Qualifica Autore: Campagna BDS

Il movimento BDS: quando i consumi diventano uno stile etico.

 

Perché una sigla – movimento BDS, Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni – fino a poco tempo fa quasi sconosciuta al di fuori del circolo dei sostenitori della causa palestinese, sta diventando comune anche tra i semplici cittadini, che assistono impotenti al massacro di Israele contro palestinesi, causando vittime in grande maggioranza civili, incluse donne e bambini?

La storia

Il movimento Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni è nato da un appello del 9 luglio 2005, un anno dopo che la Corte internazionale di Giustizia dell’Aja aveva emesso un parere negativo sulla legalità del Muro in Palestina”, ritenendo che la sua costruzione costituisse una violazione del principio di autodeterminazione dei popoli, e si era espressa negativamente anche nei confronti dell’annessione forzata di territori e beni altrui: evidente violazione di diritti umani. L’appello fu lanciato da una vasta coalizione di organizzazioni della società civile palestinese (oltre 170 sigle), rivolto alle società civili mondiali perché si esercitassero pressioni e sanzioni nei confronti dello Stato di Israele, che da sempre ignora raccomandazioni e risoluzioni degli organismi internazionali.

Le richieste delle organizzazioni palestinesi sono semplici e comprensibili, e coinvolgono le tre grandi componenti popolari: i residenti dei Territori Occupati, i palestinesi cittadini di Israele (circa il 20 % della popolazione di Israele stessa) e quelli della diaspora mondiale.

In sintesi si chiede:

- Fine dell’occupazione e della colonizzazione israeliana e smantellamento del Muro;

- Fine delle discriminazioni e riconoscimento di uguali diritti ai cittadini arabo-palestinesi di Israele

- Diritto al ritorno dei profughi palestinesi nella loro terra, sancito dalla Risoluzione 194/48 dell’ONU.

La Campagna BDS chiedeva e chiede libertà per i residenti dei territori occupati; uguaglianza per i cittadini palestinesi di Israele e giustizia per i profughi della diaspora, compreso il diritto di tornare nelle loro case previsto dalla Risoluzione 194 delle Nazioni Unite.

Sostenuti costantemente dall’alleato-protettore americano, spalleggiato dagli alleati più fedeli, la classe politica e i governi israeliani si sono sempre fatti beffe delle indicazioni degli organismi sovranazionali, proseguendo imperterriti e impuniti nel progetto sionista di progressivo svuotamento dalla popolazione residente della Palestina storica e sostituendola con immigrati da ogni parte del mondo, che dimostrassero una qualunque discendenza ebraica, spesso fittizia.

Oltre agli obiettivi, anche le caratteristiche del BDS sono state chiarite fin da subito: il movimento internazionale è a guida palestinese (Boycott National Committee - BNC), e vi aderiscono organizzazioni palestinesi, israeliane e internazionali (incluse organizzazioni ebraiche). Il movimento è nonviolento, basato sul rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale, è contro razzismo, fascismo, antisemitismo, islamofobia. Non è contro i cittadini israeliani, ma contro le politiche del loro governo. Il leitmotiv delle richieste e delle caratteristiche del BDS si riassume in “restituiteci i nostri diritti e potremo autodeterminarci”.

La reazione

All’inizio Israele ha ignorato il movimento, pur tenendolo sempre sotto controllo (anche attraverso ricorrenti irruzioni nelle sedi delle associazioni aderenti, sottraendo documenti, danneggiando strumentazione e arrestando gli attivisti). Intanto il movimento cresceva. Anche la leadership politica palestinese, all’inizio, si era dimostrata diffidente, poi ha cambiato idea.

Dal 2009 al 2014, a seguire la “pratica” del boicottaggio è stato Yossi Kupwerwasser, direttore generale del Ministero Affari Strategici: la paura di Israele era la “delegittimazione”, a causa della denuncia delle continue violazioni perpetrate e della violenza contro la popolazione palestinese, specie a Gaza. Il primo ministro Netanyahu, nel 2014 definì la delegittimazione che BDS perseguiva come una “minaccia strategica” per Israele, al pari del programma nucleare iraniano e dei razzi lanciati da Gaza e dal Libano. Vennero, così, adottate leggi contro il BDS, stanziati inizialmente 100 milioni di dollari e utilizzati 200 tecnici informatici e influencer per la lotta anti-BDS sui social; si ricorse a intimidazioni e minacce agli attivisti palestinesi, spionaggio contro attivisti all’estero e attacchi a siti internet.

Ci sono state frequenti ingerenze di ambasciate e gruppi filoisraeliani per impedire le iniziative BDS e sulla Palestina, fino al parossismo tutto teutonico di proibire l’uso di termini quali “apartheid” o l’esposizione di bandiere e simboli palestinesi in Germania. Eppure, il BDS funziona. Grandi imprese internazionali boicottate come AXA, HP, Booking, G4S, Veolia, Orange, Puma e molte altre hanno subito danni economici rilevanti, oltre a quelli di immagine.

In Italia

In Italia la Campagna BDS è stata avviata ufficialmente nell’anno 2009 e vi hanno aderito molte organizzazioni, gruppi e associazioni di diversa estrazione e orientamento. Coerentemente, con l’impostazione originaria, che fa dell’inclusività una caratteristica prioritaria, BDS Italia raccoglie diverse anime e sensibilità: oltre a gruppi locali stabili in circa 20 città, aderiscono associazioni quali Un Ponte per, Pax Christi, Assopace Palestina, Salaam Ragazzi dell’Olivo, ecc.

BDS Italia promuove sia Campagne internazionali, proposte dal Comitato Palestinese BNC, sia altre a carattere più propriamente nazionale o locale. Una recente iniziativa di successo è stata realizzata contro l’accordo (un Memorandum of Understanding molto poco trasparente), siglato tra la multiutility italiana IREN, attiva nel Nord Ovest nella fornitura di acqua-luce-gas e servizi vari, e l’israeliana Mekorot, società di Stato, monopolista nel settore idrico.

Attraverso Mekorot, Israele attua una politica nel settore idrico di tutta la Palestina storica che è stata definita “apartheid dell’acqua” da B’Tselem, associazione israeliana attiva nella difesa dei diritti umani. La sottrazione dell’acqua palestinese e siriana (nel Golan occupato), la fornitura della stessa ai palestinesi a prezzo quadruplo rispetto a quello delle colonie israeliane illegali, e da ultimo il blocco delle forniture di acqua potabili a Gaza, sono tutte azioni di Mekorot. Con iniziative locali nelle principali città fornite da IREN (Torino, Genova, Reggio Emilia, Parma), con proteste e manifestazioni presso le sedi locali, con l’invio di centinaia di lettere di protesta, si è riusciti a fare interrompere l’accordo, che è stato poi annullato. È stata una piccola grande vittoria! Lo stesso è accaduto con la società di abbigliamento sportivo Erreà, che si avviava a sostituire dal 1° gennaio 2025 il marchio Puma come sponsor tecnico della Federcalcio israeliana, azione bloccata dalla protesta spontanea di attivisti e consumatori: la sponsorizzazione è finita prima ancora di cominciare.

Tra le altre Campagne attive in Italia, ricordiamo quella contro Carrefour, società francese della grande distribuzione organizzata che, oltre a commercializzare prodotti israeliani provenienti dalle colonie illegali, vende proprie merci nelle colonie stesse, e si vanta di aver fornito pacchi dono ai militari israeliani che stanno massacrando i palestinesi a Gaza.

La Campagna ha portato a un primo importante successo internazionale, ovvero il ritiro di Carrefour dai mercati della Giordania e dell’Oman.

Due campagne avviate di recente, tutte italiane, sono quelle contro la presenza di prodotti israeliani nei supermercati Coop: sono state raccolte migliaia di firme e inviate lettere di protesta da parte di soci Coop ai responsabili dell’azienda, ma fino ad oggi non hanno avuto una risposta adeguata. La Campagna è attualmente estesa anche agli altri marchi della Grande Distribuzione organizzata.

Da ultimo ricordiamo l’iniziativa contro l’industria TEVA, multinazionale israeliana del farmaco generico, che trae profitto dalla occupazione militare israeliana dei Territori Palestinesi per il sistema di costrizione e limitazioni che strangolano l’economia palestinese, inclusa l’industria farmaceutica locale, un tempo fiorente.

La Campagna di BDS Italia, condivisa con l’organizzazione “Sanitari per Gaza” è rivolta ai consumatori, ma anche ai medici di base, ai farmacisti e ai responsabili dei centri di acquisto dei farmaci.

 

 

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Per informazioni:

www.bdsitalia.org 

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