Siamo reduci, grazie alla cosiddetta crisi, da un’assurda sbornia di crescita economica infinita. Si è trattato di un’illusione che ha però creato molte vittime. All’origine di tutto ci sono due aspetti ignorati nelle riflessioni sociologiche e in quelle sull’etica economica: una radicale perdita del senso del limite, fino ad attribuirla nostra stessa vita, e le passioni. Uno sguardo esageratamente materialista e consumista sull’esistenza ci ha costretti a fingere che siamo infiniti e la nostra esistenza terrena illimitata.
Ma il limite posto alla durata della vita biologica è in realtà una grande risorsa, forse tra le più grandi consapevolezze necessarie per vivere veramente. Il cambiamento radicale nel rapportarsi con la morte e il morire (fingendo che non esista) è databile all’epoca del boom economico post bellico, e non è da escludere che proprio la rimozione della morte dai nostri pensieri abbia favorito tante degenerazioni consumistiche. Anche la vita è un bene usa-e-getta, da godere illimitatamente, senza limiti: così ci insegna la pubblicità. Come dice il Dalai Lama: «La consapevolezza della morte è la base del percorso. Fino a che non si sviluppa questa consapevolezza, tutte le altre pratiche sono inutili».
L’altro aspetto ignorato è quello delle passioni. Nelle riflessioni delle antiche culture sapienziali sulla vita e la libertà degli uomini emerge spesso il tema della libertà collegato a quello delle passioni. È un tema trasversale a tutte le culture, a tutte le religioni e a tutte le epoche perché parte da un fatto umano universale: tutti gli uomini sono soggetti alle passioni. Per i filosofi greci il desiderio non controllato e il suo meccanismo perverso sono una vera e propria malattia e come già affermava Lao Tzu: «Non c’è peggiore calamità che l’aumento smodato dei bisogni». Chi contrasta l’aspirazione divina che porta in sé e cerca soddisfazione solo nei piaceri, si condanna a una fatica improba e perenne, senza mai trovare appagamento. L’antica saggezza cinese lo afferma con forza:
Non sciupiamo noi stessi in un folle turbinio, cercando di afferrare la vuota lode di un’ora, facendo piani per ottenere qualche residuo di reputazione che ci sopravviva. Ci muoviamo attraverso il mondo in uno stretto fosso, preoccupati delle piccole cose che vediamo e udiamo; rimuginiamo i nostri pregiudizi, passando a lato delle gioie della vita senza neppure accorgerci che ci è sfuggito qualcosa. Neppure per un momento gustiamo il vino forte della libertà, siamo imprigionati tanto realmente come se fossimo gettati nel fondo di un fosso carichi di catene (Yang-chu) .
Anche a causa di queste due premesse l’economia è divenuta un idolo da venerare e non più uno strumento per il bene-stare degli abitanti della casa comune. Potremmo senza remore dire che si tratta di una vera e propria religione che ha il suo tempio, il centro commerciale, i suoi riti domenicali, e consuma i suoi sacri pasti in un fast food. L’economia oggi è collocata al centro della vita sociale, familiare, individuale. Infatti si è verificata un’inversione di poli: non è più l’economia ad esser a servizio della società, ma è l'intera società ad essere inglobata nel meccanismo della sua stessa economia.
Al punto tale che una crisi economica divine una crisi totale. Il vocabolario dei Mass Media è farcito della parola crisi! Crisi ecologica, finanziaria, bellica, esistenziale, economica, religiosa… Che tutto questo vada in crisi è proprio negativo? Abbiamo perduto il significato delle parole: in greco significa semplicemente scelta, decisione. Una civiltà senza crisi è una civiltà morente. Diceva Einstein che: «La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. È nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera sé stesso senza essere ‘superato’».
Infatti il paradosso è che proprio a causa di questa idolatria dell’economia e della tecnologia si assiste ad una forte ripresa di interesse verso la spiritualità. Si potrebbe quasi affermare che la questione spirituale sia divenuta di primo piano: temi spirituali appaiono sempre più nei mass media. A questo riguardo l’antropologo Luis-Vincent Thomas afferma che: «Il fallimento di un mondo ipertecnicizzato genera un bisogno immenso di spiritualità». Ma anche in questo caso si profila un grave rischio: la spiritualità in molti casi è divenuta un prodotto commerciale ancora una volta inglobato dalle logiche dell’economia del profitto. Si è passati dalle tradizionali forme comunitarie al prevalere di un atteggiamento individualista o perfino egoista: la ricerca del proprio benessere! E molti vendono pacchetti preconfezionati in cui vengono fornite “esperienze spirituali”. In questo modo la forza trasfiguratrice della spiritualità viene neutralizzata.
Stiamo dimenticando, talvolta anche nella cristianità, il potere di trasformazione sociale della preghiera. Qualcosa del genere lo dice anche il nostro Catechismo (2732) quando afferma che «la tentazione più frequente è la mancanza di fede», un ateismo non dichiarato, ma di fatto, che consiste nel «mettere come prioritari mille lavori o preoccupazioni, ritenuti urgenti», mentre la preghiera è confinata in un angolo, ai ritagli di tempo, come ultimo rifugio. Una tale condotta è rovinosa, perché l’uomo si mantiene umano solo nella misura in cui vive nell’unione con Dio, a immagine del quale è fatto. «Il mondo sussiste grazie alla preghiera, ma quando la preghiera verrà meno, il mondo perirà» (Silvano del monte Athos); «Chi prega fa scendere benedizioni su tutta l’umanità, quando la terra non avrà più di queste anime, le sarà tolta la forza che la salva dalla catastrofe» (Ireneè Hausherr SJ).
Occorre ricongiungere un forte impegno interiore e spirituale ad un altrettanto forte impegno sociale. Occorre riunificare queste due anime: ascesi e vita di preghiera con impegno politico per trasformare la società ed annunciare il Regno. Ma per farlo occorre dapprima riprendere consapevolezza che siamo esseri soggetti al limite e questo permette di relativizzare tante paure, progetti illusori, ridicole presunzioni, esaltazioni comiche del proprio io, e riconsegna l’interiorità ad una quiete ed imperturbabilità raramente sperimentabili senza questa prospettiva.
Enzo Jannacci, un noto personaggio di spettacolo, cantava: «L’importante è esagerare»! Forse aveva ragione, ma se lo applichiamo a qualcosa di limitato lo distruggiamo. Esiste però un ambito in cui è lecito esagerare, qualcosa di noi può essere vissuto senza limiti: l’amore! Siamo esseri finiti e limitati ma con desideri infiniti e illimitati. Quindi solo l’Infinito può saziarli, fino al punto che solo in Lui non esiste nessun limite, nemmeno la morte!