Pochi giorni fa, in occasione della festa parrocchiale di Mirinzal, è venuta a trovarmi una famiglia e durante il pranzo, la mamma mi dice: “Padre Mario, il vero motivo per cui oggi siamo venuti qui è perché vogliamo condividere con te una bella notizia. Oltre io e mio marito, la prima persona a saperlo sei tu: io sono nuovamente incinta. Non era nei nostri programmi dare alla luce un altro figlio, anche a causa della mia età, ma Dio ci ha voluto sorprendere con questo regalo e noi stiamo vivendo questi giorni con sentimenti di gioia ma anche di trepidazione; comunque ci affidiamo al Signore perché tutto vada bene e sia fatta la Sua volontà”.

Dopo un istante di silenzio, ho abbracciato questa coppia e la loro figlia di appena un anno e mezzo, e ho detto loro: “Voi state vivendo la gioia del Natale e mi date l’opportunità di riflettere sul Natale di Gesù Cristo”.
Si, perché come dice il nostro papa Francesco, celebrare il Natale “è accogliere in terra le sorprese del cielo”: vivere il Natale è lasciarsi scuotere dalla sua sorprendente novità.
Celebrare il Natale è fare come Gesù: scendere verso chi ha bisogno di noi; è fare come Maria: fidarsi, docili a Dio, anche senza capire cosa Egli farà; è fare come Giuseppe: alzarsi per realizzare ciò che Dio vuole, anche se spesso non è secondo i nostri piani.
Mi viene in mente l’invito di papa Francesco, a mettere da parte i “frastuoni del consumismo” e a sostare in silenzio davanti al presepe: “Prenditi un po’ di tempo, vai davanti al presepe e stai in silenzio. E sentirai, vedrai la sorpresa”.
Se Natale, aggiunge il Papa, “rimane solo una bella festa tradizionale, dove al centro ci siamo noi e non Lui, sarà un’occasione persa. Per favore, non mondanizziamo il Natale! Non mettiamo da parte il Festeggiato, come allora, quando venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto”.
Sarà Natale “se, come Giuseppe, daremo spazio al silenzio; se, come Maria, diremo eccomi a Dio; se, come Gesù, saremo vicini a chi è solo; se, come i pastori, usciremo dai nostri recinti per stare con Gesù. Sarà Natale, se troveremo la luce nella povera grotta di Betlemme. Non sarà Natale se cercheremo i bagliori luccicanti del mondo, se ci riempiremo di regali, pranzi e cene ma non aiuteremo almeno un povero, che assomiglia a Dio, perché a Natale Dio è venuto povero”.
Siamo chiamati a vivere “un Natale ricco delle sorprese di Gesù! Potranno sembrare sorprese scomode, ma sono i gusti di Dio. Se li sposeremo, faremo a noi stessi una splendida sorpresa. Lasciamoci sorprendere da Gesù in questo Natale”, proprio come il primo Natale, pieno di sorprese innanzitutto per Maria “promessa sposa di Giuseppe: arriva l’angelo e le cambia la vita. Da vergine sarà madre”. Poi per Giuseppe chiamato a essere padre di un figlio senza generarlo, e per non danneggiare Maria, non la ripudia, ma pensa di congedarla in segreto.
E se noi vogliamo viverlo, “dobbiamo aprire il cuore ed essere disposti a un cambio di vita inaspettato”. Infatti, ad accogliere il Salvatore non ci sono le autorità del tempo, o gli ambasciatori, ma dei semplici pastori che, sorpresi dagli angeli mentre lavoravano di notte, accorrono senza indugio: Natale è celebrare l’inedito di Dio, o meglio, è celebrare un Dio inedito, che ribalta le nostre logiche e le nostre attese.
Come prepararci, allora, all’evento della nascita di Cristo? Credo che lo stesso papa Francesco ci indichi un cammino, quando afferma che l’essere umano “è diventato avido e vorace. Avere, riempirsi di cose pare a tanti il senso della vita. Un'insaziabile ingordigia” che porta “ai paradossi di oggi, quando pochi banchettano lautamente e troppi non hanno pane per vivere”. E spiega che Gesù “lancia un nuovo modello di vita: non divorare e accaparrare, ma condividere e donare”.
Certamente “Betlemme è la svolta per cambiare il corso della storia”, della nostra vita. Ma per andare verso Gesù, a Betlemme, e non aspettare Dio “sul divano” come chi si sente arrivato e non ha bisogno di nulla, “la strada, anche oggi, è in salita: va superata la vetta dell'egoismo, non bisogna scivolare nei burroni della mondanità e del consumismo”.
Per vivere questa svolta nella nostra vita, siamo chiamati a dire al Signore: “Voglio arrivare a Betlemme, Signore, perché è lì che mi attendi. E accorgermi che tu, deposto in una mangiatoia, sei il pane della mia vita. Ho bisogno della fragranza tenera del tuo amore per essere, a mia volta, pane spezzato per il mondo”.
Solo andando incontro a Dio, come hanno fatto i pastori con Gesù, non dormendo ma rischiando, si può cogliere l'essenza del messaggio di Natale. Infatti, i pastori si muovono: andarono senza indugio, dice il Vangelo. “Non stanno fermi come chi si sente arrivato e non ha bisogno di nulla, ma vanno, lasciano il gregge incustodito, rischiano per Dio. E dopo aver visto Gesù, pur non essendo esperti nel parlare, vanno ad annunciarlo, tanto che 'tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori'. Attendere svegli, andare, rischiare, raccontare la bellezza: sono gesti di amore”.
E nella mangiatoia, Dio si presenta come cibo per il mondo. Egli, infatti, “sa che abbiamo bisogno di cibo per vivere. Ma sa anche che i nutrimenti del mondo non saziano il cuore”. E a Betlemme, in quella «casa del pane» che è la mangiatoia, giunge il Messia che “non prende, offre da mangiare; non dà qualcosa, ma se stesso. A Betlemme scopriamo che Dio non è qualcuno che prende la vita, ma Colui che dona la vita”: Dio “si fa piccolo per essere nostro cibo”, un cibo “che non scade mai” e che “ci fa assaporare già ora la vita eterna”. Nutrendoci di Lui possiamo “rinascere nell’amore e spezzare la spirale dell’avidità e dell’ingordigia”; contemplando la scena della nascita di Cristo in una mangiatoia “capiamo che ad alimentare la vita non sono i beni, ma l’amore; non la voracità, ma la carità; non l’abbondanza da ostentare, ma la semplicità da custodire”.
Ecco il motivo per il quale il Papa ci esorta a interrogarci e riflettere: “Qual è il cibo della mia vita, di cui non posso fare a meno? (…) Ho davvero bisogno di molte cose, di ricette complicate per vivere? Riesco a fare a meno di tanti contorni superflui, per scegliere una vita più semplice?”. E, osservando i poveri che camminano insieme a Maria e Giuseppe, dobbiamo cogliere l’invito di Gesù che ci chiede di alzarci svelti da tavola per servire, come pani spezzati per gli altri. Quindi interroghiamoci: “A Natale spezzo il mio pane con chi ne è privo?”. E se a Natale il vero dono per noi è Gesù, come Lui dobbiamo essere dono per gli altri: accogliere Gesù significa diventare quotidianamente un dono gratuito per coloro che incontriamo sulla nostra strada. Lo scambio dei doni a Natale, infatti, è “un segno, un segnale di questo atteggiamento insegnato da Gesù; lui inviato dal Padre è stato un dono e noi vogliamo essere doni per gli altri”. “Con l’incarnazione del Figlio, Dio ci ha aperto la via della vita nuova, fondata non sull’egoismo ma sull’amore”.
Il sogno di Dio, infatti, è costruire un mondo nuovo, un mondo in cui non ci sono più persone rifiutate, maltrattate e indigenti. Di qui l’esortazione a “essere dono di Dio per gli altri prima di tutto per coloro che non hanno mai sperimentato attenzione e tenerezza”. Il Natale ci spinge a farlo, “Così Gesù viene a nascere ancora nella vita di ciascuno di noi e, attraverso di noi, continua ad essere dono di salvezza per i piccoli e gli esclusi”.
È questa la fede che dobbiamo testimoniare e vivere e che ci spinge a non avere paura di sperimentare nuove forme di relazione in cui nessuno debba sentire che in questa terra non ha un posto: Natale è tempo per trasformare la forza della paura in forza della carità. La carità che non si abitua all’ingiustizia come fosse naturale, ma ha il coraggio, in mezzo a tensioni e conflitti, di farsi “casa del pane”, terra di ospitalità.
Nel Bambino di Betlemme, Dio ci viene incontro per renderci protagonisti della vita che ci circonda. “Si offre perché lo prendiamo tra le braccia, perché lo solleviamo e lo abbracciamo. Perché in Lui non abbiamo paura di prendere tra le braccia, sollevare e abbracciare l’assetato, il forestiero, l’ignudo, il malato, il carcerato (cf. Mt 25,35-36). In questo Bambino, Dio ci invita a farci carico della speranza. Ci invita a farci sentinelle per molti che hanno ceduto sotto il peso della desolazione che nasce dal trovare tante porte chiuse. In questo Bambino, Dio ci rende protagonisti della sua ospitalità.
Commossi dalla gioia del dono, piccolo Bambino di Betlemme, ti chiediamo che il tuo pianto ci svegli dalla nostra indifferenza, apra i nostri occhi davanti a chi soffre. La tua tenerezza risvegli la nostra sensibilità e ci faccia sentire invitati a riconoscerti in tutti coloro che arrivano nelle nostre città, nelle nostre storie, nelle nostre vite. La tua tenerezza rivoluzionaria ci persuada a sentirci invitati a farci carico della speranza e della tenerezza della nostra gente”.
E allora sì che sarà Natale, quando saremo in grado di mettere in pratica il senso di questa preghiera di Lambert Noben dal titolo SONO NATO NUDO che offro a ciascuno di voi:
Sono nato nudo, dice Dio, perché tu sappia spogliarti di te stesso.
Sono nato povero, perché tu possa soccorrere chi è povero.
Sono nato debole, dice Dio, perché tu non abbia mai paura di me.
Sono nato per amore perché tu non dubiti mai del mio amore.
Sono una persona, dice Dio, perché tu non abbia mai a vergognarti di essere te stesso.
Sono nato perseguitato perché tu sappia accettare le difficoltà.
Sono nato nella semplicità perché tu smetta di essere complicato.
Sono nato nella tua vita, dice Dio, per portare tutti alla casa del Padre.
Vi auguro, allora, un Natale solidale, in modo da riscaldare i cuori di tanti uomini afflitti dai mille problemi, che vivono nel degrado, nell’abbandono, nell’emarginazione e nella miseria. Un Natale che partendo dalla scena del presepe dell’amore, sappia rilanciare il messaggio della speranza e della condivisione fra gli uomini! Un Natale che faccia nascere in noi il sogno di pace, di giustizia e di libertà da cui prende origine, forza e significato la vita stessa, e così costruire un mondo diverso, più equo, più solidale e più vivibile, ben lungi da ogni logica di potere, di mafia e profitto.
Il Dio della pace, che nasce tra l’indifferenza dei potenti della terra, per primo ci ha dato l’esempio: Egli, da Re che era si è annichilito, abbassato, fino a chinarsi su di noi e sulle miserie dell’umanità, assumendo la nostra condizione umana nei panni di un infante bambino, linguaggio disarmante dell’Amore.
Non rassegniamoci di fronte ai lutti, alle sconfitte, alle lotte mafiose che seminano panico nelle nostre città; ed ancora di fronte alle infinite guerre, alle violazioni dei diritti umani, ai danni ambientali, alle ingiustizie, alle oppressioni. Bisogna lottare tenacemente e trovare la forza di mettersi insieme per vincere ogni intimidazione, ogni ricatto di origine mafioso, ogni paura. Il male si vince con la forza disarmante del bene, con l’amore. Regni allora amore e nonviolenza, dialogo e amicizia, perdono e riconciliazione fra gli uomini. Risuoni il canto della speranza, affinché vinca la vita e la pace.
Non siamo soli! Lui, il Bambino Gesù è con noi, è l’Emmanuele, il Dio-con-noi. Auguro che ad iniziare da me, possiamo mettere tutto questo in pratica: amen!
Vostro fratello in Cristo,
sac. Mario Pellegrino


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