Donne di Parola. Pastore, diacone e predicatrici nel protestantesimo italiano (Edizioni Nerbini, Firenze 2020), curato dalla pastora e teologa Letizia Tomassone, contiene una raccolta di saggi tutta al femminile che dipinge e descrive il quadro della attuale situazione delle donne pastore e predicatrici nelle Chiese riformate.

Del loro ruolo acquisito nei ministeri. Un dipinto anche storico, ma che oltre l’oggettività dei fatti fa perno sui vissuti e sulle testimonianze dirette di alcune protagoniste del percorso di emancipazione femminile, quale quello offerto da Giovanna Pons memoria dei cambiamenti epocali avvenuti all’interno della Chiesa valdese in particolare a partire dal Secondo dopo Guerra. Un percorso che dai margini porta al centro, o forse dove il centro diventa margine in un processo intersezionale che accomuna differenze di etnia, di genere, di orientamento sessuale. Conducendo a una sempre maggiore integrazione e facendo, come afferma Letizia Tomassone nel suo contributo, di quella memoria dell’emarginazione un “principio ermeneutico”, uno strumento interpretativo che eviti di assestarsi su presunte certezze acquisite e normalizzazioni che escludano tanta parte della vita.
Teologia queer, teologia di genere e teologia della differenza divengono quindi le voci di una Parola che smette i suoi abiti maschili e patriarcali (del Dio maschio), modelli e recinti di una società e di una cultura emarginanti per incarnarsi in una corporeità, quella femminile, che apra a rinnovati e scomodi orizzonti profetici in cui il vangelo, e il suo messaggio di liberazione da ogni oppressione, ridiventi protagonista emendato da fardelli dogmatici di false ontologie sessiste e discriminatorie: “La funzione profetica delle donne nei ministeri si rivela anche nel loro essere una voce scomoda, che l’istituzione ha cercato di ammutolire, come scrive Lidia Maggi. Nelle Chiese dove vi sono donne nei ministeri non ci si compiace semplicemente della loro presenza come per offrire una bella immagine, ma si sperimenta invece la difficoltà di un conflitto fra i generi che è presente nella Chiesa come nella società” (pag.13).
L’impegno nei movimenti femministi da parte di generazioni di donne evangeliche ha condotto a un confronto della propria fede con il mondo laico apportando nuovi valori e a una modificazione del linguaggio utilizzato nell’esprimersi. Infatti il linguaggio, modellando a sé il pensiero sottostante, diventa il primo interprete della realtà. Interprete e costruttore. È necessario che la Parola ridiventi Sophia e non sia più Logos, Sapienza che renda possibile una nuova visione: “Il lavoro sul linguaggio liturgico e sui simboli del divino ha attraversato anche le fascinazioni per le immagini della Dea, arrivando fino al ripensamento dei nomi della trascendenza, delle categorie trinitarie e della cristologia. Questa parte del lavoro teologico non ha ancora pienamente raggiunto le comunità e sembra oggi presente più nei contesti accademici… Forse un modo per riproporlo come fondamento di una visione di Chiesa aperta a donne e uomini passa attraverso l’impegno per una giustizia climatica e un nuovo sguardo sul pianeta, che smantelli l’antropocentrismo e l’idea di un controllo o dominio umano sulla natura” (pag.101).
Nell’articolarsi dei saggi fra storia, testimonianza (molto bella quella della pastora filippina Joylin Galapon) e analisi, importanti i contributi esterni di ambito cattolico di Serena Noceti e Paola Cavallari, espressioni competenti ed ecumeniche provenienti da un mondo che con molta difficoltà riesce a scrollarsi di dosso l’autoritarismo clericale di stampo maschile.
Una delle finalità di un libro come Donne di Parola è certamente quello di essere propedeutico ad altre letture di teologia femminista contemporanee, anche in un’ottica postmoderna che consenta di aprire a sguardi più fluidi e diversificati e non solo occidentalocentrico e bianchi.


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