Padre Gabor Codrea è parroco della chiesa rumena ortodossa di Sant’Elia lo Speleota. Lo abbiamo conosciuto nell’ambito del progetto Fedi e Finanza che Mosaico di pace promuove con Banca Popolare Etica. Lo abbiamo intervistato per conoscere meglio questa bella esperienza pastorale e sociale della periferia di Verona. Un seme di speranza in un tempo buio come la notte, sotto il profilo del dialogo e dell’accoglienza.
Padre Gabor, lei è parroco in questa chiesa?
Sì, dal 2001. Ho studiato a Venezia e poi sono stato destinato a questa parrocchia.
La chiesa sorge in un quartiere di periferia della città e il progetto con cui è nata è originale e partecipativo. Puoi raccontarcelo?
Il progetto di costruzione di questa chiesa risale al 2005, dietro una mia idea nella quale nessuno credeva, né la Chiesa rumena né i più stretti collaboratori che erano con me. Ci volevo provare. Volevo coinvolgere la comunità intera in una bonifica del territorio, allora totalmente abbandonato. Era un terreno incolto, abbandonato, costituito da resti di vecchie proprietà, un luogo decisamente poco curato perché nessuno si immaginava di poter far qualcosa di utile. Siamo vicini alla tangenziale, su una strada che conduce allo stadio, e, come spesso accade nei luoghi “di nessuno”, era diventato una discarica abusiva, luogo di prostituzione e spaccio, posto di grande degrado frequentato solo da chi aveva problemi con alcool o droga. Abbiamo chiesto al Comune di poterlo acquistare per bonificarlo. Lo Stato rumeno, acquirente, lo ha poi donato alla diocesi che a sua volta lo ha devoluto alla parrocchia. Inizialmente fu lanciata dai residenti una raccolta di firme, non “contro” questo posto, né con alcuna proposta, bensì per timore che noi potessimo ulteriormente danneggiare il luogo e chi vi viveva. Noi rumeni, incuranti dei pregiudizi, abbiamo cominciato a raccogliere a mano, tutti i rifiuti che erano sul terreno. Abbiamo fatto una vera raccolta differenziata, riempendo, in un solo anno, 48 camion di immondizia. Plastica con plastica. Legno con legno e così via. Poi la fase due: dovevamo mantenere pulito questo luogo, con l’auspicio che sarebbe potuto arrivar presto il tempo di costruire la chiesa. E accanto a un’attività di formazione civica della gente, abbiamo cominciato i lavori di bonifica e costruzione della chiesa.
Quindi, il vostro progetto si fondava, sin dall’inizio, su una riqualificazione ambientale. Quest’attenzione all’ambiente è rimasta costante nel tempo? Oltre alle attività pastorali cosa fate?
È sempre stata una parrocchia che s’impegna a 360 gradi. Ci occupiamo dell’aspetto sociale, di quello formativo e culturale e ci sta a cuore la promozione nella comunità parrocchiale del senso civico, che manca completamente nella stragrande maggioranza dei membri della parrocchia. Molti di noi vivono questo spazio e questo tempo in modo transitorio e così senza alcuna vera partecipazione, perché il loro unico obiettivo è ritornare in Romania. Questo fa sì che nostro scopo principale sia il coltivare il bene comune e promuovere l’impegno civico, il mettersi a disposizione degli altri. Siamo sempre molto attenti ai più bisognosi ma non vogliamo sostituirci allo Stato, bensì vogliamo solo testimoniare la nostra fede, cosa che va al di là di chi incontro ogni giorno. La mano tesa è verso lo straniero, verso chi non conosciamo, verso il prossimo in senso lato. E così facciamo doposcuola, abbiamo un ambulatorio, una mensa, una biblioteca, uno spazio per i piccoli e per i giovani. Uno spazio aperto a tutto il territorio.
Come vive il quartiere la vostra presenza?
Noi siamo, molto spesso – tutti – vittime di pregiudizi e non posso nascondere che qualcuno ce l’ha con i rumeni e una parte di colpa è anche nostra. Restiamo sempre, però, al servizio del territorio. Se ascoltiamo una notizia di cronaca che vede protagonisti gli stranieri rumeni, ci assumiamo la responsabilità ma noi dobbiamo fare la nostra parte. Non dobbiamo cadere nella tentazione di far di tutta l’erba un fascio. Siamo a disposizione degli altri e dei loro bisogni, indipendentemente dall’appartenenza politica o sociale, dal credo religioso perché noi siamo testimoni di un Dio che è trinità e fonte di ogni forma di dialogo e diversità. Siamo al servizio, ripeto, e in tal modo, i pregiudizi cadono. Così, in una delle feste del patrono della comunità, ad esempio, abbiamo visto la presenza persino di un senatore leghista, cosa che ovviamente non ci aspettavamo. Vengono da ogni dove. Abbiamo amici di ogni schieramento politico perché la Chiesa è testimone di Cristo e fa la sua politica, al di là di ogni allineamento ideologico, per dimostrare che è possibile mettersi a disposizione degli altri.
In che rapporti siete con il Comune e con le altre istituzioni e Chiese?
Buono, direi. Il Comune negli anni è diventato nostro partner e lavoriamo bene in sinergia anche con le altre Chiese e istituzioni. Le persone di buon senso, di là delle ideologie, possono collaborare a un progetto unitario per bene comune.
La vostra comunità ha una buona attenzione all’ambiente, dicevamo. Quali progetti in tal direzione promuovete oggi?
Il movimento ecumenico in generale è promotore dell’attenzione all’ambiente e della custodia del creato. Noi apriamo gli occhi di fronte alle diverse esperienze. Sottolineo sempre che noi siamo qui non per cambiare le regole o per imporre quello che ci piace di più. A noi piace investire in ciò che di buono e bello è stato fatto a Verona e ci inseriamo nei sentieri già aperti, senza sconvolgere nulla. Ci mettiamo rispettosamente e diamo il nostro contributo. Lavoriamo molto sulla promozione di una coscienza verde, ecologica, delle persone. Da diversi anni ormai le Chiese protestanti hanno a cuore il progetto “Il Gallo verde” che condividiamo e che ci piace tanto e ad esso ci siamo ispirati nella conduzione di questa Chiesa. Consumiamo, ad esempio, solo energia pulita perché abbiamo i pannelli fotovoltaici che ci rendono autonomi dal punto di vista energetico. Consumiamo l’energia che Dio dà al mondo. Poi facciamo passi piccoli senza urtare la sensibilità delle persone perché possano cogliere che questo mondo che Dio ci ha donato, questa nostra madre terra, non bisogna rovinarla. Facciamo la raccolta differenziata, cerchiamo – per quanto possibile – di non usare plastica perché la ceramica è migliore, anche se dopo va lavata. Crea più comunione sapere che nello stesso piatto ieri ha mangiato un’altra persona. Mangiare in un piatto usa e getta, solo mio e solo ora, rafforza l’individualismo.
Avete anche uno spazio a disposizione delle badanti, non necessariamente per uso di culto…
Una parrocchia deve essere innanzitutto luogo di fratellanza e di comunità. Ricordiamo che questo è un luogo di immigrati che molto spesso vivono la loro presenza in Italia con un senso profondo di solitudine. Le badanti soffrono tanto la mancanza della loro famiglia. Queste donne spesso abbandonano i figli per garantire loro un futuro. Si mettono a disposizione di uno sconosciuto e in questi momenti, pensando ai loro cari abbandonati lontano, nella mente e nel cuore si può creare un vero e proprio corto circuito. E stanno male. Noi proviamo a dar loro sostegno, ad aiutarle anche a livello psicologico. Le regaliamo, inoltre, questo spazio in cui potersi incontrare, gestire insieme il loro tempo libero, dandosi e dandoci delle regole naturalmente. Fanno amicizia, chiacchierano, cucinano insieme, sentono questo spazio comune come la loro casa. Ritrovano appartenenza.
Quanti sono i rumeni ortodossi a Verona?
È difficile dirlo. In una delle ultime raccolta di firme che abbiamo promosso, eravamo 4000. All’anagrafe, dall’ultimo censimento, risultano 8000 persone ma non tutti i rumeni sono ortodossi. Credo siamo circa 6000.
Quali sono le più importanti problematiche di integrazione da parte dei rumeni?
Sono varie, dipende dalla persona, dall’amministrazione comunale. I problemi maggiori sono legati alla legislazione che rende difficile l’inserimento nel mercato del lavoro… Senza residenza non si può trovar lavoro, senza lavoro non danno la residenza. Altra difficoltà seria è la legge per l’acquisizione della cittadinanza o per problemi burocratici e di prassi difficili da capire e da risolvere. Piccoli problemi talora, ma che diventano grandi per persone che fanno i salti mortali per andare avanti.
Che importanza ha il dialogo tra culture e religioni?
Credo che l’essere umano abbia bisogno di dialogo con il diverso, sempre e comunque. Per migliorare non possiamo rimanere chiusi nel nostro guscio. La mentalità settaria, nella storia, non ha mai prodotto un uomo bello ma solo immagini di persone incomplete, problematiche. Mi auguro che tutti capiscano e gustino la bellezza dell’incontro con il diverso da sé. Il dialogo è necessario se vogliamo che l’umanità vada avanti.
Grazie.