La storia ci ha confermato, che la produzione industriale di armi, ha svolto un ruolo determinante per il superamento di momenti di depressione economica: non si po’ infatti dimenticare che la Grande Depressione degli anni Venti, si concluse proprio grazie all’impulso che la produzione di materiale bellico avviata con l’inizio della seconda Guerra Mondiale, fornì per la ripresa dell’economia statunitense.
Alla fine del secondo conflitto mondiale, la corsa agli armamenti da parte delle due grande contrapposizioni ideologiche che hanno caratterizzato il periodo della Guerra Fredda, ha garantito un nuovo impulso al mercato bellico, mantenendo l’economia dei paesi “in salute”. La cosiddetta economia di guerra, ha segnato le scene economiche e le scelte geopolitiche, anche dopo la caduta del muro di Berlino e il dissolvimento dell’Urss.
A seguito degli attacchi terroristici del 11 settembre 2001, e la dichiarazione di guerra al “Terrorismo” dell’allora presidente G.Bush, abbiamo assistito ad un costante aumento della spesa militare fino ad oggi.
Il rapporto 2020 sulla spesa militare nel mondo dello Stockholm International Peace Institute (SIPRI), riporta che nel 2019 il budget globale destinato agli eserciti è salito a un livello che non si raggiungeva dalla fine della Guerra Fredda.
Nel mondo, durante il 2019, i diversi governi hanno stanziato nel complesso 1.917 miliardi di dollari per la Difesa. Tale cifra è in crescita del 3,6% rispetto al 2018 e del 7,2% rispetto al 2010. Gli eserciti nel 2019 hanno pesato il 2,2% del PIL globale 8 https://www.sipri.org/yearbook/2020).
Tale scenario rende ancora più evidente l’interesse che il Pentagono riserva sulle basi.
Usa/Nato presenti sul nostro territorio
Come ha affermato il segretario alla Difesa degli Stati Uniti William S. Cohen. “Il territorio italiano, che ai tempi della guerra fredda doveva solo servire a ritardare l’avanzata di un’eventuale offensiva sovietica, è diventato una portaerei terrestre indispensabile per lo svolgimento della guerra. «Senza l’accesso alle basi e ai porti italiani semplicemente la Nato non avrebbe potuto effettuare questa importante operazione»” (W. Cohen, Conferenza stampa con il ministro della Difesa Carlo Scognamiglio, Washington 16/4/1999 riportato su https://www.limesonline.com/cartaceo/paghiamo-con-le-basi-la-nostra-sicurezza, nda).
Inquadramento storico e normativo della presenza militare Usa in Italia
Con l’adesione al patto atlantico di difesa miliare NATO del 4 aprile 1949, l’Italia entra e si posiziona ufficialmente all’interno del blocco occidentale contrapposto a quello sovietico del patto di Varsavia, diventando un’importante base logistico-militare per le truppe alleate, soprattutto per quelle americane.
A partire dagli anni Cinquanta, a seguito della sottoscrizione di alcuni accordi di collaborazione militare con gli USA, in Italia si è stabilita la presenza statunitense sul nostro territorio. La questione politica che chiama in causa l’alleanza tra Italia e Stati Uniti, si basa su accordi che risalgono all’inizio della guerra fredda, quando la posizione strategica del nostro paese garantiva una presenza importante di controllo sul Mediterraneo.
La Convenzione sullo Statuto delle forze (SOFA), firmata a Londra il 19 giugno 1951 e ratificata dall’Italia con la legge 1335 del 1955 (Trattato di Londra o Nato Sofa), stabilisce le norme generali relative alla presenza di personale di uno o più paesi Nato sul territorio di un altro Paese dell’Alleanza.
Tale trattato regolamenta lo status delle forze armate degli Stati membri dell’Alleanza atlantica, in esso vengono disciplinati, fra l’altro, alcuni aspetti fondamentali dei rapporti fra Stati alleati come la ripartizione della giurisdizione fra Stato territoriale e Stato di appartenenza dei componenti di forze armate alleate che si rendano autori di reati (Tratto da Temi dell’attività Parlamentare La disciplina delle basi militari NATO ed USA in territorio nazionale https://leg16.camera.it/561?appro=327).
I successivi accordi bilaterali Italia – USA del 27 gennaio 1950 a Washington sull’assistenza difensiva reciproca e quello del 7 gennaio 1952 a Roma sulla sicurezza reciproca hanno reso la collaborazione e la presenza militare Italia- Usa una realtà consolidata sul nostro territorio fino ad oggi.
Il trattato fondamentale che disciplina lo status delle basi americane in Italia è l’Accordo bilaterale sulle infrastrutture (Bia), stipulato tra Italia e Stati Uniti il 20 ottobre 1954, firmato dal ministro italiano degli esteri di allora, Giuseppe Pella, e dall’ambasciatore degli Stati Uniti in Italia Clara Boothe-Luce.
Tale accordo regola le modalità per l’utilizzo delle basi concesse in uso alle Forze USA sul territorio nazionale ed è generalmente conosciuto come «Accordo Ombrello» per l’ampiezza della sue disposizioni, anche se la sua caratteristica principale è la segretezza, in quanto non è mai stato pubblicato.
In conformità al Bia sono stati approvati, nel corso degli anni, vari Memorandum d’intesa, tecnici e locali per regolamentare diversi aspetti connessi all’uso delle singole basi.
Allo scopo di procedere alla revisione degli Accordi Tecnici è stato approvato il Memorandum di intesa (Mou) noto come «Shell agreement» del 2 febbraio1995, in attuazione del Bia del 1954, relativo alle installazioni ed infrastrutture concesse in uso alle Forza statunitensi in Italia. Anche quest’accordo era caratterizzato dall’assoluta segretezza, finché il governo D’Alema non ne decise, non senza polemiche specie da parte americana, la parziale pubblicazione in seguito all’incidente del Cermis, nel 1999 (Strage in cui persero la vita 20 persone a seguito del trancio del cavo della funivia omonima da parte dell’aereo militare statunitense Grumman EA-6B Prowler della United States Marine Corps, volando a una quota inferiore a quanto concesso).
Lo Shell Agreement ha previsto la stesura e la revisione del Technical Agreement (Accordo tecnico - TA) per ciascuna base utilizzata.
Nel Memorandum si riconosce «l’opportunità di uniformare la stesura degli accordi tecnici che stabiliscono le procedure di applicazione del BIA per ogni installazione e/o infrastruttura e la necessità di definire le modalità per la restituzione delle infrastrutture...».
A tal fine le parti s’impegnano a negoziare nel quadro dei principali accordi esistenti, accordi tecnici per ciascuna installazione o infrastruttura (i modelli di tali accordi sono allegati al Memorandum e ne formano parte integrante).
I modelli degli accordi tecnici confermano che le basi militari utilizzate dagli Stati Uniti nel nostro Paese dovrebbero essere state soggette a una duplice forma di controllo operata dalle autorità militari statunitensi e italiane.
I comandanti delle basi sono militari italiani ma essi non hanno poteri di controllo sostanziale sulle attività poste in essere dagli Stati Uniti, poiché si limitano a decidere su questioni meramente pratiche quali il numero dei voli, orari dei voli, responsabilità di assistenza al traffico aereo. Il controllo di carattere militare sul personale, l’equipaggiamento, i tipi di attività che vengono posti in essere dagli Stati Uniti ricadono nella competenza del comandante statunitense. Quanto al trattamento del personale delle basi, gli schemi di accordi tecnici rinviano alle disposizioni contenute nel Trattato di Londra.
Il memorandum non ha inciso sull’accordo del 1954 e successivi, ma è valevole per il futuro.
Tutt’oggi in Italia non esiste una distinzione chiara tra basi Usa e basi Nato con presenza statunitense. È, infatti, difficile determinare se e a quale titolo le basi, le installazioni e le infrastrutture presenti nel territorio italiano siano riconducibili alla Nato oppure siano legate ad accordi bilaterali Italia – Stati Uniti.
Da ciò deriva che tutte le installazioni gestite dagli statunitensi sono al tempo stesso comandi o infrastrutture della Nato e delle forze armate nordamericane.
Tale ambiguità ha come conseguenza che non si sa mai con certezza chi dovrebbe esercitare la sovranità su queste installazioni, se gli statunitensi o gli italiani.
Infatti, vi sono due tipologie, in teoria ben distinte, di presenza militare nordamericana sul nostro territorio: la prima, costituita da basi Nato normalmente popolate, almeno in parte, da militari statunitensi, la seconda, per cui l’Italia si presta a fornire appoggio logistico direttamente all’esercito degli Stati Uniti.
A questo due tipologie si può aggiungere un’ulteriore promiscuità data dal fatto che all’interno delle basi NATO vi possono essere aree riservate agli Stati Uniti, e la linea di demarcazione tra le due tipologie, difficilmente appare particolarmente limpida (Le Basi militari Usa e Nato in Italia www.nogeoingegneria.com/tecnologie/sistemi-radar/le-basi-miitari-usa e-nato-in-italia/).
Le basi USA in Italia disciplinate sulla base di accordi bilaterali, secondo quanto pubblicato dall’Italian Yearbook of International Law nel 2006, sono otto, e precisamente le seguenti (Le basi americane in Italia – problemi aperti, Ronzitti, 2007):
1. Aeroporto di Capodichino;
2. Aeroporto di Aviano, Pordenone;
3. Camp Derby, Livorno;
4. la base di Gaeta, Latina;
5. la base dell’Isola della Maddalena;
6. la stazione navale di Sigonella;
7. l’osservatorio di attività solare in San Vito dei Normanni;
8. una presenza in Vicenza e Longare.
Queste ultime, si devono a una “bilateralizzazione” dell’art. 3 del Trattato Nato ai sensi del quale “le Parti, individualmente e congiuntamente, nello spirito di una continua e effettiva autodifesa e assistenza reciproca, manterranno e svilupperanno la propria capacità individuale e collettiva di resistenza ad un attacco armato”. Gli Stati Uniti, in altre parole, essendo geograficamente distanti dal teatro di guerre e tensioni nel Mediterraneo e nel Medio Oriente, hanno la necessità di usare le basi situate sul territorio italiano per rendere più efficiente la loro partecipazione alla Nato. Oltre a queste, bisogna inoltre tenere presenti sia le basi interamente italiane, ma che possono essere messe a disposizione dell’Alleanza, come ad esempio la base di Taranto ove le navi dell’Alleanza possono rifornirsi ed appoggiarsi.
Camp Darby: la prima base Usa in Italia
La base militare di Camp Darby, cosi chiamata in ricordo del brigadiere generale William
O. Darby, fondatore del Corpo dei Rangers, ucciso da artiglieria nemica il 30 aprile 1945 sulle rive del Lago di Garda, nasce nel 1951 a seguito di un accordo segreto fra governo americano e Pentagono da una parte e il ministero degli esteri italiano dall’altra sotto il governo De Gaspari.
Il 15 novembre 1952 venne inaugurata la base militare statunitense di Camp Darby.
Fin dall’inizio le autorità italiane, hanno sottolineato la “temporaneità” della concessione della zona ai militari Usa. In realtà l’accordo prevedeva una durata di 40 anni, poi divenuti 45 e, dopo il 1996, protratto senza indicare il termine di decadenza. L’accordo continua infatti a rimanere rigorosamente segreto.
La base, che è a tutti gli effetti una base americana anche se ospita un comando Nato, occupa circa 2mila ettari, oggi parte integrante del Parco di Migliarino-S. Rossore, tra la provincia di Pisa e l’estrema periferia di Livorno.
La scelta del luogo in cui sorge la base è sicuramente strategica : tra l’ aeroporto militare di Pisa e il porto di Livorno facilmente raggiungibile attraverso il canale dei Navicelli.
La base rappresenta un nodo strategico nella regione Sud, ed è l’unica base che permette la spedizione di materiale bellico via aerea, via mare e via terra grazie al sistema di binari ferroviari integrato. A pochi chilometri da Camp Darby sorge inoltre il Centro radar di Coltano, importante terminale del sistema di telecomunicazioni del Pentagono in Europa e nel Medio Oriente. La base ottiene così il riconoscimento del maggiore arsenale in Europa che rifornisce le forze terrestri e aeree statunitensi per le “missioni” in Medioriente e Africa.
Camp Darby svolge un ruolo di supporto logistico fondamentale e assicura capacità di rifornimento di armi ed equipaggiamenti completi alle truppe in tempi molto brevi, sensibilmente ridotti rispetto a quanto richiederebbe un trasferimento diretto dagli Usa. Infatti, nei suoi 125 bunker sono stoccati proiettili di artiglieria, bombe per aerei e missili in un numero che può essere stimato in oltre 1,5 milioni. Non si può escludere che, tra le armi aeree stoccate a Camp Darby, vi siano state e possano esservi bombe nucleari (Camp Darby, La storia a cura di Manlio Dinucci https://www.retedellapace.it/2017/07/camp-darby-storia-cura-di-manlio-dinucci/).
Insieme alle munizioni per artiglieria sono stoccati nella base carrarmati M1, Bradleys, Humvees e altri veicoli militari in un numero stimato in oltre 2500, insieme a oltre 11000 materiali militari di vario tipo.
Camp Darby è l’unico sito dell’Esercito Usa in cui carrarmati e altri veicoli da combattimento sono preposizionati insieme alle munizioni.
Nella base vi è presente l’intero equipaggiamento di due battaglioni corazzati e due di fanteria meccanizzata, che può essere rapidamente inviato in zona di operazioni attraverso il porto di Livorno e l’aeroporto di Pisa.
Sono infatti, stoccate nella base centinaia di griglie (pannelli d’acciaio perforati) che, trasportate nel teatro di operazioni, possono essere assemblate creando rapidamente piste per il decollo e l’atterraggio di cacciabombardieri.
Alla fine degli anni Ottanta, con la fine della guerra fredda e della contrapposizione frontale tra i due blocchi politici e militari Usa-Urss, avremmo potuto assistere a un ridimensionamento e una sostanziale riduzione delle centinaia di basi militari – soprattutto statunitensi – sparse in tutto il mondo. Purtroppo, è accaduto e accade esattamente l’opposto. I primi bombardamenti su Baghdad nel gennaio 1991 hanno inaugurato una “nuova” stagione, nella quale la guerra, è ritornata a rappresentare lo strumento principale della politica internazionale.
Camp Darby ha fornito la maggior parte delle armi (mezzi corazzati, proiettili d’artiglieria, bombe e missili per aerei) usate nelle due guerre a guida Usa contro l’Iraq, nel 1991 e 2003.
In particolare per la prima guerra con l’Iraq, la cosiddetta Operation Desert Storm, c’è stato un traffico dalla base di Camp Darby pari a 4 mila tonnellate di bombe e granate; per la campagna del Kosovo ne sono state utilizzate 16 mila. Nel 1998, alla vigilia del conflitto balcanico, sui moli tirrenici sono sbarcate 3.278 cluster bomb: i congegni a frammentazione, micidiali e delicati anche nel trasporto degli stessi. La logistica dei magazzini è gestita dal reparto il 31° Squadrone munizioni (Mini dossier Camp Darby: vicino a Pisala grande base USA/ (http://www.libriperlapace.it/marino/livorno/campdarby.html). Sono partite dalla base di Camp Darby anche le bombe e missili per aerei usati nella guerra Usa/Nato contro la Jugoslavia nel 1999 e in quella contro la Libia nel 2011.
Camp Darby ha un ruolo attivo anche nel rifornimento di armi negli attuali conflitti in Siria e in Yemen.
In un articolo di Manlio Dinucci pubblicato su “Il Manifesto”nel 2017, viene denunciata la scelta del porto di Livorno come base di partenza per la flotta navale “Liberty Global Logistics” che con le sue tre grandi navi “Liberty Passion”, “Liberty Pride” (Orgoglio di Libertà) e “Liberty Promise” (Promessa di Libertà), a partire da marzo 2017, effettuano il collegamento Livorno-Aqaba-Gedda, rendendo operativo il “Programma di sicurezza marittima” che, attraverso una partnership tra pubblico e privato, “fornisce al Dipartimento della difesa una potente, mobile flotta di proprietà privata, con bandiera ed equipaggio statunitensi”. Le tre navi hanno ciascuna “la capacità di trasportare centinaia di veicoli da combattimento e da appoggio, tra cui carrarmati, veicoli per il trasporto truppe, elicotteri ed equipaggiamenti per le unità militari”.
I problemi relativi alla sicurezza nello stoccaggio, ma anche al trasporto di tali quantità di materiale bellico, non sono nuovi, ma sono ancora oggi sottovalutati.
La pericolosità delle operazioni di trasporto di materiale bellico spedito dal porto di Livorno attraverso il Canale dei Navicelli per essere imbarcato su navi statunitensi è stata confermata anche in una rivista ufficiale dell’Aeronautica statunitense, L’Air Force Civil Engineer.
Nell’edizione della primavera 2001, il capitano Todd Graves forniva un dettagliato resoconto (dal titolo Moving Munitions) di quanto avvenuto a Camp Darby nell’agosto 2000 quando, a causa di gravi problemi strutturali in 8 bunker, fu necessario rimuovere, servendosi anche di robot, circa 100.000 proiettili e testate missilistiche ad alto potenziale con un peso netto esplosivo di oltre 240 quintali.
Le autorità civili non furono allertate e la popolazione presente anche nella zona balneare non fu fatta evacuare (https://www.retedellapace.it/2017/07/dossier-camp-darby-campagna-territoriale/ - Manlio Dinucci). Camp Darby non ha avuto nel corso degli anni, solo un ruolo fondamentale nel rifornimento di armi per le forze statunitensi impegnate su qualsiasi conflitto armato, ma è balzata più volte alle cronache più funeste della storia del nostro paese come affermato da Ferdinando Imposimato (presidente onorario della Suprema Corte di Cassazione): gli esplosivi usati per le stragi, da Piazza Fontana a Capaci e Via d’Amelio sono riconducibili alla base Toscana.
Camp Darby: cambiamenti, trasformazioni negli ultimi 10 anni
Nel 2012 l’esercito americano ha annunciato che il presidio a Camp Darby sarebbe stato riallineato come un impianto satellite della Caserma Ederle di Vicenza con una certa riduzione di personale, soprattutto di civili.
Le due basi, Camp Darby e Vicenza, sono state accomunate sotto il comando del L’United States Army Africa (USARAF), ex Southern European Task Force (Setaf), che è la componente dell‘esercito statunitense posta alle dipendenze dell‘United States Africa Command, l’organismo delle forze armate statunitensi che sovraintende a tutte le operazioni di guerra nel continente africano.
In realtà il passaggio non ha rappresentato un ridimensionamento della base Toscana, bensì un processo di ammodernamento strategico dell’esercito degli Stati Uniti d’America. Con l’obiettivo di disporre di truppe sempre più versatili, flessibili, rapide ed efficienti, il Comando centrale di U.S. Army che attiverà una brigata di tremila uomini per operare in Africa nell’ambito di un programma pilota denominato “Regional alignment concept”.
Si tratterà di un primo test del nuovo modello strutturato su basi rotatorie, che – secondo il Pentagono – consentirà di predisporre di un adeguato numero di soldati pronti a intervenire per “brevi missioni principalmente finalizzate all’addestramento e alla formazione militare”, “per addestrare a sostenere le truppe locali” nelle azioni antiterroristiche (Il nuovo volto aggressivo di US Army Africa Vicenza, Antonio Mazzeo 2012). Tra le sue molte “missioni”, l’Africom sta costruendo in Niger una base di droni armati, ufficialmente in funzione “antiterrorismo”. Gli interessi del Pentagono, hanno quindi cambiato “destinazione”, ma rimangono immutate le finalità ultime: l’Africa del Sahel, Mali, Niger e Ciad, sono tra i paesi più poveri del mondo, ma ricchissimi di materiale prime (coltan, uranio, oro, petrolio…) necessarie alla produzione delle multinazionali a stelle e strisce che temono sempre di più l’avanza della concorrenza della Cina (Il «grande gioco» delle basi in Africa, Manlio Dinucci 2019).
Nel 2015 è stato annunciato che la base di Camp Darby sarebbe stata «dimezzata» e che la parte lasciata libera sarebbe stata restituita all’Italia. È stata di conseguenza, diffusa la falsa notizia, che la base stesse perdendo di importanza o fosse perfino destinata alla chiusura. L’annunciata riduzione dell’area della base non ha di fatto ridotto le sue capacità.
Nell’ambito della revisione delle spese militari statunitensi, il 28 gennaio 2015 è stata formalizzata dall’Office of Defence Cooperation l’intenzione di restituire al Governo Italiano una porzione minima (circa il 3% dell’intera area), e al cui interno sono state realizzate dagli Stati Uniti varie infrastrutture con diversa destinazione d’uso (uffici, alloggi, funzioni logistiche e tempo libero) ancora in buone/ottime condizioni.
A conferma della permanenza degli interessi strategici della base da parte del Pentagono, avanzano i lavori per il collegamento via acqua col porto di Livorno con il relativo potenziamento dai lavori effettuati dagli enti locali sul Canale dei Navicelli.
Inoltre, nel limitrofo interporto di Guasticce, sullo Scolmatore dove sono stati effettuati lavori per accrescerne la navigabilità, ed è previsto un indotto per lo stoccaggio di materiali logistici di Camp Darby.
È palese quindi, che non sia mai stata prevista una riduzione della base, ma una “mera” riorganizzazione degli spazi al fine di migliorarne capienza e funzionalità dello stoccaggio dell’arsenale. Nel 2010, senza una processo di coinvolgimento e di condivisione della progettualità dell’intervento con istituzioni locali e la popolazione, l’aeroporto militare di Pisa viene trasformato in Hub aereo nazionale dedicato al transito aereo militare di uomini e di materiali destinati ai vari teatri bellici.
Allo stesso tempo è stata allargata e migliorata la darsena interna alla base, permettendo il transito e l’inversione a U di due imbarcazioni alla volta per il trasporto di armi dal porto di Livorno a Camp Darby e viceversa.
Dal marzo 2017 è iniziato un collegamento regolare tra Livorno e i porti di Aqaba in Giordania, Gedda in Arabia Saudita e altri scali mediorientali, effettuato mensilmente dalle navi della flotta Libersty Global Logistic.
In seguito dunque, all’accresciuto transito di armi da Camp Darby, di questi anni non risultava più sufficiente il collegamento via canale e via strada della base col porto di Livorno per questo è stato quindi deciso di realizzare una nuova linea ferroviaria che, dalla Stazione di Tombolo, porterà a un grande terminal all’interno di Camp Darby.
Il progetto del 2017 reso pubblico dal gruppo di opposizione “Diritti in Comune”, prevede la realizzazione di una nuova linea, integrata da un ponte girevole sul Canale dei navicelli che permetterebbe il transito di due treni al giorno. Verrebbe in tal modo potenziato anche il collegamento tra la base e l’Hub aeroportuale di Pisa.
Il costo della nuova ferrovia, previsto in 45 milioni di dollari, sarà a carico non solo degli Stati Uniti, ma della Nato e quindi anche dell’Italia.
Nel 2018, iniziano i primi lavori per la realizzazione della nuova linea ferroviaria, con l’intenzione di trasferire il trasporto delle merci, armi e munizioni da rotaia a ferrovia Il progetto prevede la costruzione di una linea costituita da quattro binari di 175 metri ciascuno, fino ad un enorme terminal dove potranno sostare e fino a 36 vagoni alla volta. Si prevede che un massimo di due convogli partiranno dal porto di Livorno diretti al terminal, e da qui all’area di stoccaggio.
Il progetto di ampliamento e potenziamento della base, oltre ad un importante impatto che prevede anche l’abbattimento di circa 1000 alberi del Parco naturale di San Rossore, porta in primo piano il tema della sicurezza che la base potenzialmente rappresenta essendo un obiettivo strategico di primaria importanza.
Nonostante diverse mozioni e manifestazioni da parte di movimenti ed esponenti politici al fine di contestare il potenziamento della base militare, il progetto ha goduto di un sostanziale sostegno da parte della Regione Toscana e dei rappresentanti dei Comuni limitrofi circa l’opportunità di realizzazione dello stesso.
E in gran sordina sono continuati gli accordi, gli incontri tra i rappresentanti, tesi a segretare le informazioni nella speranza che la realizzazione di tale ampliamento possa portare a una sostanziale crescita occupazionale, in un aerea di crisi come quella di Livorno e Pisa.
Nei mesi scorsi, quando l’Italia si è trovata, ad affrontare il lookdown imposto dalla pandemia globale per il Covid 19, molte attività economiche si sono fermate, con ripercussioni economiche importanti per tutta l’economia italiana.
Le poche attività che non hanno mai cessato la propria attività, perché ritenute “essenziali” sono proprie le aziende produttrici di strumenti bellici (Produttori italiani di armi: il dopo-coronavirus fa “ben sperare” Giorgio Beretta, 2020).
Durante la fase 2 sono ripresi anche i lavori di potenziamento della base di Camp Darby, con l’apertura del primo dei due cantieri previsti per quei lavori esterni alla reci nzione con filo spinato della base e quello in riva sinistra del canale dei Navicelli, per la costruzione del ponte girevole (Livorno: il sindaco la base americana – Comunicato contro la guerra di Livorno www.antimperialista.it Luglio 2020).
Sono anche ripresi gli incontri in gran segreto tra i rappresentati dell’esercito Americano e i rappresentanti delle istituzioni locali, incontri che non hanno ricevuto la minima ripercussione mediatica.
Altrettanto silenziosamente è avvenuto il trasferimento, presso l’area del comando Usa, dell’area “restituito all’Italia”. Durante i mesi di lookdown si è insediato nella zona riservata a Camp Darby, il Comando delle forze speciali dell’esercito italiano Comfose.
Il 12 giugno scorso, è stata inaugurata il nuovo quartier generale del Comando delle Forze Speciali alla presenza del ministro della Difesa Lorenzo Guerini.
Il comando, di recente istituzione (Il Comando delle forze speciali dell’Esercito è stato istituito nel settembre 2013 a Pisa, all’interno della più ampia Riforma dello strumento militare del 2012 voluta dall’allora Ministro della Difesa Ammiraglio Giampaolo Di Paola), ha come mission garantire la necessaria unitarietà all’addestramento, all’approntamento, allo sviluppo dottrinale e procedurale nonché all’acquisizione dei materiali per il comparto Forze Speciali/Forze per Operazioni Speciali. Come sottolineato da Dinucci in un articolo uscito sul “Il manifesto” lo scorso 13 luglio “il trasferimento del Comfose in un’area annessa a Camp Darby, formalmente sotto bandiera italiana, permette di integrare a tutti gli effetti le forze speciali italiane con quelle statunitensi, impiegandole in operazioni coperte sotto comando Usa. Il tutto sotto la cappa del segreto militare”.
Lo scenario che si delinea non è per niente rassicurante, soprattutto se supportato dal contributo della ricercatrice Francesca Angius dell’Archivio Disarmo di Roma sulle modalità e sulle finalità e le modalità delle “operazioni PSYOPS” proprie del comando Comfose.
Le Psyops possono essere definite come il complesso delle attività psicologiche pianificate in tempo di pace, crisi e guerra, dirette verso Gruppi Obiettivo (GO) amici, neutrali o nemici, al fine di influenzarne gli atteggiamenti e i comportamenti che incidono sul conseguimento di obiettivi politici e militari, dove per GO si intende un selezionato insieme di persone o di figure sociali, quali forze nemiche, schieramenti amici, settori della popolazione, autorità civili e militari, personalità di rilievo o comunque godenti di ampio credito (https://www.peacelink.it/mediawatch/a/47540.html).
Le Psyops, quindi, sono finalizzate alla conquista delle menti attraverso la gestione ad arte delle informazioni e delle verità e costituiscono uno strumento di strategia militare. L’esigenza di dotarsi di unità Psyops è nata, in seno alla Nato, dalla convinzione che l’uso programmato delle comunicazioni di massa possa influenzare, anche in modo decisivo, l’esito di un conflitto. Il dominio delle informazioni è sempre più una dimensione fondamentale del moderno campo di battaglia, dove propaganda, disinformazione e manipolazione delle informazioni ne rappresentano una parte essenziale.
Si tratta di una nuova frontiera del conflitto armato, che dopo le nanotecnologie, armi chimiche e biologiche, offrono spazi a conflitti più celati, nascosti, indiretti ma non per questo meno violenti e distruttivi.
Conclusioni
È possibile affermare con certezza che la presenza delle basi militari Usa/Nato in Italia sia in antitesi con l’art. 11 della nostra Costituzione :“L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo” .
Il nostro paese, difatti è responsabile e corresponsabile delle azioni di guerra sviluppate in tutto il mondo fornendo sostegno alle azioni della Nato.
Inoltre la presenza delle basi in Italia impatta prepotentemente sulla questione della sicurezza e dell’ambiente. È necessario un coinvolgimento di tutti gli attori coinvolti, per predisporre/rendere pubblici piani di sicurezza in caso di allarme.
Di fatto è necessario che gli Enti locali (Regione, Comune, e Provincie), si assumano la responsabilità di una gestione più trasparente relativamente ai rapporti con i rappresentati dell’Esercito Statunitense e che indirizzino il loro operato verso progetti di riconversione che possano creare “reale” occupazione.
Non si può permettere che cali l’attenzione sulle questioni/battaglie sostenute dai movimenti e delle diverse associazioni che da anni si schierano contro la presenza della basi in Italia.
È necessario l’assunzione di un ruolo attivo da parte di tutti gli attori sociali coinvolti affinché il processo di costruzione di alternative possibili all’economia di guerra non sia una posizione condivisa solo da alcuni sensibilità politiche. È necessario sostenere progetti di riconversione attuabili e sostenibili in termini ambientali, economici e occupazionali.
Bibliografia/sitografia
www.peacelink.it
http://opalbrescia.org/
https://www.limesonline.com/
https://www.sipri.org/yearbook/2020
Le Basi militari Usa e Nato in Italia, www.nogeoingegneria.com/tecnologie/sistemi-radar/le-basi-militari-usa e-nato-in-italia/
Le basi americane in Italia – problemi aperti, Ronzitti, 2007
Camp Darby, La storia a cura di Manlio Dinucci, https://www.retedellapace.it/2017/07/camp-darby-storia-cura-di-manlio-dinucci/
Mini dossier Camp Darby: vicino a Pisala grande base USA, http://www.libriperlapace.it/marino/livorno/campdarby.html
Il nuovo volto aggressivo di US Army Africa Vicenza, Antonio Mazzeo 2012
Il «grande gioco» delle basi in Africa, Manlio Dinucci 2019, https://aforas.noblogs.org/ Movimento Sardo
Viaggio nelle basi americane in Italia, Alfonso Desiderio 2007
L’Italia «occupata». La sovranità militare italiana e le basi USA-NATO, Alessandro Bedini 2013