Questa intervista a Maria Mercedes Rossi esprime la forza etica della Comunità Papa Giovanni XXIII, con il suo spirito giovanile, che traspare camminando insieme a una medica missionaria consacrata, sessantenne, orgogliosa degli insegnamenti ricevuti da don Oreste Benzi, in processo di beatificazione. Mara viene per la prima volta in Colombia, visita le zone contadine della comunità di pace di San Jose de Apartado, che coltivano il cioccolato biologico che hanno consegnato anche nelle mani di Papa Francesco.
Impressiona la sua autorevolezza e forza morale; con i suoi report sveglia le coscienze dei 200 Stati accreditati davanti al sistema delle Nazioni Unite a Ginevra, voce dei popoli vittime della violazione sistematica dei diritti umani e dei diritti Desc, economici, sociali, culturali.
Mentre a Roma, la fondazione Fratelli Tutti (promossa da Papa Francesco) unisce tutto il mondo ecclesiale per proporre con forza il “Ministero della Pace”, parallelamente a Bogotà lanciamo questa proposta che potrebbe contribuire attivamente alla soluzione del conflitto armato colombiano, dopo che il presidente progressita Petro ha chiesto al Papa Prevost la mediazione del Vaticano per raggiungere accordi di pace con la guerriglia dell’Esercito di Liberazione Nazionale Eln.
Maria Mercedes Rossi è membro dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII (Apg23) dall’età di 17 anni. Dal 2009 è la sua rappresentante alle Nazioni Unite di Ginevra e New York. Nel 1988, è partita come medico missionario per lo Zambia dove ha prestato la sua opera per 20 anni presso la diocesi cattolica di Ndola, nel programma di assistenza domiciliare per le persone con l’Aids. È coautrice dei libri “A missing piece for Peace" (Upeace Press, 2022) e “Guarire fino in fondo, nella giustizia la lotta all’Aids” (Emi, 2004).
Dopo 20 anni come medico missionaria in Africa, come arrivi a Ginevra?
Ora sono da sedici anni a Ginevra a rappresentare la Comunità Papa Giovanni XXIII alle Nazioni Unite e portare avanti l’azione di advocacy, cercando di essere voce di chi non ha voce. E’ stato un salto enorme il passare dai sobborghi poverissimi della città di Ndola e dai sorrisi della povera gente dello Zambia, ai palazzi lussuosi di Ginevra e al mondo dei diplomatici.
Don Oreste Benzi ci diceva sempre che è importante essere presenti nelle stanze dei bottoni e portarvi la voce dei poveri. Le Nazioni Unite, anche se hanno bisogno sicuramente di essere riformate, sono l’unica istituzione super partes dove gli Stati del mondo possono dialogare e prendere decisioni che poi dovrebbero passare nelle legislazioni nazionali. Non è facile incidere in tale ambiente, ci vuole tanta preparazione, studio, lavoro certosino, tanta pazienza nel fare avanzare la giustizia a piccoli passi secondo i tempi della diplomazia; i risultati che si ottengono incidendo sulle risoluzioni e i rapporti del Consiglio dei Diritti Umani o altri meccanismi in cui siamo presenti, avranno un effetto benefico sulla povera gente solo quando gli Stati membri trasferiscono i contenuti di tali risoluzioni nelle loro legislazioni nazionali, ma sicuramente vale la pena esserci e occorre sostenere tale istituzione.
Come fate pressione politica di fronte ai 200 stati di tutto il Pianeta, accreditati al sistema delle Nazioni Unite di Ginevra?
Il nostro cavallo di battaglia a Ginevra è il Diritto allo sviluppo. «Tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti» recita l’articolo 1 della Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo. Inoltre, l’articolo 28 precisa che ogni persona ha diritto ad un ordine sociale e internazionale nel quale tutti i diritti e le libertà possano essere pienamente realizzati. Tale ordine mondiale deve essere necessariamente pacifico perché l'instaurazione di una pace duratura è condizione per il rispetto dei diritti umani, così come la violazione dei diritti umani è minaccia alla pace.
Da qui trae forza l’idea della pace come diritto. Per questo facciamo in media dieci interventi orali a sessione. Le sessioni specifiche sui diritti umani sono a metà febbraio, a giugno e settembre. Ci occupiamo dei diritti dei bambini, famiglia, salute, educazione, il diritto alla vita sin dal concepimento. Poi seguiamo, più in generale, per tutti il diritto alla salute e l’accesso ai farmaci, il diritto all’acqua e al cibo. Siamo leader come ONG nei diritti di solidarietà, quindi il diritto allo sviluppo e alla pace. Ci battiamo per i migranti, contro il traffico degli esseri umani. Monitoriamo l’avanzamento dei goals dell’Agenda 2030… ne facciamo tante. Raccogliamo le sollecitazioni che ci vengono dalla comunità e dalla società civile nei 40 Stati a livello internazionale dove lavoriamo costantemente. L’obiettivo finale è deliberativo, ovvero andare a condizionare realmente le decisioni degli stati membri… Il prodotto delle sessioni del Consiglio dei diritti umani dell’Onu sono le risoluzioni. Gli Stato fanno dei negoziati e le risoluzioni vengono approvate alla fine del Consiglio o per consenso oppure per votazione. Hanno l’obbligo di aprire le negoziazioni alla società civile: noi. Con i nostri interventi abbiamo inciso sulle risoluzioni inserendo nei testi alcuni capitoletti. È successo in particolare per le risoluzioni su hiv e aids, sui diritti dei bambini, sul diritto allo sviluppo.
Richiede molto studio… Dobbiamo leggere tutti i rapporti che vengono pubblicati e quindi dire la nostra, fare proposte e così via. Lo scopo è sensibilizzare i diplomatici delle varie missioni.
Ho partecipato per tre mesi all’organizzazione di Arena di Pace, l’incontro dei movimenti popolari italiani con Papa Francesco avvenuto a Verona il 18 maggio 2024, dove abbiamo diffuso la proposta del Ministero della Pace, lanciata da APG23 nel 2017, che è sostenuta anche da Papa Francesco, come documentato nel libro “Ministero della pace. Una proposta di futuro”, scritto da Laila Simoncelli, edizioni Sempre, 2024. Perchè don Oreste Benzi ha ispirato questo strumento politico del Ministero della Pace?
Da diversi anni lottiamo per il Ministero della Pace in ogni Paese. Lo proponiamo qua in Italia e a tutte le Nazioni Unite. Don Oreste ripeteva spesso: per secoli gli uomini hanno organizzato la guerra, è venuto il momento di organizzare la pace. Per questo, per esempio, ai tempi della guerra in Jugoslavia è nata Operazione Colomba, il corpo non violento civile di pace. Per sensibilizzare sul tema abbiamo organizzato interventi laterali durante le sessioni del Consiglio o in altri eventi Onu, momenti che si svolgono parallelamente alla sessione plenaria”.
Il 19 dicembre 2016 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato la nuova Dichiarazione sul diritto umano alla pace affermando che «ogni individuo ha il diritto di godere della pace in modo che tutti i diritti umani siano promossi e protetti e lo sviluppo sia pienamente realizzato».
Finalmente la pace è stata sganciata dal solo concetto interstatale della sicurezza e messa in relazione col rispetto dei diritti umani e con lo sviluppo, legittimando ulteriormente il concetto di una pace positiva basata sulla giustizia sociale che contrasta la violenza strutturale.
La Comunità Papa Giovanni XXIII, attraverso l’ufficio di rappresentanza alle Nazioni Unite di Ginevra, ha avuto un ruolo molto attivo per il riconoscimento del diritto alla pace, ed è tuttora tuttora impegnata a tradurre in realtà questo diritto umano promuovendo la creazione di adeguate infrastrutture per la sua implementazione, prima fra tutte, un Ministero della Pace in ogni nazione.
Il gesuita Francisco de Roux, ha sollecitato al governo colombiano, l’implementazione di un nuovo ministero della pace come attuazione delle raccomandazioni della Commissione della Verita. Nel dicembre 2023, tu hai lanciato il Ministero della Pace a livello mondiale, vero?
Incoraggiamo ogni Stato a istituire un’infrastruttura nazionale sostenibile per la pace, vale a dire un Ministero della Pace, che mira al rispetto, alla protezione e alla promozione dei diritti umani, a promuovere la risoluzione pacifica delle controversie all’interno degli Stati, a una cultura ed educazione alla pace, alla prevenzione della violenza e dei conflitti. Infine, suggeriamo di creare un Relatore Speciale sul diritto alla pace.
Dopo aver denunciato le numerose violazioni che subiscono milioni di vittime in questo tempo di crisi globale, abbiamo bisogno di una solida riforma del Consiglio di Sicurezza che, così come è ora, paralizza le iniziative di pace delle Nazioni Unite e abbiamo bisogno della creazione di “misure sostenibili adeguate” per l’attuazione del diritto.
Durante la 55a Sessione ordinaria del Consiglio dei Diritti Umani - organismo intergovernativo all’interno del sistema delle Nazioni Unite per la promozione e la difesa dei diritti umani – l’Alto Commissario per i Diritti Umani, Volker Türk, ha sottolineato come le crisi e i numerosi conflitti che l’umanità sta affrontando stiano «dividendo il mondo e sconvolgendo le speranze di soluzioni multilaterali», richiamando con forza l’importanza di affermare sempre di più il diritto alla pace. «Il diritto alla pace è la madre di tutti i diritti umani. Senza pace, tutti gli altri diritti vengono annullati. È urgente individuare modalità per contrastare … la paura e l’illogicità dell’escalation di odio e ostilità. Dobbiamo ritrovare una mentalità di pace».
Che impressione hai avuto dell’incontro del Presidente progresista Petro con la comunita di pace San Jose de Apartado che l’operazione Colomba accompagna come interposizione non violenta?
Questo atto di perdono del presidente Petro non è solo simbolico: rappresenta un passo concreto verso la giustizia e la riconciliazione nazionale. In un Paese segnato da decenni di conflitto armato, impunità e negazione delle vittime, il riconoscimento delle colpe dello Stato e le scuse pubbliche costituiscono una rottura con il passato e un segnale di cambiamento. La Colombia, infatti, ha spesso faticato a fare i conti con le proprie responsabilità istituzionali, soprattutto nei confronti delle comunità rurali più colpite dalla violenza.
Il presidente Petro ha sottolineato il ruolo fondamentale della Comunità di Pace nella costruzione della sovranità, della pace e del disarmo civile, riconoscendo il valore della loro esperienza come modello per un futuro diverso”.
Hai conosciuto da molto vicino, com’era don Oreste Benzi?
Per noi è già un santo. Tutti lo vedono soprattutto come un prete sociale e lo è stato perché nella sua vita ha fatto delle battaglie enormi per la giustizia. Però, di fatto, don Oreste era un innamorato di Dio, della Chiesa, dell’umanità. Era un mistico fondamentalmente. Pregava tantissimo. Quando tornava a casa, anche di notte tarda, non saltava mai l’adorazione. Era, inoltre, un uomo che trasmetteva gioia, quella gioia continua che scaturisce dal fatto di essere sempre in unione con Gesù. Lo percepivi.
Era la sua gioia… e questa sua passione di fare cieli nuovi e terre nuove, di rivelare il regno di Dio già in mezzo a noi, anche nell’impegno per la giustizia, per rimuovere le cause che producono emarginazione e povertà.
La condivisione con gli ultimi, che cerchiamo di vivere come comunità, contiene in sé la giustizia, ma bisogna anche arrivare a rimuovere le cause dell’emarginazione e della povertà”.
Bisogna impegnarsi nel percorrere anche altre strade, probabilmente… “In casa famiglia accogli i ragazzi tirandoli fuori dall’istituto. Ma realisticamente puoi accoglierne una decina… poi ce ne sono migliaia che rimangono dentro gli istituti. Come si fa a dare una famiglia anche a questi? Don Oreste aveva molto chiaro che doveva intervenire la politica.
Concludiamo questa intervista, domandandoti a che punto siamo oggi nella difesa dei diritti umani?
Nonostante i progressi compiuti, le violazioni dei diritti umani continuano ad essere diffuse in tutto il mondo. Milioni di persone in fuga che cercano rifugio in Paesi stranieri, spesso affrontano ostilità o trovano la morte. In molte parti del mondo le persone sono private dei diritti economici e sociali basilari, mentre le comunità più vulnerabili subiscono l’impatto dei cambiamenti climatici in modo sproporzionato, e l’attuale conflitto in Ucraina ha riportato un clima di guerra fredda tra Occidente e Oriente.
Dall’Osservatorio geopolitico previlegiato in cui mi trovo, le Nazioni Unite di Ginevra, constato come stia aumentando il divario ideologico e culturale fra gli Stati Membri, con la tendenza a selezionare alcuni diritti a scapito di altri, promuovendo, soprattutto da parte dei Paesi ricchi e occidentali, i cosiddetti “nuovi diritti” come ad esempio il diritto all’aborto (che non esiste) o i diritti di alcune categorie di persone.
Il Brasile di Lula e Colombia di Petro, con il supporto dei paesi non-allineati, stanno sfidando USA, Europa e il blocco occidentale: non accettiamo che il diritto allo sviluppo e alla pace siano optional!.
Dobbiamo avanzare nella priorità dei cosiddetti diritti di solidarietà, quali il diritto allo sviluppo, alla pace, a un ambiente sano, e far riconoscere il diritto di solidarietà internazionale. Per realizzare davvero un mondo più giusto e solidale.