Mare nostro: naufraghi senza volto

Buona sera! Anzitutto voglio ringraziare gli organizzatori che hanno voluto dare a me l’onore di introdurre questo nostro incontro in memoria delle vittime delle migrazioni. Oggi infatti, come tutti voi sapete, ricorre la Giornata nazionale in memoria delle vittime delle migrazioni, e insieme il settimo anniversario del naufragio avvenuto a poche decine di metri da Lampedusa, dove persero la vita 368 persone, fra cui numerose donne e bambini.

Pochi mesi prima, esattamente 1’8 luglio del 2013, dopo un ennesimo naufragio, papa Francesco si era recato a Lampedusa – un’isoletta, poco più di uno scoglio, 10 km x 2, fu la meta del suo primo viaggio fuori Roma – auspicando la fine della lunga catena di morti e di naufragi nel Mediterraneo. Così iniziò il suo discorso: “Immigrati morti in mare, da quelle barche che invece di essere una via di speranza, sono state una via di morte”. Così il titolo dei giornali. Quando alcune settimane fa ho appreso questa notizia che purtroppo tante volte si è ripetuta, il pensiero vi è tornato continuamente, come una spina nel cuore che porta sofferenza. E allora ho sentito che dovevo venire qui oggi, a pregare, a compiere un gesto di vicinanza, ma anche a risvegliare le nostre coscienze perché ciò che è accaduto non si ripeta. Non si ripeta per favore.
Invece purtroppo questa catena di morte non si è interrotta, fino a trasformare il mare nostrum in un grande cimitero, come in un’altra occasione ha detto ancora papa Francesco. Fino alla settimana scorsa, in cui ci sono stati altri cinque naufragi e più di 200 vittime. E senza che tutto questo faccia più notizia, senza che susciti anche solo un moto di pietà o di indignazione.
Che fare dunque? Come spezzare questa catena? O, per usare le parole del papa, come risvegliare le coscienze? Come far si che il pensiero di queste morti ci torni continuamente come una spina nel cuore che porta sofferenza? Infatti esse sono la conseguenza del sonno delle nostre coscienze e dell’indurirsi del nostro cuore.
Proprio qualche settimana fa con alcuni amici ci dicevamo: non basta parlare all’intelligenza, ripetere i numeri di questa strage, le sue cause, i responsabili (altri lo faranno questa sera dopo di me), occorre riuscire a parlare al cuore ...perché accada qualcosa che è difficile da definire e da dire, ma che è determinante, che fa la differenza ... a cui Gesù allude quando racconta come davanti all’uomo lasciato in fin di vita dai briganti, “per caso un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall’altra parte. Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. Invece un Samaritano che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e ne ebbe compassione”. Certo poi questo deve tradursi in azioni concrete: il Samaritano gli si fece vicino, gli fasciò le ferite... lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Ma tutto questo perché ebbe compassione di lui!
Che fare dunque? Forse una prima indicazione la troviamo proprio in questa parabola e nella scelta di papa Francesco di compiere un gesto di vicinanza. Il sacerdote e il levita passarono oltre, dall’altra parte, il Samaritano invece gli passò accanto, gli si fece vicino.
Si tratta dunque di arrivare a riconoscere il volto, il nome, la storia dell’altro, come fa Maurizio Moscara nel suo libro “Mare nostro: Naufraghi senza volto”, che presentiamo questa sera. Di farci vicini e di aiutare altri a farsi vicini fino a rendersi conto della ricchezza umana e religiosa di queste persone, una ricchezza che non vorremmo mai perdere.
Oggi la vera differenza è fra coloro che guardano e giudicano da lontano e quelli che scelgono di guardare da vicino. Cambia tutto.... Quando il papa è andato a Lesbo, accanto a lui in televisione c’era un prete di Bari, don Andrea Palmieri, che lavora in Vaticano, e parlando correntemente il greco gli faceva da interprete. Quando l’ho incontrato ero curioso di sapere cosa aveva provato. “La cosa difficile non era tradurre, era non piangere. Il papa li ha abbracciati e ascoltati uno a uno, e ognuno aveva un dramma da raccontare.. la sposa morta sotto le bombe, il bambino smarrito lungo il viaggio...”. Una delle cose che mi fa più bene nel ministero che svolgo è proprio questo incontrare da vicino.
Io voglio ringraziarvi perché ciascuno di voi ha scelto di incontrare da vicino questi nostri fratelli e sorelle – oggi ci sentiamo in comunione con papa Francesco che proprio ora ad Assisi sta firmando la sua nuove enciclica: “Fratelli tutti” – e aiutate anche altri a farlo nella nostra città, attraverso le scuole di italiano e tanti altri modi.
Il senso di questa serata e delle testimonianze che ora ascolteremo è aiutarci a rispondere a questa domanda: cosa possiamo fare per spezzare questa catena di morte? Come svegliare le nostre coscienze? Possa questa domanda essere anche per noi come una spina nel cuore che porta sofferenza e non ci fa dormire.
E ora ... ascoltiamo!

Bari, 3 ottobre 2020