“Non è questo il tempo in cui continuare a fabbricare e trafficare armi, spendendo ingenti capitali che dovrebbero essere usati per curare le persone e salvare vite”. Le parole del Messaggio di Pasqua di papa Francesco lo scorso 12 aprile, nel mezzo dell’emergenza da Covid-19, sembrano cadute nel vuoto dell’indifferenza della politica.
Mentre, infatti, in tutto il mondo la pandemia mieteva centinaia di migliaia vittime e i governi cercavano mascherine, respiratori polmonari e apparecchi sanitari, gli stessi governi continuavano a spendere miliardi nella nuova corsa agli armamenti: nel 2019 sono stati spesi nel mondo più di 1.917 miliardi di dollari per gli apparati militari, una cifra mai così alta dalla fine della guerra fredda.
La contraddizione riguardava – e riguarda tuttora – anche l’Italia. In piena pandemia, il 2 aprile scorso, veniva annunciata la fornitura alla Marina Militare di due nuovi sottomarini di tipo U-212 per 1,3 miliardi di euro con l’opzione di altri due per un spesa totale di 2,3 miliardi di euro. E la legge di Bilancio, presentata al parlamento a fine dicembre, prevede una spesa militare di 24,5 miliardi di euro di cui ben 6 per l’acquisto di nuovi armamenti.
Di fronte a questo increscioso scenario, lo scorso 9 luglio, in occasione del trentesimo anniversario dell’entrata in vigore della legge n. 185 del 1990 che ha stabilito “Nuove norme sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento”, Missione Oggi, Mosaico di Pace e Nigrizia hanno deciso insieme al movimento Pax Christi di rilanciare due iniziative: la Campagna di pressione alle “banche armate” e la Campagna “Tesorerie disarmate”.
Promossa nel 2000, in occasione del Grande Giubileo della Chiesa cattolica, la Campagna “banche armate” ha svolto in questi anni un’importante azione di informazione e di sensibilizzazione sulle attività delle banche in questo controverso settore. Data la necessità di finanziamenti e servizi da parte delle aziende armiere, gli istituti di credito ricoprono infatti un ruolo fondamentale: diverse banche sono azioniste delle principali aziende militari, concedono prestiti, anticipi e fidi per la produzione di armamenti e svolgono operazioni di pagamento e di incasso, molto spesso con ampi compensi di intermediazione, nella compravendita di sistemi militari. Proprio per questo, fin dall’inizio la Campagna “banche armate” ha chiesto a tutte le banche italiane ed estere di emanare, nell’ambito delle proprie politiche di responsabilità sociale d’impresa, delle direttive rigorose e trasparenti circa la loro attività nel settore degli armamenti.
Nel corso di questi anni, grazie all’azione di numerose associazioni e di tanti correntisti, la Campagna ha ottenuto importanti risultati: quasi tutti i maggiori gruppi bancari italiani si sono dati delle regole, spesso limitando ai soli Paesi alleati dell’Unione Europea e della Nato le operazioni bancarie per l’esportazione di sistemi militari, e alcune banche hanno deciso di non concedere servizi al settore degli armamenti.Negli ultimi anni, però, sono emersi tre problemi quanto mai preoccupanti. Innanzitutto la tendenza da parte dei governi a incentivare le esportazioni di sistemi militari anche a Paesi verso cui sarebbero vietate (Paesi in stato di conflitto armato, i cui governi sono responsabili di gravi violazioni di diritti umani e la cui politica contrasta con i principi dell’articolo 11 della Costituzione, ecc.) e, contemporaneamente, il graduale allentamento da parte di diversi istituti di credito delle rigorose direttive che avevano emesso alcuni anni prima allo scopo di poter finanziarie e offrire servizi bancari anche a aziende che producono ed esportano armamenti a Paesi ricchi di risorse energetiche, ma pesantemente coinvolti in conflitti e violazioni. Tutto questo è stato favorito dal progressivo indebolimento della trasparenza della Relazione governativa e dalla costante mancanza di controllo da parte del Parlamento.
Negli ultimi quattro anni i principali acquirenti di sistemi militari italiani sono stati, infatti, i Paesi dell’Africa settentrionale e Medio Oriente a cui i governi italiani hanno autorizzato l’esportazione di materiali militari per quasi 17 miliardi di euro, pari al 51,2% del totale delle licenze rilasciate (33 miliardi di euro). Tra questi Paesi spiccano le monarchie assolute islamiche della penisola araba (Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman), diversi Paesi del bacino sud del Mediterraneo (Egitto, Algeria, Israele, Marocco), ma anche vari regimi autoritari dell’Asia centrale (Turkmenistan e Kazakistan) e le nazioni dell’Africa sub-saharaiana (Kenya, Angola, Nigeria, Camerun, Chad, Congo). Si tratta di esportazioni finanziate e favorite da diversi gruppi bancari italiani ed esteri le cui specifiche operazioni sono oggi, a differenza di alcuni anni fa, impossibili da rintracciare nella Relazione governativa.
La Campagna ha fatto appello, innanzitutto, alle comunità cristiane (diocesi, parrocchie, istituti religiosi, ecc.) per chiedere di verificare le banche di cui sono clienti ed anche di rinunciare a donazioni provenienti da istituti di credito che sostengono l’industria e il commercio di armamenti. Un’azione che intende offrire uno specifico contributo all’attuazione delle rilevanti indicazioni che la Conferenza Episcopale Italiana ha emanato nel documento sulla gestione delle risorse finanziarie con criteri etici di responsabilità sociale. (cfr tabella allegata)
Le tre riviste inoltre invitano altre riviste e tutti gli organi di informazione a farsi co-promotori della Campagna e i singoli correntisti ad interpellare la propria banca. Una specifica lettera-modello per gli enti religiosi, per le associazioni e per i media, oltre che per i singoli cittadini, è disponibile sul sito della Campagna (www.banchearmate.org) nel quale si possono trovare indicazioni anche per promuovere a livello locale la Campagna “Tesorerie disarmate”.
La Campagna continuerà, insieme con la Rete italiana pace e disarmo, la propria azione anche nei confronti del Governo e del Parlamento per un maggior controllo delle esportazioni di sistemi militari e per una maggior trasparenza della Relazione governativa. In proposito va segnalato che lo scorso luglio la Commissione Affari Esteri della Camera ha deciso di esaminare la relazione sulle esportazioni di armamenti: alle audizioni sono stati invitati anche gli esperti della Rete italiana pace e disarmo e dell’Osservatorio OPAL che hanno messo in luce i gravi problemi che generano le esportazioni di sistemi bellici e di armi leggere nelle zone di tensione e a governi che violano i diritti umani. Nel frattempo in alcuni Consigli comunali sono state presentate ed approvate mozioni una tesoreria disarmata. Segnali incoraggianti per cominciare a realizzare, dal basso, l’appello pasquale di papa Francesco [Ne daremo notizia sul sito e in prossimi articoli].
LA CHIESA ITALIANA, L’ECONOMIA E LE ARMI
La Conferenza Episcopale Italiana ha emesso lo scorso 20 febbraio un importante documento dal titolo “La chiesa cattolica e la gestione delle risorse finanziarie con criteri etici di responsabilità sociale, ambientale e di governance”, per guidare le attività delle diocesi, parrocchie ed enti religiosi nel settore economico. “Oltre che doveroso, oggi è concretamente possibile indirizzare in modo etico le attività economiche e finanziarie. Ciò rappresenta per gli Enti di natura religiosa una sfida e un’opportunità” – scrivono i vescovi nell’introduzione. Significativi i paragrafi sugli armamenti: i vescovi invitano le comunità cristiane non solo ad escludere “l’investimento in imprese impegnate nella produzione di armi non convenzionali, come armi biologiche e chimiche, armi nucleari, armi di distruzione di massa, mine antiuomo” (4.3.1) ma, richiamando l’impegno a “limitare la produzione di armi allo stretto indispensabile”, invita ad “individuare processi di conversione delle capacità produttive di armi in altre produzioni ad usi non militari” (4.2.3).
I primi 15 Paesi extra UE-Nato destinatari delle Autorizzazioni all’esportazione di armamenti italiani negli anni 2016-2019
Paesi |
Valore in milioni di euro correnti |
Percentuale sul Totale |
Kuwait |
7.712 |
23,4% |
Qatar |
6.502 |
19,7% |
Pakistan |
972 |
3,0% |
Egitto |
955 |
2,9% |
Arabia Saudita |
598 |
1,8% |
Turkmenistan |
487 |
1,5% |
Emirati Arabi Uniti |
399 |
1,2% |
Australia |
369 |
1,1% |
Algeria |
365 |
1,1% |
Corea del Sud |
288 |
0,9% |
Brasile |
219 |
0,7% |
Kenya |
210 |
0,6% |
Thailandia |
172 |
0,5% |
India |
164 |
0,5% |
Indonesia |
130 |
0,4% |
Bangladesh |
112 |
0,3% |
Angola |
96 |
0,3% |
Oman |
89 |
0,3% |
Malaysia |
87 |
0,3% |
Marocco |
84 |
0,3% |
Totale Primi 15 Paesi |
20.010 |
60,8% |
Altri (UE-Nato inclusi) |
12.919 |
39,2% |
TOTALE |
32.929 |
100,0% |
Fonte: Relazione della Presidenza del Consiglio (vari anni)
Giorgio Beretta è Analista della Campagna di pressione alle “banche armate”
Info: www.banchearmate.it