Si levano in questi giorni voci sempre più tardivamente preoccupate rispetto al settore agricolo e agroalimentare. Più spazio meriterebbe la riflessione su produzione e vendita locali: dall’inizio della crisi ascoltiamo appelli a “mangiare italiano” che però si scontrano con le decisioni di molti sindaci e prefetti di chiudere i mercati alimentari locali, al contrario di quanto indicano le norme nazionali.

L’Associazione Rurale Italiana (ARI), partner del movimento globale La Via Campesina, ha ricordato in questi giorni che in Italia le aziende agricole medie e piccole, che in genere non accedono ai canali della grande distribuzione, sono oltre il 73% del totale. In tempi di acquisti forzosi nei supermercati, quelle tra esse che non hanno risorse per fare consegne a domicilio sono prive di reddito. L’attenzione della Ministra Bellanova, però, si è quasi esclusivamente concentrata sulla riorganizzazione dell’industria agroalimentare e della distribuzione, viste come attrici principali della filiera del cibo. Questa sperequazione, significativa anche sul piano culturale, mette in luce la fragilità di un sistema basato sul commercio agroindustriale. I settori per ora più colpiti sono stati il lattiero-caseario, la carne e la pesca, sensibili alla serrata di alberghi e ristoranti. Alcuni governatori stanno intervenendo per far diminuire i volumi delle produzioni, come già avvenuto in altre crisi agroalimentari: anche oggi il coronavirus porta alla luce la necessità di intervento dello Stato sui mercati, che purtroppo appare parzialmente risolutivo se effettuato solo in emergenza. Sono diverse le misure inderogabili a favore dei piccoli agricoltori che secondo ARI occorrerebbe implementare: il sostegno fiscale e debitorio per i produttori agricoli che versano in crisi di liquidità e l’accesso facilitato, con liquidazione anticipata, agli aiuti europei all’agricoltura sono tra quelle più tecniche. Ma la presa di posizione politica di sostegno verso il settore agricolo -così fondamentale e così poco considerato- dovrebbe riconoscere la dignità e la centralità dell’agricoltura, andando oltre i retorici proclami sul “made in Italy” e sul valore dell’export, i cui esercizi di marketing sono ben lontani dal garantirci sicurezza e sovranità alimentare. Bisognerebbe varare subito l’obbligo di acquisto territoriale per le istituzioni e le mense pubbliche ancora in esercizio, imponendo poi misure nazionali per calmierare i prezzi e controllare le speculazioni. In molti, sia produttori che cittadini impegnati nelle autoproduzioni alimentari individuali e collettive, chiedono inoltre libero movimento sul territorio per lavoratori agricoli, agricoltori con o senza partita iva, orticoltori hobbisti e attivisti dei gruppi d’acquisto, che non di rado vengono sanzionati mentre vanno a lavorare o consegnano alimenti.
Tra qualche settimana, comunque, le scorte di magazzino della distribuzione inizieranno a scarseggiare e le produzioni orticole saranno pronte nei campi: non c’è alcuna garanzia che le grandi catene le acquisteranno in Italia come auspica la politica, visto che in diverse regioni stanno già iniziando a speculare sui prezzi chiedendo sconti a cooperative di produttori che rischiano di essere sommersi dall’invenduto. A farne le spese, oltre agli agricoltori ovviamente, sono già oggi le fasce più povere e a rischio insicurezza alimentare.
Fortunatamente i gruppi di acquisto solidale (GAS) e le reti di consumo consapevole si mobilitano più che mai per acquistare e distribuire cibi di qualità direttamente dai produttori, senza intermediazione commerciale: la “solidarietà alimentare” sta crescendo. Questo però non può compensare la mancanza di politiche agricole eque e risolute. Il marketing che trasforma il cibo locale in bene di lusso -costoso ed esclusivo- è sempre dietro l’angolo, e il principio guida dei movimenti contadini è ben diverso: fornire a tutti cibo sano, giusto e accessibile.
Intanto anche il lavoro agricolo si affaccia nel dibattito. Mentre le aziende a conduzione familiare diminuiscono da anni, dimenticate dalle istituzioni, l’Italia oggi si scopre dipendente dai lavoratori stranieri, arrivati a rappresentare circa un terzo di quelli regolarmente assunti: nel 2015 il CREA ne stimava 405.673, contro i 126.000 del 2006 e i 23.000 del 1989. I gruppi più rappresentati sono i rumeni (più di 120.000), seguiti da indiani, marocchini e albanesi (30.000 persone per gruppo). Le contromisure, condivise in maniera trasversale da partiti, sindacati e industriali, consistono in richieste di deregolamentazione delle assunzioni (con i voucher, aboliti nel 2017) o di istituzione di flussi straordinari (meglio se dai prima vituperati paesi africani, perché meno colpiti dal virus). Anche l’ampliamento dell’intervento dei collaboratori familiari fino al sesto grado appare plausibile. C’è però chi si spinge oltre, chiedendo gentilmente a pensionati, studenti, disoccupati, cassaintegrati e a chi percepisce il reddito di cittadinanza di improvvisarsi braccianti: ciò illustra limpidamente come le categorie più fragili della nostra società siano anche quelle più ricattabili. Nonostante i tentativi del Governo italiano di assicurarsi lavoratori in deroga al blocco, però, le fotografie dei braccianti rumeni che affollano gli aeroporti in attesa di recarsi in Germania ci ricordano impietose la legge del mercato: i lavoratori vanno dove sanno di essere meglio pagati, specie se per farlo bisogna affrontare una pandemia.
Ecco spiegati i limiti di queste misure “tecniche”, economiciste, che si basano sul cercare di “far incontrare domanda e offerta”: non aprono alcuna riflessione sulle condizioni del lavoro, così come non danno garanzie sui ricatti contrattuali che già imperversavano prima del coronavirus. Sono al contrario un chiaro segno della tendenza a far diventare le persone portatori di diritti esclusivamente in ottica utilitarista, solo quando ciò sia utile al sistema produttivo. Ed ecco perché agli altri circa 430.000 braccianti stranieri irregolari che si stimano presenti in Italia quasi nessuno fa cenno: sono già di per sé ricattabili. Anche in questo caso ARI, insieme ad altri attori sociali, chiede il riconoscimento dei diritti di base per tutte e tutti, a partire dall’accesso ad acqua, servizi igienici e sanità, ancora negati a chi vive nelle tendopoli ed è privo di residenza. Purtroppo alcune amministrazioni non cessano nemmeno oggi di manifestare la propria ostilità ai migranti, arrivando a Campobello (TP) ad emanare un’ordinanza di sgombero salvo poi congelarla su richiesta del prefetto. Appare più che mai urgente, dunque, la richiesta di garantire contratti regolari e salari equi a chiunque voglia prestare manodopera agricola, rafforzata anche dall’esempio del “modello portoghese”: sanatoria e regolarizzazione immediata di tutti gli immigrati “invisibili”, residenti nei ghetti del meridione e non solo, per favorire tutela sanitaria e lavoro regolare. Sono state rinnovate alle istituzioni anche le richieste per la concessione della residenza virtuale presso i Comuni per chi vive in insediamenti informali, per l’accesso agevolato alle case sfitte e per il rispetto, dove possibile, dei contratti provinciali sull’obbligo di ospitalità da parte dei datori di lavoro.
Le sfide a cui ci chiama il coronavirus sono, è evidente, legate tanto a ripensare il nostro sistema produttivo quanto a ritrovare la nostra umanità.


Pier Francesco Pandolfi de Rinaldis è Tecnico agricolo e membro di ARI

L’Associazione Rurale Italiana (ARI) è un’organizzazione contadina che promuove l'agricoltura di piccola scala, agroecologica e solidale, e la sovranità alimentare, ovvero il diritto dei popoli a gestire i propri sistemi alimentari per garantire a tutti cibo sano, giusto e culturalmente appropriato. Difende la biodiversità agricola dalle logiche dell’agroindustria e i diritti di contadini e lavoratori rurali. Per info: www.assorurale.it


Mosaico di pace, rivista promossa da Pax Christi Italia e fondata da don Tonino Bello, si mantiene in vita solo grazie agli abbonamenti e alle donazioni.
Se non sei abbonato, ti invitiamo a valutare una delle nostre proposte:
https://www.mosaicodipace.it/index.php/abbonamenti
e, in ogni caso, ogni piccola donazione è un respiro in più per il nostro lavoro:
https://www.mosaicodipace.it/index.php/altri-acquisti-e-donazioni