformiamo le tenebre in luce perché alleggerendo questo mondo appesantito e senza futuro che lì urla la pace e la giustizia, noi ridaremo pace anche ai nostri sogni e al nostro futuro. Perché noi siamo gli altri.

 

 

 


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