Già avevo parlato del film L’Ora legale di Ficarra e Picone che avevo visto due anni fa (uscito tre anni fa credo), l’ho rivisto pochi giorni fa grazie a Violetta, la figlia di un mio amico, con la quale siamo rimasti a casa ad aspettare suo papà.
Violetta ha 11 anni, stava guardando una serie su Netflix, Gossip Girl, ma per grande gentilezza e cordialità mi ha ripetutamente chiesto se volevo vedere un film, anche se io guardavo la serie con lei e non mia annoiavo, anche perché mi ricordavo di quando vado a Milano a trovare mia sorella e mia nipote Sara mi fa vedere qualche serie che lei guarda. Allora Violetta mi ha fatto scegliere tra i film che aveva a disposizione e io ho scelto L’Ora legale. Ripeto quello che avevo scritto due anni fa: Ficarra e Picone mi piacciono come intrattenitori, non li reputo di spessore, ma devo dire che questa volta mi hanno sorpreso e spiazzato: la cosa più interessante del film è il finale, che non è un lieto fine. Qualcuno sicuramente (tipo Graziella, del cinema Cristallo di Dolceacqua dove avevo visto il film due anni fa) avrà trovato spiacevole il lieto fine, sarà rimasto deluso: il Sindaco mafioso e mediocre torna a vincere le elezioni dopo la vittoria del Sindaco coraggioso e onesto che darà le dimissioni. Il finale non lieto è “doloroso” perché è reale, o forse realista. Questo è un grande esempio di cinema non buonista e non scontato, per esempio come quello di Checco Zalone o di altre commedie degli ultimi anni. Alcune scene del film mi hanno ricordato il giovane Sindaco a 5 Stelle del mio paese in Sicilia: la raccolta differenziata, il pagamento del suolo pubblico dei venditori ambulanti del mercato settimanale, so che ha fatto una cosa simile anche il Sindaco di Messina, “Sindaco a piedi nudi e non violento e poi approva il provvedimento con multe per i venditori ambulanti” (dalla canzone Giovani assessori a futtiri cumpagnu, di cui sono autore). Sicuramente questi provvedimenti sono impopolari e coraggiosi, e attirano antipatie ai Sindaci al quale riconosco appunto inusitata onestà. Però vorrei andare su un altro piano: il cambiamento verso l’alto suscita sempre traumi, rottura di abitudini ecc. E questo va bene, bisogna affrontare e risolvere questi nodi sociali ecc. ecc. La questione però è anche un’altra, e il finale non lieto del film L’ora legale ci riporta a questo punto: concentrarsi sugli aspetti legalitaristi di una società non è la questione centrale, è importante, ma non è fondamentale: fondamentale è intanto colpire le fonti, le radici, andare a monte: per esempio per la questione dei rifiuti: è la produzione di plastica e di materiale tossico in generale e la produzione senza freni e senza limiti che è il cuore del problema, la gestione dei rifiuti è sì importante, ma poi se ci si concentra troppo su questo aspetto, a parte che non sempre si è sicuri che vadano a finire davvero nei luoghi di differenziazione, ma soprattutto ci si confonde: e ci si concentra sul senso di colpa personale, e poi la parodia è quella della scena del film in cui qualcuno si chiede assurdamente: come faccio a dividere l’umido dalla carta se la carta è impiastricciata di sugo o cose del genere?, e ognuno di noi potrebbe fare esempi personali di questo tipo, e poi le scene liberatorie del film e molto comiche diventano davvero…realistiche: quando più di un personaggio esasperato dalla cavillosità della raccolta differenziata butta tutto dal balcone o mangia anche la buccia della frutta o non mangia lo yogurt perché non sa dove buttare il vasetto. A parte il film, io ho visto e vedo sempre più spesso gente di mia conoscenza che si chiede e si preoccupa di buttare un torsolo di mela nel mare o anche un nocciolo di oliva, mentre eravamo in barca al largo! In questo sottobosco di automortificazione e di perdita di capacità di leggere la realtà bisognerebbe indagare, e il film L’Ora legale un po’ scava in questo sottobosco. Una volta una ragazza di Torino faceva la raccolta differenziata in modo molto rigido, e allora una mia amica mi fece osservare che quella stessa ragazza guidava e aveva un’automobile di proprietà, che inquina probabilmente molto di più di una buccia di banana messa in un sacco di spazzatura “sbagliata”. Allora il discorso è sempre quello: il nostro sistema ci impone un’amnesia selettiva: dimentichiamo che siamo complici e vittime di un circuito di industria di automobili, di cemento che ci sta sommergendo sempre di più con inquinamento e soprattutto perdita di autonomia e di creatività. Poi c’è anche la fabbrica che il Sindaco onesto fa chiudere perché inquina il fiume, ottimo esempio, e su questo esempio bisognerebbe puntare sulla chiusura e sulla riconversione delle fabbriche di armi che succhiano buona parte delle risorse monetarie dei paesi cosiddetti civilizzati, economia di guerra che poi colpisce i paesi cosiddetti “in via di sviluppo”. Per finire: la mafia vince anche perché, o forse soprattutto perché non si sviluppa autonomia e esercizio della responsabilità fino in fondo, non ci può essere una società felice fatta di individui infelici, come già accennava Leopardi. Il lavoro salariato è uno dei flagelli del nostro tempo: la dipendenza, la schiavitù mentale dal lavoro salariato o comunque non autogestito e autorealizzate e gratificante. Senza scomodare Marx, Illich e Cioran, non riuscire a realizzarsi con un mestiere che gestiamo nei tempi e nei ritmi è una forma di infantilizzazione, è come un bambino che cresce e continua a bere il latte dalla mammella della madre: ma ognuno di noi sa che lo svezzamento dovrebbe essere a tutti i livelli: se abbiamo bisogno di una mammella, che può essere un datore di lavoro pubblico o privato, non vuol dire che siamo sempre un po’, per certi versi, ancora da svezzare? Non voglio provocare, ma riflettere su questioni profonde che spesso preferiamo “sorvolare”, far finta di non vedere, passarci sopra, però credo sia importante andare a fondo, ogni tanto, e anche per questo il film L’ora legale mi è piaciuto, perché mi ha spinto ancora una volta ad andare un po’ più a fondo di come non mi è capitato guardando altri film comici di questo tipo. Senza voler riabilitare Ficarra e Picone o esaltare questo film più di tanto, che rimane un film “leggero” ma non facile, devo dire anche che mi ricorda un po’ Il signore della guerra con Nicolas Cage: un venditore illegale di armi non riesce a smettere di farlo, anche dopo aver perso il fratello e la moglie (per morte o separazione), non finisce con il personaggio principale che si redime, no, continua a vendere armi, forse perché il nostro sistema punta a non smettere di vendere armi, sogni e veleno, e quindi bisogna ribaltare, almeno per una volta e almeno mentalmente e moralmente, tutto il sistema, e il finale non lieto ci aiuta a restare svegli e a non illuderci che finisce bene, perché un sistema avvelenante e distruttivo non si ferma con un lieto fine.