Cose che succedono. La vita, di tanto in tanto, impone una svolta. Pensavo di scrivere una cronaca diversa.

Avevo raccolto meticolosamente nel mio cellulare molti aneddoti successi questo mese nelle mie parrocchie, però la vita è capricciosa, imprevedibile, anche strana potremmo dire. E gli aneddoti non ci sono più, il mio cellulare è morto sotto un acquazzone, e si è portato nella tomba molte cose.

La domenica sera sono solito andare in due paesi relativamente vicini: Caonao e Tabor. Da circa due settimane il mio trasporto era un motorino. Il cielo minacciava acqua però al momento di partire non era scesa ancora una goccia. Andai in un paese e poi nell’altro. Nel tornare cominciava una leggera pioggerella, che poco più avanti si trasformò in pioggia forte e finì per essere un acquazzone torrenziale, carico di elettricità. Con i canneti a destra e a sinistra, potevo solo proseguire, cercando di non finire a terra.  I fulmini e la loro gestione appartengono al Signore dei Cieli, quindi è meglio non preoccuparsi di ciò che non possiamo controllare.

Per motivi tecnici legati all’umidità e che esulano dalla mia comprensione, il motorino, che era elettrico, ha iniziato ad accelerare da solo, mentre io mi concentravo per mantenere l’equilibrio e la mia visione ristretta mi impediva di pensare alla possibilità di togliere l’alimentazione spegnendolo. Con orrore ho visto un autobus arrivare a tutta velocità, poi una macchina, poi un altro autobus, mentre rimbalzavo nelle pozzanghere. La mia mente sparì. Paralizzato sul motorino, che aveva assunto una vita propria e procedeva a tutta potenza su una strada fangosa, fradicio fino alle ossa, con il casco che si muoveva in tutte le direzioni... la mia mente non aveva più niente da dire. Poi all’improvviso, il motore ha smesso di funzionare. Successivamente mi hanno spiegato che era scattato l’interruttore di sicurezza, ma non potevo saperlo, quindi è iniziata la seconda fase. Gocciolante di acqua, motorino in mano, camminavo, mentre i fulmini cadevano a destra e a sinistra.

In una situazione del genere, ci sono solo due cose da fare: lamentarsi e maledire la galassia, o pensare. E ho pensato, ho pensato che al di là della mia passione per il servizio alla mia gente, le cose non avrebbero dovuto essere così, ho pensato a tutte le persone che ad ogni acquazzone vivono una situazione simile, perché devono andare a piedi, o in bicicletta, o su un carro trainato da cavalli, ho pensato a tante persone con case precarie dove piove più dentro che fuori, e ho pensato che avrei potuto avere un incidente, che avrei potuto morire, e che c’erano cose che non avevo mai detto.

E avevo paura, non di morire, ma di morire senza aver detto le cose che avevo dentro.

Ipotesi chimica.

Amo la chimica, mi affascinano le reazioni. E da molto tempo, ogni volta che penso alla situazione della mia gente, mi viene in mente una formula chimica che spiega perché la mia gente è come è. E la mia formula è questa:

(Paura + Menzogna + Divisione) x Silenzio Complice = Oppressione

Paura.

Abbiamo paura, nasciamo nella paura, cresciamo nella paura, viviamo nella paura. La paura è una sensazione di insicurezza di fronte a qualcosa che può farci del male e che non controlliamo. La paura è automatica e incontrollabile e, come tutte le sensazioni, non è gestibile dalla volontà. Ma l’efficacia della paura non sta nel sentimento, ma piuttosto ha effetto perché paralizza la volontà. La paura rapisce la volontà raccontando storie di terrore. Non abbiamo molto potere sulla paura che "proviamo", ma superare la paralisi e agire in base a ciò che vogliamo fare dipende dalla nostra decisione. La volontà non è assoggettata al sentimento, e questa è la nostra forza. Fare qualcosa può coesistere perfettamente con la paura di farlo.  Cuba è una grande prigione dove, se ti comporti male, ti mettono in una più piccola. E come in prigione, alla fine, ci sentiamo controllati. Abbiamo paura di dire quello che pensiamo, di dire quello che vogliamo. Abbiamo paura che in un modo o nell’altro blocchino il nostro studio o il nostro lavoro, che rendano la nostra vita più difficile di quanto non sia già. Abbiamo paura di essere convocati e "rimproverati", e avvertiti del nostro "cattivo comportamento".

E intanto continuiamo a cantare il nostro inno nazionale e a ripetere: "vivere in catene è vivere? Sottomessi agli insulti e al disonore”. Mettiamola in un altro modo, vediamo se lo capiamo: quello che stiamo dicendo è che "vivere senza onore, senza rispetto, senza dignità, è vivere da schiavi". E non è schiavitù vivere nella paura di dire ciò che si crede e si pensa? E non è schiavitù non poter decidere sulla nostra vita e sulla vita del nostro Paese? E non è schiavitù vivere avendo come unico orizzonte il sopravvivere o il dover lasciare il paese?

Capiamolo una volta per tutte: avremo sempre paura, e non faremo mai nulla se non impariamo a vivere nonostante la paura, se non agiamo secondo la nostra coscienza mentre la paura scorre nelle nostre vene. 

Menzogna.

Ho sempre voluto dire questo: il comunismo è una grande bugia. Tutto è una bugia. Goebbles, l’ideologo di Hitler, ha detto: "Una bugia ripetuta mille volte diventa la verità". Cuba è come un grande teatro, dove ci mentiamo l’un l’altro come parte di uno spettacolo che non ha più bisogno di essere provato: Che siamo una potenza in campo medico: una bugia. Che il sistema educativo è straordinario: una bugia. Che siamo internazionalisti per pura generosità: una bugia. Che il Notiziario Nazionale Televisivo mostra la realtà del popolo: una bugia. Che le manifestazioni del 1 maggio e del 26 luglio sono naturali e volontarie: una bugia. Che le Brigate di Risposta Rapida non sono altro che la reazione spontanea delle persone arrabbiate che difendono la loro Rivoluzione: una bugia. Che non abbiamo prigionieri politici: una bugia. Che a Cuba i diritti umani sono rispettati: una bugia. Che non c’è opposizione e dissenso: una bugia. Che come popolo sosteniamo incondizionatamente il socialismo: una bugia. Che crediamo che il sistema elettorale sia il migliore del mondo: una bugia. Che una vita dignitosa nella vecchiaia è garantita: una bugia. Che qui siamo felici: una bugia. Ma siamo abituati a mentire e abbiamo paura della verità, e insegniamo ai nostri figli a recitare in questo spettacolo grossolano, sperando, sì, che un giorno accada "qualcosa" che ci permetta di esistere e non fingere, senza renderci conto che se tutti dicessimo ciò che crediamo e ciò che pensiamo, se tutti dicessimo la verità, questo sistema crollerebbe.

Divisione.

Dividere e conquistare. Non possiamo negare che gli antichi romani fossero saggi. Uno dei maggiori successi del sistema comunista è quello di mettere in lotta fratello contro fratello, creando una rete di spionaggio urbano e denuncia che ti fa precipitare in una continua paranoia. Nessuno si fida di nessuno e facciamo attenzione a chiunque, perché nessuno sa "con chi sta parlando". Facciamo attenzione ai vicini, ai colleghi e persino ai nostri familiari. Calcoliamo ogni parola, ogni reazione, e come lumache nel loro guscio, ci esponiamo più o meno a seconda dell’ambiente, ma sempre con cautela, abbassando sempre la voce di fronte a certe questioni, sempre timorosi di “venderci su un piatto d’argento” a chi poi ci denuncerà, non per soldi e nemmeno per convinzione, ma perché ha creduto di poter sopravvivere meglio così. Silenzio complice. E in mezzo a tutto questo, il silenzio. Vediamo, sentiamo, sappiamo... ma non parliamo. Come spettatori passivi, aspettiamo che gli altri parlino, e spiamo le reazioni a ciò che dicono, pronti a voltare lo sguardo dall’altra parte, per non lasciarci coinvolgere. E qui non posso fare a meno di dire con dolore, che soffro il silenzio dei miei vescovi. Non è vero che la Chiesa non ha parlato, non è vero, perché tutti siamo Chiesa, e tanti laici, sacerdoti, religiose, anche qualche vescovo personalmente…, abbiamo detto quello che pensiamo e continuiamo a dirlo. Ma i vescovi sono un corpo, sono un organismo definito a cui tutti guardiamo, con speranza. Questo Paese ha bisogno di un cambiamento, ha bisogno di una transizione, ha bisogno di vivere e smettere di trascinare la sua esistenza, e in questo momento, secondo me, solo la Chiesa cattolica è in grado di guidare un dialogo e proporre una transizione. C’è molta gente che spinge nella giusta direzione, tante persone impegnate, tenaci e coraggiose. In tanti all’estero supportano queste persone e lottano per una transizione, ma da dove si trovano non hanno il potere di portare un cambiamento interno.

L’opposizione interna è divisa, senza capire che, come il leggendario Voltus V, può essere forte solo se le rivendicazioni individuali vengono messe da parte e si lavora insieme. Quando viaggio all’estero e mi chiedono: "Com’è l’opposizione a Cuba?", alzo le spalle e posso solo dire: "Non lo so", perché non mi è chiaro dove guardare, le persone non presentano alcuna proposta concreta. L’opposizione sarebbe molto più efficace se fosse unita. Se fossero d’accordo, potremmo tutti guardarla allora non solo con più fiducia ma con più chiarezza. Dopotutto, in un modo o nell’altro, tutti cercano la libertà di questa terra e, se lavorassero insieme, troverebbero molto più sostegno da un popolo che ha bisogno e desidera un percorso diverso. Le chiese protestanti sono divise, alcune a favore, altre contro il sistema, e non hanno un unico organismo che coordini un progetto sociale. Ecco perché questo popolo guarda ai vescovi, e spera, si aspetta una posizione chiara a favore della giustizia, della libertà, del Vangelo insomma.

Vargas Llosa racconta in un suo libro: “La festa del caprone”, sulla dittatura di Trujillo nella Repubblica Dominicana, il momento in cui i vescovi hanno preso posizione contro la dittatura. E non so se l’aneddoto sia storico o meno, ma Vargas Llosa mette sulle labbra del suo protagonista, cattolico, questa frase piena di orgoglio: "Finalmente la mia Chiesa parla!".

Il Cantico di Simeone.

Quando la Vergine Maria e San Giuseppe entrarono nel tempio per presentare il bambino Gesù, il vecchio Simeone lo prese tra le sue braccia. Dio gli aveva promesso che non sarebbe morto senza prima aver visto il Messia. E mentre Simeone teneva il bambino tra le braccia, disse: “Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi han visto la tua salvezza preparata da te davanti a tutti i popoli; luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele”.

Non so quali saranno le reazioni a queste cronache, né ho grandi aspettative, ma ho detto quello che avevo dentro. Adesso posso continuare ad andare per i paesi in motorino, anche se piove e qualunque cosa accada. Adesso sono in pace.

Anche questa è la Cuba di oggi.