Seminario del 28 Maggio 2016 a Roma: relazione introduttiva per stimolare un confronto tra i partecipanti
Come ben si sa da tempo immemorabile il rapporto tra il denaro (che oggi facciamo rientrare nel concetto di finanza) e il pensiero umano (che è stato praticamente quasi sempre religioso) è costantemente stato difficile, se non addirittura ambiguo; non è quindi un caso se le religioni se ne sono occupate, così come – per certi versi – la filosofia.
Infatti, se il denaro è stato considerato solitamente un utile strumento, il suo accaparramento e la sua capacità di catturare il “cuore” umano sono stati visti come effetti patologici (ma al tempo stesso quasi inevitabili) nella cosiddetta vita vissuta.
Riporto qui di seguito alcuni esempi che possono confermare ciò fin dall'antichità:
- In Aristotele (Etica Nicomachea e Politica) vi è la distinzione tra Economia e Crematistica (all'interno della quale vi il tema della sterilità del denaro e dell'usura). In altri autori/filosofi vi sono altre riflessioni (ad esempio Tucidite), così come per molti scritti della Patristica.
- Le sacre Scritture (Bibbia – Nuovo ed Antico testamento –, Corano, Bhagavadgĭtă, Atharvaveda, Abhhinavagutta, Tao-tê-ching e Zhuang-zi, Analecta, La Grande Dottrina, Il Giusto Mezzo e Mencio, Tao-tê-ching, Aśvaghoşa, Pali Tripitaka, Ãria Śūra, Nāgārjuna, e così via) trattano molto ed approfonditamente – in vari modi e contesti – di “denaro” e di “Economia” e di come bisogna approcciarsi ad essi.
- Numerosi detti romani (“Pecunia si uti scis ancilla est, si nescis domina”), ebraici (“La strada più lunga è quella che va dal cuore al portafoglio”), islamici e orientali trattano spessissimo il rapporto con il denaro e cercano di orientare l'ascoltatore in modo virtuoso.
Tuttavia, e malgrado le buone intenzioni, l'avidità e l'egoismo umano hanno sempre avuto la meglio sul buonsenso. Le teorie economiche, poi, che si sono venute costituendo a cominciare dalle tesi dei fisiocratici, hanno basato molto del loro pensiero sui termini quali virtù, felicità, prudenza, bene comune e così via; tuttavia ciò è durato poco e con l'avvento dell'utilitarismo si è spostato il “tiro” sull'egoismo (si legga l'ottimo ultimo lavoro di S. Zamagni: Prudenza. Ed. Il Mulino 2015).
Da lì, con l'affermarsi del non tuismo, si è dato spazio in modo universale al concetto di business is business che è penetrato in quasi ogni persona del mondo come attività prioritaria, facendo passare in maniera subordinata i concetti economici espressi nelle religioni addirittura cominciando dagli stessi loro ministri e creando non poco sconcerto nel popolo dei fedeli.
La situazione odierna non solo non fa eccezione, ma è ancora più complessa e complicata di una volta. La finanziarizzazione dell'Economia (nuovo paradigma economico che ha contagiato tutti con la facilità in cui si creava arricchimento – ma non ricchezza, come si è visto) ha fatto aumentare la ricchezza complessiva del pianeta, ma solo in mondo virtuale con una situazione insostenibile, come ci ricorda la relazione della Ong Oxfam del 18 Gennaio 2016 in cui si evince che l'1% più ricco della popolazione mondiale detiene più risorse del resto del Mondo.
Non solo: un certo scoramento, quasi un nichilismo di massa, sta percorrendo in modo traversale un po' tutte le popolazioni del mondo e le religioni di riferimento sembrano essere afone e senza mezzi per contrastare ciò, malgrado le forti prese di posizioni di alcuni leader come Papa Francesco.
Ma ciò ha riflessi “concreti” nelle persone?
Eppure sappiamo benissimo, come economisti, politici ed elettori, cosa fare; lo “sente”, più che “sa”, la gente comune che avverte che gli stati di guerra, di terrorismo, di ambiente degradato, di migrazioni (spesso tragiche), di povertà, di difficoltà di lavoro, ecc. non sono “naturali” e che bisogna impegnarsi, anche personalmente per risolvere tutto ciò; ma pochi lo fanno, anche perché bisogna che ognuno si rimetta in gioco a cominciare da se stesso…
Ora, però, non è più il momento di tergiversare: bisogna muoversi e in un modo nuovo, perché questo è il tempo.
Vediamo il come ed il perché
2.0 – Come impostare una nuova relazione economica nel mondo religioso e delle fedi.
Si sa ormai che se c'è una cosa che veramente “grida a Dio”, nei suoi vari nomi, è la guerra in suo nome. Niente giustifica la guerra e ancor meno la motivazione economica che di solito è alla base delle stesse. Tuttavia, esse si fanno ancora, anzi più di prima, le motivazioni economiche sono sempre più marcate e gli egoismi umani sempre più forti, anche perché si è sotto l'istinto (indotto?) della paura.
Allora c'è un un altro aspetto che “grida a Dio”: la distanza delle religioni e delle fedi tra di loro e l'assenza di una visione comune di contrasto al male comune sull'economia che è la povertà e la mancanza di giustizia, per non parlare dell'ambiente.
Nel passato abbiamo avuto “benedizioni” di tutte le parti in causa nei conflitti, abbiamo avuto crociate e guerre sante, abbiamo avuto accordi di alcune religioni contro altre e così via.
Ma oggi, che possiamo vedere il nostro pianeta da “fuori” (dallo spazio) come una piccolissima “palla” nell'universo, con la situazione quasi aporetica della vita mondiale comune che abbiamo, ha ancora senso ciò? O non è meglio fare qualcosa di nuovo? Sì, ci sono state preghiere in comune per la pace (Assisi), preghiere in comune per tante altre situazioni, ma tutto - sul piano economico – è rimasto come prima e, anche per i vari “fedeli praticanti” che hanno ruoli di assoluta responsabilità in organismi economici nazionali ed internazionali, sembra che la fede nel laissaz faire liberista sia più grande che nelle fedi dei padri e nei relativi precetti.
Oggi, quindi questo gap è da colmare e, sicuramente perché è difficile partire dall'alto, noi tutti partiamo dal basso, dalla gente, dai fedeli, da coloro che vivono la strada e, viaggiando sui mezzi pubblici, vedono le sofferenze dei confratelli
In questo modo facciamo economia e teologia: dal basso, dalle necessità e dai bisogni veri che gli uomini combattono per mangiare, per vivere, per lavorare (ci si ricordi: la teologia si fa in ginocchio!!!)….
Ecco: siamo chiamati a ciò! Tuttavia non è facile, visto che – se a parole il mondo dei fedeli delle varie religioni è grande – in pratica è molto esiguo.
La stessa Finanza Etica, bellissima ed entusiasmante prospettiva ed attività concreta ha fatto molto, ma ha solo scalfito il mondo delle persone (detto in altri termini: il suo giro d'affari è molto più esiguo degli sforzi fatti e di quanto ci si aspetterebbe, a cominciare dagli stessi responsabili delle religioni….) e ancora non incide più di tanto, essendo praticamente relegata al mondo dei “buoni”!
Dobbiamo, quindi, metterci a lavorare insieme cercando di cominciare ad impostare nuovi paradigmi ad iniziare dalle nostre strutture di fede che – malgrado tutto – ancora continuano ad eseguire la prassi delle attività finanziarie senza pensare d'investire in modo etico, puntando sempre sul massimo guadagno e senza invece rendersi conto delle “conseguenze non economiche delle azioni economiche “ (come recita il 1° comma dell'art. 5 di Banca Popolare Etica).
Certo, la situazione economico/finanziaria dell'oggi è preoccupante, con un'incertezza estrema data dai mercati dalle valute, dai titoli, delle materie prime, dai bassi tassi d'interesse, e così via, che rendono gli investimenti, spesso di sopravvivenza, assolutamente difficili.
Ma è proprio in questo momento che bisogna, da parte delle religioni e delle fedi, darsi un “colpo di reni” e di cambio: la prospettiva che abbiamo è quella di iniziare un cambiamento e di produrre un qualcosa di valido.
2.1 – Le proposte.
In questo senso si ripropone un cammino che è già stato impostato nel nostro incontro del 27 Febbraio 2016:
- Cercare una nuova visione economica, unitaria tra le diverse fedi, che metta al centro l’uomo.
- Fare sintesi di ciò che già è stato scritto sul rapporto tra fedi e denaro.
- Coniugare una riflessione teorica con proposte di prassi possibili.
- In tema di rapporto tra fedi e finanza, ricerca di buone pratiche già in uso e dar loro spazio e visibilità; creare un luogo in cui tali buone prassi si possano mettere in relazione e in rete tra loro; cercare ciò che aggrega e unisce le diverse fedi.
- Creare ponti intergenerazionali fra fonti e interpreti: come le diverse religioni hanno costruito un corpo sistematico di interpretazione dei testi sacri? Come vengono letti e interpretati tali testi da generazioni più giovani?
- Creare una piattaforma comune per offrire alla società una nuova proposta di pensiero e di azione, condivisa da diverse fedi che hanno previamente confrontato Parola (testi sacri) e interpretazioni dottrinali su temi come: usura, uso del denaro, elemosina tra filantropia e carità, privatizzazione e bene comune, mutazioni antropologiche dell’economia (non più legata al lavoro…)
2.3 – Un cammino iniziale e metodologia.
Ora che siamo agli inizi di questa nostra avventura (e mi pare che tra di noi aleggia sia il buon senso, sia la voglia concreta di fare e di mettersi in gioco, nonché una vera spiritualità che comporta un impegno concreto a favore dei nostri fratelli tutti) dobbiamo darci dei compiti seri non solo di ricognizione e di ricerca sopra evidenziati, ma di chiederci veramente di come fare per incidere prima all'interno delle nostre comunità religiose e poi negli altri sul piano economico, ben sapendo che è veramente difficile. Infatti la testimonianza (il martyrion) è la cosa più importante in una società dell'immagine come la nostra...
Come possiamo accettare che dei nostri fratelli – che si dicono mossi dall'essere cristiani, dall'essere islamici, dall'essere buddisti e così via – pratichino politiche razziste e xenofobe, perseguano i precetti di un'economia che uccide, che non aiutino il prossimo, che vivono in un lusso sfrontato che veramente “grida a Dio”? Cosa si è comunicato ed insegnato? Dove si è sbagliato?
Sicuramente è giusto quanto scrive il gesuita John Haughey:
“Non è sesso. Né la politica. Il vero tabù della teologia è l ́economia. Spendiamo i nostri soldi come se non conoscessimo il Vangelo; e leggiamo il Vangelo come se non avessimo soldi. Nessun ́altro aspetto influenza tanto la vita individuale e collettiva come l ́aspetto economico. La principale sfida che la famiglia umana deve affrontare oggi è l ́iniqua distribuzione di ricchezza e di potere”.
Scrive, ancora, il teologo valdese Daniele Garrone:
“Parlando del denaro nella nostra vita personale, coglierei, innanzitutto, questo paradosso: da un lato c’è la presenza determinante e pervasiva della dimensione economica, dall’altro la rimozione di questa dimensione dagli argomenti di confronto interpersonale. Non mi è mai capitato di parlare con gli amici di come gestiamo il fatto che adesso produciamo, guadagniamo, firmiamo dei contratti. Della sessualità invece abbiamo parlato tantissimo, conservatori come progressisti: analizziamo, discutiamo, svisceriamo ciò che è giusto, ciò che è sbagliato. […] Nella nostra opulenta società moderna la sessualità è un tema sovraesposto e molto verbalizzato. Invece il tema di come io gestisco la mia dimensione economica è molto marginalizzato, quasi fosse un vero e proprio tabù. Mi chiedo, esagerando volutamente al fine di suscitare una reazione, se in ambiente cristiano non abbiamo questo atteggiamento di “pudore vittoriano” nei confronti del denaro. Mi è capitato anche in chiesa nelle prediche, di poter dire tutto ciò che voglio sui temi più scabrosi, ma se si commenta uno dei testi evangelici che abbiamo sentito oggi (la parabola del “buon samaritano”, n.d.r.) qualcuno si alza e se ne va; perché mentre una volta si diceva che in chiesa di sesso non si può parlare, oggi si afferma che il Vangelo non deve dire come bisogna comportarsi con il denaro nella propria vita” (Daniele Garrone: Il peso del denaro nella vita della persona. In Denaro e fede cristiana. Testimonianza e impegno dei cristiani per un uso consapevole del denaro. Ed. Emi, Bologna 2001)
Ecco, questa è la nostra realtà, il terreno nel quale seminare….
Ma se veramente vogliamo essere operativi non dobbiamo far sentire soli alcuni personaggi che si battono con tutte le loro forze (non credete che, ancora, Papa Francesco sia solo?), ma dobbiamo cercare di capire, di denunziare fraternamente, di essere solidali tra noi e con gli altri….
Credo che in questo contesto, e proprio per un fatto di vita vissuta (e non per le parole delle nostre Fedi che tutti conosciamo) possiamo affermare: NESSUNO, di qualsiasi fede o religione, può dare lezione agli altri; TUTTI siamo peccatori, principalmente sul piano economico…. E tutti dobbiamo cambiare….
Ma un'altra cosa è importante per questo nuovo percorso economico assieme: dobbiamo essere tutti coesi e tra di noi non dobbiamo, proprio per il bene comune, avere difficoltà ai nostri interni (cattolici v/s riformati, sunniti v/s sciiti, ecc…). Infatti, Dio è più grande delle nostre piccole e spesso meschine divisioni e solo praticando l'Agape e la Carità (diversi modi per coniugare la parola amore) possiamo amare e servire il mondo.
2.3. 1 – Proposta: raccontarci.
A questo punto avanzo una proposta: raccontarci tra di noi come fedi e religioni, evidenziando non la buona teoria che sotto intende il nostro agire, ma il nostro vero vissuto nel bene e nel male. Voglio sentire da voi, come voi vorrete sentire da me, che cosa succede nelle nostre comunità: se pratichiamo una finanza etica, quali sono le nostre difficoltà….
Non dobbiamo, infatti, fare proselitismo tra di noi, ma dobbiamo veramente capirci e conoscere i nostri piccoli universi economici per cambiare: solo così possiamo parlare – come già detto – agli altri….
Io ho molto da dire in proposito relativamente alla mia fede e come mi sento solo: mi piacerebbe sentire voi (credo che possiate avere i miei stessi sentimenti) affinché nessuno possa poi trovarsi in quella strana situazione in cui si ha non solo paura di fare, ma di cercare di cambiare le cose poiché “tanto non cambierà nulla!!!”
Dalle nostre fedi noi sappiamo che Dio precede sempre gli uomini e che la Storia in fondo poi appartiene a lui…
Allora coraggio! Superiamo secoli e secoli di divisioni, difficoltà, fondamentalismi, incomprensioni e facciamo come i bambini piccoli sulla riva del mare che giocano tra di loro anche se parlano lingue diverse: si capiscono perfettamente e si divertono insieme!
Grazie
Riccardo Milano
Allegato:
RELIGIONE E FINANZA
di Riccardo Milano
Premessa
Le interrelazioni tra religione ed economia (al cui interno la finanza) sono state nel corso della storia costanti e fitte in quanto è comune il sentire in tutto il mondo che la persona umana ha sia il bisogno di rapportarsi con l'aldilà e sia con l'aldiquà, cioè con la vita corrente[1].
Tutte le religioni (o, meglio, le teologie e le filosofie e, ancora, le teosofie) hanno una concezione del come vivere (si ricordi, a mo' di esempio, la domanda socratica "Come bisogna vivere?" nel Gorgia di Platone) e, con sfumature più o meno accentuate, la problematica economica dell'esistenza è nei libri sacri espressioni delle varie religiosità/fedi: la Bibbia ebraica per l'Ebraismo; Bibbia (Antico e Nuovo testamento) per le varie confessioni cristiane; Corano per l'Islam; Bhagavadgĭtă, Atharvaveda, Abhhinavagutta" per l'Induismo; Tao-tê-ching e Zhuang-zi per il Taoismo; Analecta, La Grande Dottrina, Il Giusto Mezzo e Mencio per il Confucianesimo; Tao-tê-ching per la filosofia Zen; Aśvaghoşa, Pali Tripitaka, Ãria Śūra, Nāgārjuna per il Buddhismo; e così via. Ciò dovrebbe indurre le persone ad un approccio con l'altro, in ogni caso portatore di una cultura, in modo onesto e paritario, ma con la (più o meno piena) consapevolezza della conoscenza della propria credenza: il rapporto con l'altro è quasi sempre, nel mondo delle religioni, dialogico e mai oppressivo in quanto entrambi hanno un'ottica da rispettare per il bene comune; il problema del loro "fallimento" storico, sempre nei confronti dell'altro, infatti, nasce costantmente da un rapporto egoistico ed utilitaristico: da cui i fondamentalismi che, da sempre, sono patologie in tutte le religioni.
Tutto ciò serve per capire una realtà basica: i rapporti economici sono sempre, per loro natura, impostati a relazione e fiducia e ciò è valso, vale e varrà sempre. L'unica problematica effettivamente riscontrabile e concreta è data dal fatto che l'attività economica concreta del passato non era quella del presente e non sappiamo ancora come sarà nel futuro; da qui la constatazione che per una giusta conoscenza la dimensione essenziale è quella ermeneutica che, sola, potrà permettere una crescita economica sociale ed antropologica in cui l'armonia del vivere, come essere umani con la natura in genere, potrà essere compiuta e proprio facendo aggio sulle concezioni religiose/ teosofiche.
La problematica impostata dal titolo è, come si capirà, molto estesa e complessa e non è di certo qui possibile, dare una panoramica completa. Di conseguenza ci si atterrà, per la maggior parte, solo al mondo occidentale: ciò perché la maggioranza delle teorie economiche che guidano il mondo sono appunto occidentali e lo stesso processo di Microcredito moderno, nato in Bangladesh, paese islamico, è basato su quei principi. L'unica eccezione sarà data da una breve illustrazione della Finanza Islamica che si è affermata dagli anni settanta e che sta contribuendo non poco a rileggere le attività del credito.
Il pensiero, dunque, fa rima con prassi sociale di bene comune (al cui interno l'Economia) entro un pensiero religioso. I codici di comportamento che le antiche scritture ci tramandano sono per un uso coscienzioso e giusto della ricchezza in cui la ridistribuzione permette a tutti di vivere. In verità, e per lungo tempo, l'uguaglianza delle persone non è esistita in quanto – e in base a molte situazioni di storia del pensiero nazionale/locale – vi era disparità all'interno delle varie polis: non avevano diritti gli schiavi, i minori, le donne, gli stranieri, ecc.. A ciò molte religioni hanno risposto (si pensi la Bibbia in cui nei libri del Pentateuco si danno comportamenti di vita concreta, sia individuale che comunitaria, e si rispetta sempre la dignità della persona, fino ad arrivare ai Vangeli in cui si dichiara che tutti sono fratelli e, quindi, decadono le restrizioni civili[2]. Cosa più o meno analoga nel Corano ed in altri libri sacri) con comportamenti includenti e con un rispetto molto marcato. Non solo: molte prassi, quali quella del Giubileo, andavano oltre e riproponevano, ogni cinquant'anni, uno stato quasi primordiale dove la ricchezza fosse di tutti in quanto l'essere umano non era (è) altro che un amministratore del creato e per ricordare che l'unico vero proprietario è Dio.
La storia millenaria ci ha però anche raccontato che non sempre il pensiero (del come vivere sia da singoli che in comunità), insito nelle religioni e nelle varie teosofie, hanno avuto la fortuna di essere prassi costante per un bene comune e non solo in prospettiva, anche quando erano puro buon senso (diritto naturale) e stili di comportamento politico: pronunciate e scritte le varie "regole d'oro[3]" sono state quasi subito disattese sul piano civile e, a parte il mondo islamico (e qualche altro per la verità più sporadico) in cui esiste lo "stato teocratico", i dettati etici e comportamentali cui si cercavano (e si cerca ancora) di istruire le persone, in modo più o meno permanente, sono stati/sono abbastanza disattesi, specie sul piano economico. Per restare solo alla Bibbia, si rammenti ancora il Giubileo (Levitico 25, 1-55; Isaia 61,2; ecc.), la prima Comunità cristiana (Atti, 2, 44-45) e così via[4].
La stessa Dottrina Sociale della Chiesa (DSC), iniziata ufficialmente da Papa Leone XIII nel 1891 con l'enciclica Rerum novarum ha dato luogo a riflessioni e ragionamenti sul mondo economico/finanziario di altissimo valore, ma che spesso non hanno corrispondenza con il vivere quotidiano (mercati, prassi bancarie e risparmio/impiego) e le cui esortazioni rimangono solo su di un alto piano etico, ma che non conquistano l'intero Popolo di Dio[5]. Problema di educazione? Di difficoltà a credere che è impossibile cambiare il cuore dell'uomo, quasi sempre egoista e autoreferente? Altro? Ognuno si interroghi al proposito.
Si può in un certo senso affermare che spesso – o quasi sempre – la profezia economica e sociale viene smentita o sconfitta dalla realtà e che niente è, paradossalmente, più difficile dell'applicazione di pensieri sociali/fraterni/solidali e pensati per uno star bene dell'umanità che dovrebbero essere ovvi. Ciò nonostante, un cammino breve sulle buone prassi e impostazioni di teorie economiche economiche derivanti da pensieri religiosi potrà dar conto di un indomabile e mai sopito spirito di umanità e di visione del bene comune. Su tali pensieri, e alla luce delle difficoltà del mondo odierno nei confronti della Scienza Economica, bisognerà volgere lo sguardo per un futuro che, oltre alle classiche difficoltà, contempla anche una fortissima crisi ambientale e della natura in genere. Qualcosa bisognerà fare e la vera umanità è di riprendere finalmente in mano quanto è stato pensato con spirito costruttivo sia dalle religioni, sia dalle filosofie e sia dalle teosofie; in conclusione non basarsi solo sui "conti" e sul " dare/avere" dei bilanci, ma sul cuore dell'Uomo.
Breve panoramica storica della relazione Religione/Finanza
Il rapporto tra economia/denaro (finanza) e religione nasce storicamente: in pratica, ma non solo, con l'avvento della moneta. Nell’antica Grecia i cittadini affidavano i propri averi ai sacerdoti che li conservavano nei templi, certi che anche nei momenti di pericolo sarebbero stati rispettati allo stesso modo degli stessi Dei. Solo successivamente, dopo negative esperienze per il rispetto dei luoghi sacri da parte dei nemici vincitori, nacque la necessità di incaricare persone che si occupavano sia di conservare o prestare danaro e sia di effettuare scambi vari tra monete creando i prodromi delle banche. A Roma i banchieri esercitavano nei vari fori accanto ai templi di Giano e di Castore e ben presto si sentì la necessità di porle sotto una divinità, il dio Mercurio, tutore contemporaneamente dei ladri e dei bambini.
Si tenga in ogni caso presente che l'economia ante e appena post cristiana presente in Grecia, Medio Oriente, in Africa e a Roma non era evidentemente quella attuale: infatti le situazioni economiche normali si basavano principalmente su agricoltura e allevamento (molto), commerci (anche marittimi), artigianato, estrazione mineraria, pubblico impiego e attività militare, libere professioni (retori, avvocati, ecc.) e poco altro (l'unica vera attività imprenditoriale era la riscossione delle tasse). Non esisteva l'impresa se non in forma di un artigianato in modo allargato ed una attività agricola diffusa, spesso grazie al latifondo. Un altro aspetto era la differenza tra quanto si svolgeva nella civitas (città) e nella villa (campagne). Una base comune era poi data dalla schiavitù che permetteva attività senza costi fissi eccessivi e senza, appunto, il sempre gravoso costo fisso del personale. Su tutto ciò si generò un'importante riflessione sull'uso del denaro e della ricchezza in genere da parte dei Padri della Chiesa. Ciò anche perché la pressione fiscale[6] era elevatissima con pesanti ricadute economiche, accompagnate da una forte protervia dei ricchi (anche potenti) sui poveri. Così costoro rifletterono sullo sviluppo dalla ricchezza come impoverimento dell’uomo inteso come essere. A seguito di ciò molti cristiani abbandonarono personalmente i propri beni[7], anche se in tale ambiente si cominciò pian piano ad intravedere una "giusta" gestione dei beni. Di conseguenza[8]:
… i Padri della Chiesa, a partire dal IV secolo, avevano avviato con rigore la riflessione sulla vita economica sottoponendo il rapporto con i beni terreni al vaglio dell’etica cristiana. Beni e ricchezza non venivano condannati in sé, ma solo se male usati, cioè se considerati come fine e non come strumento. Notevole, a tale riguardo, il saggio di Basilio di Cesarea, fondatore della cittadella della carità denominata Basiliade, circa l’uso moralmente giusto della ricchezza: «I pozzi dai quali si attinge di più fanno zampillare l’acqua più facilmente e copiosamente; lasciati a riposo imputridiscono. Anche le ricchezze ferme sono inutili, se invece circolano e passano da uno all’altro sono di utilità comune e fruttifere» (Basilio di Cesarea: Il buon uso della ricchezza. Piacenza, Berti, 1993, p.22. Si tratta dell’omelia pronunciata da Basilio, vescovo di Cesarea, nel 370 d.C.).
Caduto l'Impero romano d'Occidente la ripresa economica passa con Benedetto da Norcia (che, con i suoi monaci, cominciò la ricostruzione di un nuovo mondo su nuove basi che permisero la rinascita) e con san Francesco e l'economia francescana. La conseguenza fu che con la ripresa dopo l'anno Mille dei commerci, grazie all'attività mercantile, la ricchezza ricominciò ad affluire nelle città. I liberi comuni si organizzarono e fiorirono. Ma tutto ciò aveva aveva necessità di un pensiero economico adeguato che permettesse di gestire ed implementare le varie attività artigianali ed imprenditoriali che cominciavano ad affermarsi. In questo quadro, che va fino alla metà quindicesimo secolo, essi furono iniziatori di una concezione organica economica, proprio per venire incontro, in nome del Vangelo, alla necessita di un riscatto civile e spirituale per tutti, ma specie per i poveri. Si affermano in questo periodo i concetti di lavoro, banca, mercato, accumulazione dei beni, impresa, contabilità, prezzo e valore, e così via. Relativamente al primo[9]:
… Con san Benedetto prende il via una rivoluzione nella cultura del lavoro: esso acquista una valenza positiva, un mezzo di crescita ed espressione di sé, un contributo alla civiltà. L'Ora et Labora di Benedetto rappresentò ben più di una via di mera santità individuale: la cultura benedettina divenne nei secoli una vera e propria cultura del lavoro e dell'economia. A Tal proposito, si esprime così Pezzimenti: «Ora et labora non è solo un motto o un ideale di vita. È la vita stessa che deve incarnarsi in quelle due parole tenute insieme da una congiunzione che esprime la stringente reciprocità dei due termini. Non si tratta di due alternative, ma di due aspetti inscindibili, ognuno dei quali finisce per dare un senso all'altro».
La storiografia economica è oggi sul pensiero che è proprio da Benedetto, con la sua visione del lavoro e dell'economia come servizio, che nasce quella riflessione economica che riguarderà tutta l'attività specificatamente economica, specie quella della produzione, dei bisogni e dell'accumulazione per il futuro.
Con san Francesco s'iniziò, poi, a prendersi cura dello studio della moneta e della ricchezza in genere, con una ridistribuzione più giusta in cui la priorità veniva data alla produzione, e quindi al lavoro, a partire, paradossalmente da un concetto antitetico alla ricchezza: la povertà. Il Regno di Dio, per Francesco, era anche anche sulla terra come creazione continua; l'amore e la fraternità verso i poveri doveva portare a scelte di vita di vera emancipazione e la povertà era la splendida base di partenza: divenire povero, ed avere di meno, era permettere all'altro di avere di più[10]. Tale movimento, proprio per la necessità di chiarire come dovessero essere considerati i da un lato i beni nella vita dei frati e dall’altro nella vita dei laici che si rivolgevano ai frati divenne una scuola importantissima della riflessione cristiana sull’economia (ben prima del pensiero di Calvino) nella chiarificazione della differenza fra usura e prestito a rischio del denaro, fra lusso e giusto uso dei beni, nell’orizzonte del bene comune che richiede non una mera enunciazione di intenzioni, ma una "organizzazione", una "istituzionalizzazione" che lo sostenga e lo renda concretamente possibile. In altri termini i Francescani, proprio grazie alla scelta di una povertà volontaria, elaborarono un linguaggio economico che ha contribuito alla formazione del pensiero economico occidentale; ciò per risolvere l'"imbarazzo della ricchezza" che deve circolare e non restare immobilizzata. Comincia così a nascere quell'economia di mercato civile assolutamente diversa da quell'economia di mercato capitalistica formatasi durante la Rivoluzione Industriale cui si è soliti pensare. Bisognava infatti che il lavoro e la sua divisione – intesa come modo di organizzazione della produzione che consente a tutti di svolgere un'attività lavorativa – fosse ben organizzato. In assenza della divisione del lavoro, infatti, solamente i più dotati avrebbero saputo provvedere da sé a ciò di cui avevano bisogno. D'altro canto la massima francescana – già nota negli ambienti popolari dell'epoca secondo cui "l'elemosina aiuta a sopravvivere, ma non a vivere, perché vivere significa produrre" – conteneva già un'implicita condanna dell'assistenzialismo, incapace di dare la dignità alla vita umana[11].
La scuola francescana, in conclusione, riesce dunque a chiarire il concetto d'interesse – grazie ad una serie di lunghe, ragionate, studiate e sofferte considerazioni la pratica dell'usura. Nascono quindi ed inevitabilmente le proposte che si consolidano nella nascita dei Monti di pietà, le prime Banche che in pratica si contrapponevano, ma solo sul piano formale in quanto i veri rivali erano gli usurai, ai Banchi che esercitavano l'attività del cambio e del prestito all'ingrosso, da cui provengono moltissime pratiche bancarie che oggi si conoscono (potremmo dire che, in un certo senso, tali banchi era allora quello che oggi sono le merchant bank), sviluppate/i soprattutto in Italia e solo in seguito nel resto d'Europa[12].
Monte di pietà era nome composto significante: "monte" come cumulo di prestiti, mentre "pietà" rimandava ad una delle immagini della passione di Cristo. I poveri, visti come reale immagine del Cristo sofferente, questo il senso della pietà. La ragione principale che portò alla nascita dei Monti di pietà era di tipo solidaristico, non primariamente economico: data l'impossibilità per le famiglie meno abbienti di avere accesso al credito ad un equo tasso d'interesse, e per questo costretti a rivolgersi agli usurai (cristiani ed ebrei) e quindi precipitare nella miseria, i francescani molto attenti agli aspetti concreti dell'evangelizzazione, promossero queste istituzioni come mezzo di cura della povertà e di lotta all'usura[13].
Il capitale di queste proto-banche-etiche, che oggi trovano una continuazione ideale nelle varie forme di microcredito, o nelle banche rurali, si accumulava per mezzo di collette, sottoscrizioni, nel eredità, donazioni, depositi vincolati e questue. Proprio da queste esperienze qualche secolo dopo nacquero le Casse di Risparmio[14]. Insomma come origine di banche come banche sociali[15]:
È evidente che quest'analisi storica ha dimostrato che le origini del social banking è da riscontrarsi nei Monti di Pietà che furono anche, come avrebbe teorizzato il grande economista Schumpeter[16], banche locali che agirono come veri e propri agenti di sviluppo del territorio. Dal XIV al XVI secolo essi furono una vera rivoluzione, che in molti casi pose le basi della prosperità non solo delle regioni italiane del centro-nord fino ai giorni nostri, ma anche di buona parte dell'Europa. Oltre ciò, i Monti furono anche centri di cultura civica e non è difficile ritrovare nelle loro attività, e in molti casi anche nelle origini dei patrimoni, le radici delle Fondazioni bancarie in Italia. Le attività al servizio del territorio non si limitavano infatti ai finanziamenti e alla raccolta, ma si estendevano al supporto di attività politiche e culturali, al sostegno delle attività religiose, all'assistenza ai poveri e ai malati. Si può poi tranquillamente affermare che i Monti erano il corrispondente di quelle che oggi sono chiamate banche etiche, con il loro business etico: tale caratteristica non va ricercata nella dispensa di elemosine obbligatorie a fine esercizio. È il modo stesso di fare banca che viene a configurarsi come etico in sé: viene richiesto un tasso di interesse del 5 o del 6% a fronte di un erogazione di interessi sui depositi del 4%. Uno spread del 2%: qui sta l’eticità dell’operatività dei Monti di Pietà. A ciò bisognerebbe riferirsi anche oggi quando si parla di etica (e se ne parla tanto, anche troppo!): non alla devoluzione residuale di esigue somme a favore di qualche pia causa, ma ad un modo di fare banca che abbia in sé le caratteristiche per essere considerato tale. Ripeto: i Monti non furono un esempio di attività etica perché distribuivano gli utili, ma perché facevano banca senza fare usura. Purtroppo su questo punto c'è ancora molto da imparare.
Si può dire in conclusione che, nella creazione di queste prime banche sociali, i Monti di Pietà, che i francescani ebbero una felice intuizione: “Finché c'è un povero – un povero non per scelta ma perché subisce la povertà – la città non può essere fraterna”[17].
A tale realtà si aggiunsero poi, nell'ottocento, le banche popolari e le casse rurali[18] – di matrice cooperativa, quindi sociale – figlie sia di un'impostazione e di un pensiero laico che religioso (Hermann Schulze-Delitzsch per le Popolari e Friedrich W. Raiffeisen per le Casse Rurali), seguite, tra l'ottocento ed il novecento in Italia, da molte banche cattoliche quali il Banco Ambrosiano, il Banco di Brescia[19], la Banca Cattolica del Veneto, e così via.
Una delle caratteristiche essenziale di tali banche era quella della contestuale presenza di due funzioni nella loro operatività: la produzione di ricchezza e la ridistribuzione dell'utile conseguente; un principio etico/sociale, poi decaduto per l'affermarsi delle politiche di welfare in capo allo Stato, che permetteva loro, proprio come banche etiche (e spessissimo di microcredito), di creare un vero "capitale sociale" all'interno dei territori.
L'Usura ed il pensiero economico calvinista
Il prestito ad interesse, definito usura (da usum rei), è sempre stato un problema economico/ finanziario/religioso ed ancora oggi la questione è sul tappeto (si pensi solo al fatto che la Finanza Islamica si fonda proprio sulla non applicazione dell'interesse). Le cosiddette "religioni del Libro" (Ebraismo, Cristianesimo e Islam) hanno sempre contrastato tale pratica in quanto considerata peccato. Il problema usura fu particolarmente sentito nel Medioevo dal Cristianesimo[20].
Il motivo era semplice e complesso allo stesso tempo: poiché il tempo è di Dio, l’usuraio trae profitto dal tempo impiegato nella restituzione della somma prestata ad usura. L’usuraio specula su una proprietà di Dio ed è un peccatore, anzi il peggiore di essi. Così si esprime chiaramente frate Remigio de Girolami, domenicano, nel suo scritto: Determinatio utrum sit licitum vendere mercationes ad terminum[21], che ci testimonia quanto fosse infimo il mestiere dell’usuraio tra quelli del Medioevo e di come venisse accostato al mortale peccato di rubare il tempo di Dio[22].
Ma cos’era l’usura per i medievali? Ambrogio afferma: "Usura est plus accipere quam dare"[23]. Viene detta usura tutto ciò che viene richiesto in cambio di un prestito oltre al prestito stesso; implicitamente lo sono i prezzi più alti per la vendita a credito. Tommaso d’Aquino[24] afferma: "Pecunia autem […] principaliter est inventa ad commutationes faciendas: et ita proprius et principalis pecuniae usus est ipsius consumptio sive distractio, secundum quod in commutationes expeditur. Et propter hoc secundum se est illicitum pro usu pecuniae mutuatae accipere pretium, quod dicitur usura"[25].
L'usura, come visto, era quindi peccato ed era vietata ai cristiani: a causa di ciò la maggior parte degli usurai era di religione ebraica, cui era consentito prestare ad interesse al di fuori dalla loro comunità[26]. Da qui una dicotomia: mentre la società civile e le leggi positive non condannano l’usura per opportunità politiche ed economiche, le leggi ecclesiastiche non potevano tollerare nessuna forma permissiva verso tali attività[27]. Le aperture cattoliche sul prestito ad interesse, anche per l'attività dei Monti di Pietà, vi furono con la bolla Inter Multiplices di Papa Leone X il 4 Maggio 1515 all'interno del V Concilio Lateranense, e, successivamente con Papa Benedetto XIV che emanò l'enciclica Vix pervenit dell'1 novembre del 1745 e che, in un certo senso, pose fine alla disputa dichiarando la liceità del prestito ad interesse sebbene a certe condizioni. In ogni caso l'incertezza sul comportamento da tenere si protrasse per un altro secolo fino a quando, nella seconda metà dell'ottocento e a causa dell'intervento di Propaganda Fide, la questione fu completamente risolta[28] e da allora in avanti la problematica sull'usura fu solo vista come peccato di avidità di coloro che applicavano tassi esorbitanti.
Dopo la Riforma, anche il mondo protestante - grazie anche a Calvino, il grande riformatore e il fondatore dell'etica economica protestante[29] - si pose il problema[30]:
A differenza di Lutero, che rimase sempre conservatore e contadino nelle sue simpatie e istinti, Calvino, era una persona di città, maggiormente in sintonia con le aspirazioni delle nuove classi commercianti urbane. Calvino si poneva in modo molto semplice nei confronti della vecchia ortodossia riguardo alla moralità delle attività finanziarie. Affermò chiaramente che la legge dell’Antico Testamento era stata applicata alla vecchia società degli Israeliti, ma non era più rilevante poiché ora era in vigore la nuova legge cristiana, che era la legge dell’amore. Se valutati secondo questo metro, molti prestiti erano sicuramente illegali perché sfruttavano i poveri. Tuttavia non si poteva avanzare nessuna obiezione di fronte a prestiti a tassi di interesse ragionevoli, tra parti che avevano buoni motivi finanziari per rispettivamente concedere e richiedere un prestito: «L’usura non è illegale nella misura in cui non contravvenga alla giustizia e all’unione tra i fratelli. Dunque ognuno di noi si ponga di fronte al giudizio divino e non faccia agli altri ciò che non vuole sia fatto a sé stesso e, seguendo questo principio, possa pervenire ad una decisione sicura ed infallibile[31]». Questo cambiamento di prospettiva fu radicale, anche se certamente era ben lontano dall’essere un vangelo per un mercato libero. Si associava ad un mutamento ugualmente radicale nel concetto di vocazione, che nel mondo medievale era di fatto riservato alla carriera ecclesiastica. Lutero ammise l’idea che ci fossero «chiamate» cristiane a ruoli secolari ma, ancora influenzato dal mondo medievale, limitava la sua visione di ciò che rappresentava una «chiamata» a ruoli che facevano parte di un’ economia che si basava in gran parte sull’agricoltura e sull’artigianato. Era possibile che gli agricoltori e gli artigiani seguissero una vocazione, ma non i finanzieri e gli imprenditori. Da parte. sua Calvino deviò da questa semplice linea di pensiero e ricorse alla nozione di amministratore. Se si ha del denaro, questo è un dono di Dio che è stato dato per essere usato e del quale si è amministratori. Si trattava di una novità sostanziale e implicava la legittimazione spirituale degli investimenti e dell’attività bancaria. Impegnarsi nei finanziamenti poteva essere considerata una chiamata; i prestatori potevano uscire allo scoperto. Tuttavia Ciò non significava che essi potessero fare tutto quello che volevano. C'era l'obbligo di lavorare sodo e di essere integerrimi. […] Egli indirizzò il pensiero cristiano riguardo all'economia e la finanza in modo che potesse applicarsi efficacemente ad una società urbana e commerciale, senza che si arenasse nel sistema medioevale, cercando di tener saldo il principio guida della legge dell'amore: non si deve approfittare dei deboli o sfruttare i disagiati. La ricchezza è un dono, non un diritto, e il servizio è il tema predominante e motivante.
Il pensiero Etico/Religioso/Economico
Da quanto emerso la storia dell'economia e della finanza è coniugata strettamente con motivazioni di natura morale insite all'interno delle religioni e filosofie. Si pensi solo al fatto che fino al 1754 la disciplina sociale "Economia" non esisteva da sola e coloro che l'avessero voluta studiare avrebbero dovuto intraprendere gli studi di Filosofia Morale[32]. Fu solo in quell'anno che, nella Napoli di Carlo III e presso l'Università Federico II, Bartolomeo Intieri[33] affida all’abate Antonio Genovesi, allievo di Giambattista Vico, la prima cattedra di Economia della storia. Una cattedra intitolata di Meccanica e di commercio per la quale Genovesi impartiva Lezioni di economia civile[34]. Ciò aveva un profondo significato che si è poi perso con la nascita della "Scienza Economica": la persona umana è un tutto e qualsiasi scienza sociale non può non partire che da questo principio in cui le realtà morali si coniugano insieme con quelle corporee: l'economia, arte del vivere e dell'"amministrazione della casa" che si occupa di ricchezza, denaro, gestione della cosa pubblica, ecc., dev'essere sempre coniugata con la dimensione sociale umana. In definitiva l'economia è per l'uomo e non viceversa[35]. L'economia Civile di Genovesi riprendeva, puntualizzando, tutto quel cammino nato nelle abbazie benedettine, transitato e approfondito con l'economia francescana e coniugato con l'umanesimo italiano ed approdato poi ai principi illuministici italiani. Di fatto si sono poste sotto quella definizione di Economia Civile[36] quelle applicazioni che da non molti anni si definiscono come Finanza etica applicata (Banche, Fondi comuni d'investimento, Responsabilità Sociale d'Impresa, Microcredito e Microfinanza, ecc.).
Per la verità la nascita della finanza etica moderna caratteristica si fa però risalire, nel 1760, al Pastore inglese John Wesley, fondatore della Chiesa Metodista, che sosteneva fermamente l’esigenza di legare etica e finanza, ritenendo che gli investitori dovessero agire come amministratori e custodi e non come proprietari assoluti del creato e di quanto ogni uomo ha costruito, senza creare ricchezza a scapito di altri. Bisognò, però, far passare due secoli e mezzo perché, nel 1928 il Federal Council of Churches[37] statunitense lanciò il Pioneer Fund, primo fondo di investimento socialmente responsabile. La sua politica di investimento escludeva il finanziamento di attività economiche svolte nei settori di produzione di alcolici, tabacco e pornografia. Gli investimenti nel fondo erano, tuttavia, ristretti ai soli sostenitori del movimento. Nel 1971 fu il Pax World Fund ad introdurre la possibilità di rendere disponibile la sottoscrizione anche ad investitori individuali non necessariamente propugnatori dei motivi etici alla base della costituzione del fondo. In Europa, il primo veicolo di investimento etico fu lanciato dalla Swedish Temperance Society, e denominato Ansvar. Come il Pioneer Fund, gli investimenti nel fondo furono limitati agli assertori del pensiero etico alla base dell’organizzazione. Nel Regno Unito dal 1948 la Chiesa Anglicana iniziò a praticare esclusioni in termini di etica come parte delle proprie regole di investimento. Nel 1983 Friends Provident, una società di assicurazioni fondata dalla Comunità dei Quakers (Quaccheri), istituì il primo fondo etico con criteri di investimento stabiliti da un Comitato esterno. L’iniziativa portò al lancio dello Stewardship Unit Trust e dello Stewardship Life Funded, un anno dopo, dello Stewardship Individual Pension Fund. In Francia, i primi due fondi etici furono indirizzati agli investitori di religione cristiana. Nel 1983, la società di investimento Meeschaert e l’organizzazione no-profit Éthique et Investissement (fondata da un gruppo di monache, tesoriere generali della loro congregazione) lanciarono il fondo Nouvelle Stratégie 50. Anche il secondo fondo (Hymnos), lanciato da Crédit Lyonnais nel 1989, fu dedicato alle esigenze specifiche delle congregazioni religiose.
Come si vede, dunque, da questo succinto excursus storico, la spinta alla diffusione della finanza etica fu originata da motivazioni legate ai principi cristiani e gli investimenti nei fondi furono, in gran parte, riservati a coloro che condividevano le motivazioni etiche e morali delle organizzazioni di raccolta dei fondi.
Per quanto riguarda poi degli Istituti di Credito le prime banche etiche, furono la GLS-Bank, Gemeinschaft fuer Leihen und Schenken, comunità per prestare e donare[38] che risale al 1974, e la Triados bank[39]. La concezione di riferimento è quella steineriana, ossia quella iniziata da Rudolf Steiner che si definì cittadino di due mondi: il fisico e lo spirituale, e fondò una scienza, l'Antroposofia[40], volta a favorire lo sviluppo dell'essere umano sia nei suoi aspetti fisici/materiali che in quelli interiori/spirituali.
Oggi la situazione è molto diversa. I valori degli asset riferiti ad entità giuridiche di investimento etico, controllate da movimenti religiosi e da Chiese, sono marginali se riferiti a quelli detenuti da investitori istituzionali, quali le società assicurative o i fondi pensione, i quali non condividono necessariamente le convinzioni politiche, sociali, ambientali o religiose, poste alla base dell’investimento socialmente responsabile.
In Italia la stessa Banca Popolare Etica che ha iniziato ad operare nel 1999, sebbene costituita grazie ad un apporto assolutamente consistente da parte del mondo cattolico e che collabora con la Caritas, le Acli, l'Agesci, le Diocesi, le Parrocchie, e così via, si considera aconfessionale, proprio per venire incontro alle esigenze di tutti. Ciò non vuol dire che non vengono prese in (seria) considerazione gli spunti e le riflessioni dai mondi religiosi, ma l'attività dev'essere aperta a tutti in modo che ognuno si possa trovare come a casa sua. In fondo, non è altro che l'applicazione della dynàmeis aristotelica. E non è poco.
La finanza Islamica
Dagli anni settanta dello scorso secolo si è diffusa una nuova modalità di far finanza/banca, più o meno come è capitato per la finanza etica in Europa: la finanza islamica che si basa essenzialmente sui concetti della shari’ah, cioè la "Legge rivelata da Dio", che dev'essere presa dal muslim, il credente, come guida nella manifestazione pratica della sua fede e della sua condotta, in vista della ricompensa finale nell’aldilà. La shari’ah trova il suo fondamento e la sua autorevolezza dal Corano e dalla Sunna, cioè la "Tradizione" profetica composta dagli hadit, cioè i "detti e i fatti" del Profeta Maometto. La ragione profonda di ciò è in un'etica[41] comunitaria che unisce e non divide[42]:
Nella realtà Islamica, sebbene il principio base sia l’autonomia dell’individuo di possedere risorse produttive e di perseguire il suo interesse economico, il tutto è visto all’interno di una società con l’appoggio ad un’etica comunitaria, tanto che si richiede che il singolo consideri come moralmente vincolanti gli interessi della comunità che siano in conflitto con i suoi. Il principio del bene comune vincola il consesso delle parti in qualsiasi transazione economica[43]
Che cos'è allora l'Islam e la sua finanza? La risposta è[44]:
L’Islam è un modus vivendi, compenetrazione tra religione e vita sociale ed economica: l’homo oeconomicus (islamicus), per essere sintetici, agisce sempre secondo la shari’ah. Per questa ragione, nei paesi islamici esiste una economia religiosa che non ha precedenti nella storia europea e suona esotica alle orecchie degli economisti occidentali.
Due sono i concetti fondamentali che plasmano l’agire economico islamico: la proibizione del tasso di interesse, equiparato a usura[45] (entrambi i termini si traducono con riba) e la proibizione di tutto ciò che è incertezza (gharar), proibizione che influisce direttamente sul mercato assicurativo. Il Profeta, commerciante di successo, aveva affermato che "Dio ha permesso la compravendita e ha proibito l’usura", contrapponendo i due termini ed esprimendo la predilezione per le transazioni reali. La condivisione del rischio è invece alla base del profit and loss sharing: per raggiungere equità distributiva, si condividono sia le perdite che i guadagni di un investimento (e in base a questa regola, un finanziatore non può imporre al debitore un tasso di interesse, poiché questo non tiene in conto l’effettivo risultato dell’investimento). Queste idee religiose, diventate economiche, plasmano tutta la giurisprudenza commerciale islamica e determinano la liceità dei contratti. I contratti conformi al Corano diventano di particolare interesse per il sistema bancario, in particolar modo per il credito (data la riba) e per l’investimento del risparmio.
In pratica la finanza islamica vieta esplicitamente e tassativamente, le seguenti operazioni: i) deposito e prestito ad interesse; ii) l'utilizzo del proprio denaro in operazioni finanziarie (anche indirette) che comportino interesse; iii) l'attività speculativa, sottoscrizione di assicurazioni tradizionali e investimento in strumenti derivati; iv) il finanziamento di aziende operanti in settori produttivi illeciti (casinò, produzione e commercio di alcolici, produzione di carne di maiale, società israeliane, ecc.). Il divieto relativo agli interessi (Riba) è relativo alla determinazione a priori del costo dei capitali, non alla possibilità di godere di una quota del profitto. Per quanto riguarda gli istituti bancari ed assicurativi tali società devono svolgerle secondo i principi dell’Islam e devono: i) dotarsi di un Comitato di Controllo composto di studiosi esperti della legge islamica, che ha il compito di accertarsi che strumenti finanziari e investimenti siano conformi ai precetti islamici. Tale Comitato può prevalere anche sul CdA; ii) creare un fondo specifico in cui versare l’imposta islamica (zakat) da utilizzare a fini caritatevoli.
Il principio guida della finanza islamica è, quindi quello del profit and loss sharing, cioè della condivisione, fra debitore e creditore, dei rischi e dei risultati economici derivanti dall’investimento, in questo modo evitando la predeterminazione connessa alla formulazione dell’interesse. I risparmiatori partecipano quindi come "soci" all’investimento. Il divieto di speculazione si traduce inoltre in un orientamento della finanza islamica a investire in attività produttive e quindi nell’economia reale. A seguito di ciò le banche islamiche hanno dovuto cercare delle forme alternative agli strumenti finanziari tradizionali basati sul calcolo degli interessi. Ma ciò non dev'essere visto come un escamotage[46] per cui si raggiunge il fine quasi aggirando i divieti, ma nel rispetto pieno della persona che è, sempre, il fine ultimo. In tale contesto la finanza islamica si avvicina decisamente alla Finanza Etica.
Cercando di raffrontare la finanza islamica con quella occidentale si può rilevare che:
Finanza islamica |
Finanza occidentale |
- Basata sulla proibizione dell'interesse, risulta estremamente efficiente nella fase di raccolta dei capitali in quanto fornisce ampie garanzie anche ai soggetti avversi al rischio. - È fondata su un sistema di tracciabilità dei capitali che permette di collegare facilmente fonti ed impieghi evitando situazioni indecifrabili dovute alle asimmetrie informative tipiche del sistema occidentale - L’investimento islamico antepone la verifica dell'investimento alle norme della shari’ah e alla valutazione finanziaria. |
- Basata sullo strumento dell’interesse, risulta estremamente efficiente nella fase di raccolta dei capitali in quanto fornisce ampie garanzie anche ai soggetti avversi al rischio. - Nella fase di impiego avviene spesso un’allocazione inefficiente delle risorse a causa dell’astrazione del risparmio dall’investimento
- L'investimento non comporta alcuna verifica etica, fatto salvo che nella Finanza Etica. |
Conclusione
Il breve percorso ci ha permesso di capire come importanti e spesso avvinghiati sono i rapporti tra religione e finanza. Ciò perché è spesso nell'animo umano cercare di appagare in un certo senso se stessi in un contesto più ampio. La religione è spesso quell'ambito che cerca, perciò, di elevare lo spirito ricercando un contesto molto più ampio e spesso sociale[47] per un bene comune, anche economico. Tuttavia la storia (e l'attualità) ci insegnano che la prassi operativa dei fedeli, sia essa soggettiva che istituzionale, è ben distante da certi precetti e da ciò non sono alieni anche i comportamenti finanziari delle stesse amministrazioni religiose che creano profondo scandalo e turbamento tra i credenti e tra coloro che ricercano solidarietà.
La sensazione, più che provata, ci dice che spesso, nel recente passato, il legame tra religione e finanza è stato relazionato ad un rapporto di utilità e d'interesse piuttosto che ad una educazione sociale funzionale al benessere e al ben-essere collettivo: spesso la finanza sfrutta la religione (si veda la proliferazione di Fondi comuni etici definiti "con criteri religiosi") come marketing per operazioni che non riescono a costruire un percorso di "dare/avere" sociale, ma solo di "avere" da parte degli investitori/risparmiatori. Sull'altro lato la religione chiede spesso alla finanza la massimizzazione dei propri averi per venire incontro alle crescenti situazioni di povertà ed indigenza, facendo ricorso all'espressione dell'etica solo soggettiva delle persone come primato su quella sociale ed oggettiva e che è in capo alle comunità[48]: ma così facendo si genera un circolo vizioso che porta sempre alla finanziarizzazione dell'economia che aggrava e non risolverà mai i problemi umani ed economici, siano essi globali o locali.
Forse la consapevolezza di ciò, vista anche la situazione economica in cui versa il mondo con i tantissimi poveri e i pochi ricchi (ma ricchissimi), deve far nascere pensieri nuovi, senza soffermarsi ancora (!) sulla stucchevole affermazione che anche le strutture religiose sono soggette alla debolezza e quindi alla caducità umana. Bisogna essere più coerenti e ridare all'Uomo ciò che è dell'Uomo e all'economia/finanza il compito di amministrare e di essere al servizio. Anche e soprattutto su questi concetti si è dell'idea che il cammino ecumenico/inter-religioso/laico possa svilupparsi in quanto si ha fame di soluzioni e di proposte che fanno sì che regni un'armonia del vivere, specie intorno alla res oeconomica. Infatti le varie religioni, specie le maggiori e, in casa cristiana le chiese ortodosse, luterane e anglicane, senza riprendere la cattolica più volte citata, hanno prodotto riflessioni e documenti egregi, purtroppo sconosciuti ai più[49].
Forse un ritorno al pensiero religioso – coerente, condiviso e profetico – può aiutare la finanza e viceversa: diversamente, e se ognuno andrà per la sua strada, si amplieranno sempre di più le difficoltà e le non comprensioni potranno essere veramente dannose per tutti.
* In allegato si potrà leggere un mio scritto al riguardo: Voce Religione e Finanza per il Dizionario di Microcredito a cura di Giampiero Pizzo e Giulio Tagliavini, Carocci Editore, Roma 2013.
[1] Si tenga presente che in tale aspetto, ed in base agli ultimi studi di sociologia religiosa, la concezione ateistica viene considerata alla stessa stregua. Di conseguenza nel termine religione è previsto anch'esso.
[2] Rimane solo il fatto di rispetto per le istituzioni e di osservanza delle leggi civili, ma autorizzando l'obiezione di coscienza relativamente alle leggi ingiuste che poi sono quelle in cui si va contro la dignità della persona. Da qui molte volte le persecuzioni e l'incomprensione verso la nuova religione che poteva scardinare l'ordine costituito.
[3] La "regola d’oro" esiste in tutte le religioni. È un’esposizione sintetica dell’esigenza di base di ogni comportamento umano. Gesù Cristo, nel Vangelo di Matteo, utilizzando una formula positiva, dice: "Fai agli altri quello che vorresti facessero a te". Confucio, con una formula negativa, dice: "Non fare agli altri quello che non vorresti venisse fatto a te". Maometto dice: "Nessuno di voi è un Credente finché non amate per il vostro vicino quello che amate per voi stessi". Il Buddha: "Non fare agli altri quello che a te fa male". Sul Mahadhrata, poeta epico indù, si legge: "Questa è la somma di ogni dovere: non fare agli altri niente di quello che, se fatto a te, ti provocherebbe sofferenza". Hillei, maestro ebreo, dice: "Quello che è odioso per te, non farlo agli altri".
[4] Si rammenti che i Vangeli parlano in abbondanza di economia e di denaro con le varie accezioni di rispetto e di aiuto reciproco, proprio per un senso di giustizia e non solo di bontà.
[5] Per la verità la DSC si è posta tale problema, tanto che nell'enciclica Caritas in Veritate di Benedetto XVI, al § 9 si legge: "La Chiesa non ha soluzioni tecniche da offrire (Cfr: Gaudium et spes, 36; Octogesima adveniens, 1971, 4; Centesimus annus, 1991, 43) e non pretende «minimamente d’intromettersi nella politica degli Stati » (Populorum progressio, 13) Ha però una missione di verità da compiere, in ogni tempo ed evenienza, per una società a misura dell’uomo, della sua dignità, della sua vocazione. Senza verità si cade in una visione empiristica e scettica della vita, incapace di elevarsi sulla prassi, perché non interessata a cogliere i valori – talora nemmeno i significati – con cui giudicarla e orientarla. La fedeltà all’uomo esige la fedeltà alla verità che, sola, è garanzia di libertà (cfr Gv 8, 32) e della possibilità di uno sviluppo umano integrale."
[6] La forte pressione fiscale causò gravissimi problemi in molti popoli tanto che si può dire che il Cristianesimo si affermò anche e velocemente, per i suoi principi sulla ricchezza, facenti da contrappeso ad un certo uso della stessa.
[7] Paradigma di ciò il caso di sant'Antonio abate del deserto e, successivamente di san Francesco d'Assisi.
[8] S. Zamagni L’etica cattolica e lo spirito del capitalismo Working Paper n. 49 Febbraio 2008 di AICCON
[9] L. Bruni e A. Smerilli: Benedetta economia. Benedetto da Norcia e Francesco d'Assisi nella storia economica europea. IdeEconomia Città Nuova, 2008, pag 47, 55 e ss
[10] Su queste argomentazioni si instaura tutta l'impostazione dell'economia francescana, Si veda l'opera di G. Todeschini, in particolare Ricchezza Francescana. Dalla povertà volontaria alla società di mercato. Ed Il Mulino, 2004
[11] S. Zamagni: L'etica cattolica... Op. Cit.
[12]Scrivono Bruni e Smerilli: "A partire dal '500 si ebbero istituzioni di Monti in Belgio, in Francia e poi in Spagna. I Monti restarono comunque un fenomeno essenzialmente italiano del centro-nord (anche perché nei paesi della Riforma, come l'Inghilterra, dire Mons Pietatis era sinonimo di cattolicità). Diversi dai Monti, perché non derivanti dal principio di reciprocità, sono le esperienze di «economia sociale» ante litteram come la Fuggerai di Hausburg, un villaggio costruito dai ricchissimi Fugger per le famiglie povere: questo tipo di esperienze, nate non a caso contemporaneamente alla Riforma protestante, daranno vita alle forme di «capitalismo filantropico» di stampo anglosassone" (L. Bruni e A. Smerilli: Benedetta ..., Op. Cit., nota 5 a pag. 79)
[13] Nello Statuto di uno dei primi Monti, quello di Perugia del 1462 si legge: "… per subventione et aiutorio de le povere persone... nelle loro estreme necessità". L'atto di costituzione del Banco di Ascoli (1458), ancora, contiene un'affermazione intrigante: l'istituzione veniva istituita "per sostenere e alimentare i cittadini poveri di Ascoli e di altri luoghi, specialmente dei vergognosi e di coloro che arrossiscono e provano disagio nel cercare l'elemosina di porta in porta".
[14] Le Casse di Risparmio sono nate in Germania nel 1765
[15] R. Milano Social Banking: a brief history. In: Olaf Weber and Sven Remer: Social Banks and the Future of Sustainable Finance. Routledge International Studies in Money and Banking, Taylor & Francis Group, Abigdon, Oxon OX14 4SB. Si riporta qui la traduzione in italiano.
[16] History of Economic Analysis, Vol. II, 1954.
[17] Bruni L. Il prezzo della gratuità. IdeEconomia, Città Nuova, 2006. Pag 15
[18] In Italia la prima Cassa Rurale fu fondata da un laico ebreo, Leone Wollemborg nel 1883 a Loreggia (Padova). Successivamente, dopo l'enciclica Rerum novarum di Leone XIII del 1891, nacquero quelle di matrice cattolica grazie a personaggi religiosi, laici e sacerdoti, come don Luigi Cerutti di Venezia e Giuseppe Toniolo, per citare solo dei capiscuola. Esse ebbero una diffusione molto più numerosa di quelle laiche
[19] Il Banco Ambrosiano e il Banco di Brescia, oltre a tantissime altre Casse Rurali, furono fondate dall'avvocato Giuseppe Tovini dichiarato poi "beato" dalla Chiesa cattolica Romana nel 1998 per il suo spirito sociale e profetico nel mondo economico.
[20] Si rammenta che non meno di sei Concili hanno trattato e condannato il tema dell'usura e varie lettere Encicliche sono state scritte per questa pratica. L'ultima di tali encicliche fu la Vix Pervenit di Benedetto XIV del 1745.
[21] O. CAPITANI, La venditio ad terminum nella valutazione morale di san Tommaso d’Aquino e di Remigio de’ Girolami "Bullettino dell'Istituto storico italiano per il Medio Evo e Archivio Muratoriano", 70 (1958), pp. 298-355.
[22] J. Le Goff e G. Ardenna citano Tommaso di Chambave che conferma la medesima posizione. Cfr. J. Le Goff, La borsa e la vita, p. 34; G. Ardenna, Riflessioni canonistiche in materia economica dal XII al XV secolo, pp. 28-29.
[23] "Usura è prendere più di quanto si sia dato". J. Le Goff, op. cit., p. 20 (citando Ieronimus, Breviarium in psalmos, LIV –PL 26, col. 1042–). Così si esprime anche Gerolamo (347-420), cfr. M. Giacchero, L’atteggiamento dei concili in materia d’usura dal IV al IX secolo, p. 319.
[24] S. Tommaso segue l'ottica economica aristotelica per la quale il denaro è sterile non può fare frutti. Aristotele distingueva, infatti, tra un’economia che lui definiva chrematistiké (creazione di ricchezza conseguente all’accumulo di denaro per se stesso) e la oikonomiké (funzionale al soddisfacimento dei bisogni della famiglia e della comunità). È evidente che solo quest'ultima era per la comunità, mentre la prima era individualistica. L'interesse, di conseguenza, non era lecito in quanto non era funzionale alla comunità.
[25] "La moneta [...] è stata in primo luogo inventata per gli scambi; il suo uso naturale e primo è dunque di essere utilizzata e spesa negli scambi. Pertanto è in sé ingiusto ricevere un prezzo per l’uso del denaro prestato; è in ciò che consiste l’usura" (san Tommaso d'Aquino: Summa Teologica, II-II, q. 78). Anche per san Bonaventura il denaro è di per sé improduttivo: "... quia pecunia, quantum est de se, per se ipsam non fructificat, sed fructus venit aliunde...". Ossia: "Il denaro, di per sé, non dà frutto, ma il frutto proviene da altrove" (Tertium Sententiarium dist XXXVII, dub. VII) . Cfr. per entrambe le citazioni J. Le Goff, op. cit., p. 23. Estremamente interessante sono poi le parole di sant'Antonio da Padova durante la quaresima del 1231 a pochi mesi dalla sua morte, ed in quello che fu il suo testamento spirituale, scrisse relativamente ai poveri e alle vittime dell'usura (con particolare riferimento alla famiglia degli Scrovegni, noti usurai di Padova): "Razza maledetta! Sono cresciuti forti e innumerevoli sulla terra, e hanno denti di leone. L'usuraio non rispetta né il Signore, né gli uomini; ha i denti sempre in moto, intento a rapinare, maciullare e inghiottire i beni dei poveri, degli orfani e delle vedove… E guarda che mani osano fare elemosina, mani grondanti del sangue dei poveri. Vi sono usurai che esercitano la loro professione di nascosto; altri apertamente, ma non in grande stile, onde sembrare misericordiosi; altri, infine, perfidi, disperati, lo sono apertissimamente e fanno il loro mestiere alla luce del sole”. Il linguaggio della sua predicazione, che in buona parte ci è stata tramandata, era semplice e diretto: “La natura ci genera poveri, nudi si viene al mondo, nudi si muore. È stata la malizia che ha creato i ricchi, e chi brama diventare ricco inciampa nella trappola tesa dal demonio". In Sermones: in www.santantonio.org/portale/sermones.
[26] Tra i passi della Torah che si pronunciano esplicitamente contro l’esazione dell’interesse finanziario vanno ricordati l’Esodo, il Levitico e il Deuteronomio. In esso si formò uno dei cardini dell’etica basata sulla fratellanza di sangue delle comunità ebraiche: in esso si statuiva la solidarietà del mishpaha (clan) e l’esclusione del nokri (lo straniero) dai privilegi e dagli obblighi della comunità; inoltre si proibiva all’ebreo di ritrarre qualunque neshek (interesse) dal proprio fratello, rendendolo lecito, invece, nei confronti del nokri. Le proibizioni che riguardano l’usura nell’Antico Testamento sono: 1) nell’Esodo: "Se tu presti denaro a qualcuno del mio popolo, all’indigente che sta con te, non ti comporterai con lui da usuraio: voi non dovete imporgli alcun interesse" (Es 22,24); 2) nel Levitico: "Se tuo fratello che è presso di te cade in miseria ed è privo di mezzi, aiutalo, come un forestiero e inquilino, perché possa vivere presso di te; non prendere da lui interessi né utili; ma temi il tuo Dio e fa vivere il tuo fratello presso di te; non gli presterai denaro a interesse, né gli darai il vitto a usura" (Lv 25, 35-37); 3) nel Deuterenomio: "Non farai al tuo fratello prestiti ad interesse, né di denaro né di viveri, né di qualunque cosa che si presta ad interesse. Allo straniero potrai prestare ad interesse, ma non al tuo fratello, perché il Signore tuo Dio ti benedica in tutto ciò a cui metterai mano, nel Paese in cui stai per andare a prendere possesso" (Dt 23, 20-21).
[27] Interessante la posizione di J. M. Keynes sull'usura e che, nella sua opera The General Theory of Employment, Interest and Money, scrive (libro VI, cap 23, V): "... Sono stato educato a ritenere che l'atteggiamento della Chiesa medioevale nei confronti del tasso d'interesse fosse essenzialmente assurdo, e che le sottili discussioni intese a distinguere il reddito dei prestatori monetari dal reddito dell'investimento attivo fossero soltanto tentativi ipocriti per trovare una via d'uscita pratica ad una teoria insensata. Ma adesso considero quelle discussioni come un onesto sforzo intellettuale per tener separato ciò che la teoria classica ha confuso inestricabilmente assieme, il tasso d'interesse e l'efficienza marginale del capitale. Adesso mi pare infatti chiaro che le disquisizioni degli scolastici erano dirette a chiarire una formula che permettesse alla scheda dell'efficienza marginale del capitale di essere alta, pur impiegando la norma e la consuetudine e la legge morale per tenere basso il tasso d'interesse. Perfino A. Smith fu estremamente cauto nel suo atteggiamento nei confronti della leggi sull'usura. Egli infatti si rendeva ben conto del fatto che i risparmi individuali possono venir assorbiti o da investimenti o da prestiti, e che non vi nessuna garanzia che troveranno uno sbocco nei primi. Inoltre egli era favorevole ad un tasso d'interesse basso quale mezzo di aumentare la probabilità che il risparmio trovasse sblocco nell'investimento nuovo invece che nei prestiti; e, per questa ragione, in un brano per il quale fu severamente redarguito da Bentham, difese una moderata applicazione delle leggi sull'usura...".
[28] Si consulti, a tal proposito, il libro di Paola Vismara Oltre l'usura, Rubettino Editore, 2004
[29] Giovanni Calvino influenzerà, infatti, praticamente tutta l'attività economica protestante del vecchio e del nuovo continente permettendo uno sviluppo senza pari con il passato. Si ricordi che dal suo pensiero è nata la grande opera di Max Weber L'etica protestante e lo spirito del capitalismo, con la quale s'iniziò le riflessioni sulla sociologia della religione ed in cui si sosteneva che era "l'ascetismo calvinista" che aveva permesso la diffusione del capitalismo e l'affermarsi della ricchezza ove tale pensiero era stato messo in pratica. Per la verità gli ultimi studi economici hanno in parte disattese ciò, facendo anticipare all'Economia Francescana la costruzione di una moderna economia sociale da cui è derivata quella capitalistica (si veda su ciò S. Zamagni, L'etica cattolica... Op. Cit.). Il pensiero di Calvino, spesso male interpretato, ha creato tuttavia una molteplicità di problemi e di fondamentalismi socio/economici che hanno creato, e creano, difficoltà ad una socialità diffusa e ad un cambiamento del capitalismo.
[30] S Green, Servire Dio o il denaro? I cristiani e i mercati finanziari. Effatà Editrice, 2001, pagg. 34 e ss.
[31] Cfr. B. Nelson, The Idea of Usary, University of Chicago Press, 1969, pp. 75 ss., cit in R. Harries, Is There a Gospel for the Rich?, Mombray, London 1992, p.140.
[32] Lo stesso Adam Smith, l'autore di Indagine sulla ricchezza delle nazioni e Teoria dei sentimenti morali era docente di Filosofia Morale.
[33] Bartolomeo Intieri, nato presso Firenze nel 1678, fu scienziato naturalista di fama mondiale e noto in molteplici università europee ed americane. Per la sua fama, divenne punto di riferimento tra uomini di stato e docenti. Nel 1754 fondò, presso l'università di Napoli, la Cattedra di Commercio e Meccanica, la prima in Europa, e ottenendo che fosse assegnata a Genovesi e che, dopo di lui, l'insegnamento fosse riservato a laici o preti - restandone esclusi i religiosi regolari - e fosse impartito in lingua italiana. Morì a Napoli nel 1757.
[34] Tale fu anche il titolo della sua opera principale che pubblicherà nel 1765.
[35] Una nota frase latina, scolpita sull'architrave di marmo di uno degli ingressi della Cassa di Risparmio di Verona, recita: "Pecunia si uti scis ancilla, si nescis domina" ("Il denaro se lo usi bene è il tuo schiavo; diversamente sarà il tuo padrone").
[36] L'Economia Civile ha fatto poi da madrina ad altri generi di economie quali quella Sociale e Solidale che si sono poi ulteriormente affermate ma che oggi bisogna ricomporre ad una prospettiva comune. Tutte queste economie si contrappongono a loro volta all'Economia Politica nata dal pensiero di Adam Smith.
[37] Il Consiglio Nazionale delle Chiese di Cristo negli Stati Uniti, solitamente identificato come Consiglio Nazionale delle Chiese o NCC) è un consiglio di natura ecumenica composto da oltre trenta gruppi religiosi cristiani degli Stati Uniti e comprendono chiese protestanti, ortodosse, evangeliche, afro-americane e così via; in pratica oltre centomila congregazioni e molti milioni di aderenti.
[38] L'idea è stata di un gruppo di genitori di Bochum che avevano un sogno: costruire una scuola per i propri figli, che applicasse la pedagogia steineriana. Lo Stato non concedeva contributi e servivano molti soldi, ma le banche erano restie a concedere finanziamenti. Gli antroposofi di Bochum si organizzarono e decisero di mettere in piedi loro stessi un istituto bancario.
[39] L'approccio sociale, etico e finanziario è specificato nel nome stesso di Triodos. Triodos - tri-hodos – è traslato dal greco τριοδος come "percorso su tre vie" o "crocevia a tre strade" per ricordare che tutte le attività della banca si ispirano a tre condizioni basilari: i) tutti gli esseri umani hanno il diritto di svilupparsi e di esercitare in tutta libertà le proprie capacità individuali; ii) tutti gli esseri umani hanno il diritto, se lo desiderano, e se credono di averne la capacità, di partecipare alla vita sociale; iii) per essere durevole un’economia non può essere concepita e svilupparsi che attraverso dei progetti responsabili, che tengano conto cioè dell’importanza dell’interesse generale, come pure dei bisogni di ciascuno e del rispetto delle leggi della natura.
[40] Dal greco "anthropos", uomo, e "sophia", saggezza: una vera e propria scienza dell’umano.
[41] "… Quando si parla di Islam occorre parlare di “ortoprassi” e non di etica, perché per essere musulmani bisogna essere configurati nell’ortoprassi. Per comprendere il significato di tale concetto bisogna capire che l’Islam è una domanda di guida dell’esistere, di indicazione di via, ma non è domanda su Dio, la cui credibilità si fonda sulla fede del Veridico che si chiama Allah. È etica da Dio, non di Dio, che non diventerà mai ethos. La connotazione etica è quella dell’abd, il servo, nelle mani del suo Padrone che deve accettare la shari’a. La domanda non è prettamente religiosa: da Dio il credente è sottomesso al Veridico. Il rapporto tra l’uomo e Dio è determinato da un Patto che viene liberamente offerto dal Signore all’uomo. L’uomo, «schiavo e servo di Allah» una volta che ha accettato di diventare credente è chiamato a mettere in pratica le disposizioni che ha ricevuto da Allah." (Marzio Gatti, Conoscere l'Islam. In http://www.webdiocesi.chiesacattolica.it
[42] R. Milano, La finanza e la Banca Etica. Economia e solidarietà. Edizioni Paoline, 2001, pag 51.
[43] "O voi che credete! Non consumate vanamente tra voi i vostri beni ma usateli piuttosto per commerciare di comune accordo tra voi e non uccidetevi fra voi.", Il Corano, 4,29 in Il Corano a cura di C. M. Guzzetti , Editrice Elle Di Ci 1993
[44] F. Miglietta, La finanza tra Islam e Occidente su www.lavoce.info del 29.05.2007
[45] Le "motivazioni religiose" accennate alla base della diffusione delle banche islamiche traggono origine da alcune massime contenute nel Corano. Vale la pena di riportarle: i) 2, 275-276, 278: "Quelli che invece vivono di usura sorgeranno dai sepolcri nel giorno della resurrezione come colui che Satana ha reso epilettico col suo tocco. E questo perché dicono: «Il commercio è come l'usura». Mentre Dio permette il commercio e condanna l'usura. Chi viene a conoscenza di questo ammonimento del suo signore e desiste dall'usura, potrà conservare i guadagni fatti in passato e se la vedrà con Dio; quelli invece che tornano a praticare l'usura finiranno nel fuoco dell'inferno e vi resteranno per sempre. Dio annienterà l'usura e farà fruttare, perché Dio non ama i miscredenti ed i peccatori." […] " O voi che credete! Temete Dio e rinunciate ai profitti dell'usura che vi resta da riscuotere, se siete credenti." ii) 3, 130: " O voi che credete! Non praticate l'usura esigendo il doppio o il quadruplo della somma prevista! E temete Dio, sì che possiate prosperare..." iii) 30,39: "Ciò che prestate ad usura perché aumenti a capito dei beni degli altri non aumenterà presso Dio , ma ciò che date in elemosina cercando il volto di Dio vi sarà raddoppiato."
[46] Si rivedano anche in questo caso le parole di Keynes alla nota 27.
[47] Si ricordi che durante la stagione dei Padri della Chiesa e fino a tutto l'Alto Medioevo il peccato capitale fondamentale era la superbia in quanto da un atto di superbia deriva la disobbedienza e da questa scoperta della propria vulnerabilità (l'essere nudi di Genesi 3,7). Successivamente il primato va all'avidità e all'avarizia in quanto essa contempla l'usura, la simonia, l'accumulazione dei beni a scopi non produttivi; insomma tutto ciò a differenza di oggi in cui anche l'avidità è divenuta spesso una virtù, con tutto ciò che ci è poi stato insegnato e che la crisi finanziaria ci sta facendo vivere.
[48] A tal proposito si rammenti la fortissima espressione di "strutture di peccato" che Giovanni Paolo II usò nell'enciclica Sollecitudo rei socialis ai §§ 34 e 36 che non è solo riferito alla soggettività, ma anche alle stesse istituzioni che non si comportano come dovrebbero (si veda anche la Centesimus Annus al § 36: "… anche la scelta d'investire in un luogo piuttosto che in un altro, è sempre una scelta morale e culturale.").
[49] Si vedano, in particolare: Il Consiglio Ecumenico delle Chiese con il documento AGAPE (Alternativa Globale: Ambiente, Pace, Economia); la Conferenza Europea delle Chiese che ha messo l'economia sulla sua agenda di Sibiu, nonché inclusa nella Charta Oecumenica; la chiesa Luterana ne ha fatto argomento della sua assemblea a Winnipeg nel 2003; la Conferenza Episcopale statunitense sin dal 1986 ha emanato un documento allarmato. Ma la posizione più articolata finora è stata presa dalla chiesa Riformata che tramite un processus confessionis della durata di dieci anni ha percorso con le sue chiese nel mondo un itinerario di discussioni e interrogazioni delle chiese povere alle chiese ricche. Un lungo processo di coscientizzazione che è sfociato nella confessione di fede di Accra del 2004.