Il rosario è una pratica religiosa praticamente universale. Il cattolicesimo lo ha preso dalle altre religioni e l’ha rielaborato con iniziative dal basso di monaci e ordini, domenicano soprattutto (Per una storia succinta sul rosario vedi: http://www.santorosario.net/storia.htm).

Però oggi molti cattolici “progressisti” lo considerano un relitto del passato perché a loro sembra infantile e irrazionale. Ma questa impressione casomai riguarda la sua forma attuale, non la pratica di preghiera universale. Perciò andiamo al di là di questa loro impressione.

L'impronta spirituale più forte che ha il rosario è quella della fede tradizionale, che era di tipo dogmatico. Esso ha al centro i “misteri” (erano 3x5= 15; da un po’ di anni sono diventati 4x5=20), che si è invitati a “contemplare”, concludendo ogni decina con un “Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo…” che sembra coronare la contemplazione già avvenuta con quella massima possibile, la contemplazione della Trinità, vista sub specie aeternitatis. Lo dice anche papa Giovanni Paolo II, nella apposita lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae, che il rosario è un “impegno di contemplazione del mistero cristiano” (n. 5, 2002). E, come dice il titolo di un fortunato libro sul rosario, esso è “un credo fatto preghiera”, tanto che invece di cominciare con “Oh Signore vieni a salvarci…”, molti sono abituati a cominciare con il “Credo”. In sostanza, il rosario è fondamentalmente una rinnovata adesione ai dogmi principali della fede cattolica attraverso gli episodi del Vangelo che li rendono intuitivi ed esperienziali.

Questo aspetto dogmatico e trascendente viene compensato da altre componenti del rosario:

  1. i) alcuni “misteri” non lo sono in senso stretto, ma eventi, esperienze: visita di Maria ad Elisabetta, presentazione di Gesù al tempio, ritrovamento di Gesù al tempio, predicazione del Regno di Dio, flagellazione di Gesù, calvario di Gesù (a meno di ricondurre questi eventi al mistero della doppia natura di Cristo; ma allora tutto il racconto del Vangelo sarebbe un mistero, invece di essere la “buona notizia” all’umanità).
  2. ii) la recitazione quasi infinita (come mantra) dell’”Ave Maria” fa rivolgere l’orante ad una donna, la Madonna, che è la figura più umana, più vicina, più consolante e promettente dell’universo della dottrina cattolica. Il rosario dà la soddisfazione di pregare insistentemente la Madonna, quella persona che è come noi e che più ci può capire e che, come mamma di Gesù, ci può aiutare in tutti i momenti e per tutti i tipi di richieste individuali, inquadrate nel chiedere la soluzione del problema della propria salvezza finale. Infatti la “Ave Maria”, dopo una prima parte di saluto e di lode, nella seconda parte fa richiedere la sua intercessione non solo per l’adesso, ma anche per “l’ora della nostra morte”; cioè, una assicurazione totale per la propria salvezza; questa richiesta, alla fine di ogni decina, viene rafforzata, alla fine del rosario, dal recitare la lunga serie dei “…. prega per noi” (le Litanie) rivolte alla Madonna; e poi (non in tutti i tipi di rosario, ma in molti) dal rivolgersi direttamente a Cristo per avere il sigillo della salvezza finale, aggiungendo: “Gesù mio, perdona le nostre colpe…”.

In conclusione, a me sembra chiaro che questa pratica, che nelle altre religioni rappresenta un rapporto diretto e autonomo del fedele con la divinità, nel cattolicesimo è stata sottoposta dalla fede tradizionale al rinnovare la professione di ortodossia verso il magistero ecclesiale, cioè a ricordare i dogmi principali sulla vita di Dio-Gesù su questa terra; come contrappeso di questa impostazione contemplativa di persone di 2000 anni fa e della speranza di una propria vita in cielo, a rinnovare preghiere di richiesta alla Madonna, alla quale la religiosità popolare è fortemente legata. Per cui, mentre da una parte si “contemplano i misteri”, partecipando alla vita di Gesù e della Madonna, dall’altra si passa al concreto di chiedere prolungatamente di essere esauditi per tutto quello che ci si aspetta di meglio. E’ questo secondo aspetto del rosario, una richiesta insistita, che lo fa associare alle donne (viste nel ruolo familiare tradizionale: essendo sottoposte all’autorità del marito, esse possono solo chiedere); e che lo fa apparire come espressione della religiosità popolana. Ma non si è tenuto conto della complessità che ne è risultata: la semplice pratica di recitare iterativamente un breve mantra è stata trasformata dalla cattolicità tradizionale nella pratica vocale di iterare cinque tipi di preghiere (“Ave Maria”, “Padre nostro”, “Gloria”, “Gesù mio…”, il “prega per noi” delle litanie) pensando contemporaneamente tre cose molto diverse:

1) il mistero della decina;

2) la glorificazione della Trinità (“Gloria...”), oppure la richiesta dell’“Ave Maria” ripetuta dieci volte, o quella del “Gesù mio”, o, alla fine, quella delle tante litanie, o del “Salve regina”;

3) e, soprattutto per l’orante, la “intenzione” per cui egli ha deciso di dire il rosario.

Non ho mai trovato una spiegazione di come un fedele adulto possa conciliare questo sovraccarico di idee e di intenzioni (che può sembrare tipico di un servo che dà prova di obbedienza a portare tutti i pesi possibili). È questa incapacità della mente a mettere assieme tutte le sfaccettature del rosario che lo fa passare per un atto che non può essere capito, come sembra anche giusto, se il suo atto centrale è la “contemplazione dei misteri”. Per questa impressione molti considerano il rosario una abdicazione al pregare con la testa, che casomai vorrebbe capirci un sistema coerente di idee.

Tutto questo sia detto senza nulla togliere al momento di intimità con la divinità e con la Madonna che rappresenta la recita del rosario, come pure alla sua capacità di affiatare le persone a formare gruppo e comunità spirituale; e infine al suo collegamento con la Tri-Unità, dato dal “Gloria”, ma anche con la Madonna, su cui lo Spirito Santo ha agito più che su ogni altra persona: il concepimento di Gesù; ella è la persona più vicina a Lui. Nonostante i suoi difetti, l’attuale rosario è pur sempre una preghiera che può portare alla pace interiore e alla gioia di aver partecipato ad un atto filiale comunitario.

La innovazione del cristianesimo del XX secolo: il primato della ortoprassi

Gandhi ha insegnato al laico di ogni religione che si deve dare testimonianza della propria fede non con la predicazione dei dogmi, ma con la pratica quotidiana, personale e sociale; cioè, che un laico deve avere a cuore soprattutto la orto prassi, più che la ortodossia. Dopo di lui, il Concilio Vaticano II è stato indetto da Papa Giovanni XXIII appositamente per rinnovare la orto prassi dei cattolici, non la loro ortodossia (infatti i dogmi non sono stati cambiati).

Per una buona ortoprassi il fedele deve pregare anche con pratiche verbali iterative, quale è quella del rosario in tante religioni. Non è quindi inappropriato cercare di riportare il rosario non tanto ad una pratica indipendente da ogni credo, quanto a rafforzare il fedele sulla sua orto-prassi.

I cristiani non violenti hanno un problema cruciale: l’avere tanta fede nella persona umana da credere che ogni conflitto potrà essere risolto non violentemente. Che io sappia, oggi c’è una sola preghiera che sia adatta a questo scopo, la preghiera della pace di San Francesco (mentre invece sempre ci sono state preghiere per i soldati che affrontavano le guerre e le volevano vincere; il che significa riuscire ad uccidere più degli altri). Gli studi storici hanno chiarito che essa è una invenzione del primo Novecento su frasi francescane; cioè, essa è un primo passaggio storico dal pregare per la propria salvezza eterna al pregare e sostenere la orto-prassi nonviolenta.

Ma quella di San Francesco è una preghiera che si dice una volta sola e che vuole vivificare il legame con Dio per riuscire a portare la pace nel mondo, senza però riferirsi mai all’altra persona di un conflitto. Invece il rosario è una preghiera iterativa (anche) collettiva, che lega la fede ad episodi sacri i quali, se scelti opportunamente, possono suggerire una pratica non violenta ideale. Allora si può modificare il rosario spostandone l’asse portante dalla “contemplazione” alla meditazione a scopo imitativo; quindi farlo diventare una pratica per meditare su episodi sacri che rafforzino la motivazione di fede necessaria per risolvere non violentemente i conflitti.

La proposta di una nuova serie di episodi da meditare

Come prima innovazione occorre mettere bene in chiaro che siamo nella orto-prassi dei laici. Allora i “misteri” diventano gli episodi biblici che sono esemplari per la prassi del non violento; il quale allora ci medita per immedesimarsi il più possibile in essi al fine di comprendere, imitare, inventare la sua prassi non violenta. A questo scopo vanno bene gli attuali episodi detti “dolorosi”. Nella religione cristiana il simbolo è la croce, perché senza sacrificio non c’è cristianesimo e (come dice Gandhi) neanche non violenza. In effetti essi rappresentano il sacrificio necessario per sciogliere un conflitto. Ma allora questi episodi dovrebbero essere chiamati “del sacrificio”. Nella versione attuale del rosario essi sono: Preghiera di Gesù nel Getsemani, Flagellazione di Gesù, Incoronazione di spine, Salita al calvario; Morte di Gesù. Essi sottolineano le gravose pene corporali subite da Gesù con due “misteri” distinti: il secondo e il terzo; invece l’Arresto di Gesù, i due processi e la condanna da parte delle autorità religiose (l’autorità politica se ne è lavata le mani) sono curiosamente ignorati, per cui non si ricorda il perché a Gesù è arrivata la condanna a morte preceduta da quelle pene, né chi ha voluto tutto ciò. I “misteri” dell’attuale rosario non sono legati tra loro da una logica diretta, né di causa ed effetto né di risoluzione di problemi. Per dare un senso logico alla loro sequenza incominciamo da quelli “dolorosi: è chiaro che bisogna riunire gli episodi delle pene subite e mettere in più l’arresto, processo e condanna di Gesù.

Poi ricordiamo che il cristianesimo ha senso solo perché in Gesù la morte ha comportato la sua resurrezione; questo evento è anche il pegno della vittoria per chi agisce non violentemente (così come ha fatto lui). Quindi occorre mantenere l’episodio della resurrezione; e in più quello della discesa dello Spirito Santo (che sana il conflitto interiore degli apostoli impauriti). Ma poi gli altri tre “misteri” non sono episodi di risoluzione non violenta di conflitti; perciò dovrebbero essere sostituiti.

Così pure per i “misteri gioiosi”: solo quello della nascita di Gesù nella povertà ha (grande) significato per la lotta non violenta: la scelta della povertà assicura noi stessi che nei conflitti si ricorrerà alla semplicità dei mezzi, oltre che assicurare sia l’oppositore sia gli altri che si vuole agire non violentemente. Poi l’episodio della visita della Madonna ad Elisabetta deve essere inteso soprattutto come il canto del “Magnificat”, tipico del non violento. Mentre gli altri tre dovrebbero essere sostituiti.

Dei nuovi “misteri della luce” solo l’ultimo (Istituzione dell’eucarestia” = donazione totale di sé) corrisponde all’agire nonviolento.

Ma allora quali altri sono gli episodi biblici che possono ricordare la non violenza? Ho provato a cercare, trovando i seguenti che, aggiunti ai precedenti, danno i seguenti venti episodi.

Del sacrificio: Preghiera nel Getsemani // Arresto, processo e condanna di Gesù // Flagellazione e derisione // Salita al Golgota // Crocifissione e morte.

Luminosi: Abele (dal Corano) // Decalogo // Arca di Noé // Davide che risparmia Saul // S. Giovanni che converte e che denunzia Erode.

Gioiosi: Magnificat // Natale // Apostoli mandati a predicare la pace // Il dialogo con la samaritana e sua conversione // Eucarestia e preghiera dell’Unità.

Gloriosi: Il buon samaritano // Rimetti la spada… // Risposta di Gesù allo schiaffo del soldato // Resurrezione // Beatitudini.

Così gli episodi non sono più da contemplare (perché sarebbero impossibili da ripetere da parte di noi umani), ma sono da imitare in profondo, perché sono ispiratori della nostra prassi ogni qualvolta che ci troviamo in un conflitto.

Il rosario e lo Spirito Santo

(In realtà già esiste un rosario allo Spirito Santo: è composto dal pregare sette volte sette Pater Ave e Gloria).

Ma affrontiamo il problema cruciale: a chi rivolgere allora la recita del rosario? In quello tradizionale soprattutto alla Madonna (con le 50 “Ave Maria”, e alla fine il “Salve regina” e le litanie), poi al Padre (con i cinque “Padre nostro”), a Gesù (con le cinque richieste “Gesù mio…”) e infine alla Trinità (con i cinque “Gloria”). È chiaro che la preghiera più importante sarebbe quella diretta a Dio, mentre ora la più importante è quella rivolta alla Madonna per ottenere la sua intercessione verso Dio. Oggi il rosario è rivolto in maniera soprattutto mediata a un Dio quasi inaccessibile.

Bisognerebbe invece rivolgere tutto il rosario a quel Dio che con la vita, morte e resurrezione i Gesù ha assunto in sé la soluzione dei conflitti (più che i peccati personali, i peccati strutturali verso Dio); infatti il nostro Dio ha come migliore espressione la Tri-Unità, cioè l’unità tra le tre diverse persone divine. In questo senso il nostro è quel Dio che, grazie all’opera ispiratrice dello Spirito Santo, arriva a portare all’Unità; quindi è per eccellenza il Dio risolutore non violento dei conflitti.

Se allora rivolgiamo il rosario a questo Dio, la pratica del rosario non è più popolare-volgare, come qualcuno pensa perché ne vede solo l’aspetto ripetitivo, spesso incosciente e al limite servile; ma è un preciso rapporto con il nostro Dio più vero, quello che con la vita di Gesù ha stabilito una nuova alleanza con gli uomini, proprio per riuscire a risolvere tutti i conflitti.

Osserviamo che nel rosario attuale già il Padre è invocato con il “Padre Nostro”; poi il Figlio è presente nei tanti episodi che si riferiscono alla vita di Gesù. Il problema è soprattutto come rivolgersi in preghiera allo Spirito Santo, oltre al ricordarlo appena appena nel “Gloria”. Qui credo che ci sia da riflettere sul fatto che la Madonna è quella persona che ha vissuto la presenza dello Spirito Santo in molti modi (concepimento di Gesù, Magnificat, Sua ricezione assieme agli apostoli); quindi è quella che Lo ha impersonificato più di chiunque altro/a; per cui recitare l’Ave Maria è in effetti una maniera concreta, anche se mediata (ecco dove è l’intercessione della Madonna!), di rivolgersi allo Spirito Santo. Quindi va bene recitare il rosario recitando cinquanta volte la “Ave Maria”, ma intendendo questa preghiera come la maniera più sensibile per rivolgerci alla particolare Persona dello Spirito Santo, che altrimenti per noi è un soffio inimmaginabile.

Però, quale versione della “Ave Maria”? Mentre la prima parte di questa preghiera è il saluto proprio dello Spirito Santo (anche se attraverso l’arcangelo Gabriele) e quindi può essere intesa come un nostro collegarci attraverso lei allo Spirito Santo che ha suggerito quel saluto, la seconda parte è stata costruita dalla Chiesa nei secoli passati e quindi può essere modificata secondo le esigenze dei fedeli. Adesso è solo una richiesta a Maria di intercedere per l’adesso e per la nostra salvezza eterna; bisognerebbe sostituirla con parole che riguardino la orto-prassi nonviolenta; ad esempio, queste parole:

Tu che sei l’inizio della redenzione non violenta dell’umanità, siici d’aiuto per superare i mali del passato, per far svanire le tentazioni, amare il prossimo anche nei conflitti, al costo di impegnarci la vita, sperando poi di vivere la vita eterna con te e i santi davanti al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo tuo sposo. Amen

Inoltre un nonviolento che vuole farsi ispirare dallo Spirito Santo per trovare la soluzione di un conflitto, e quindi vuole pregarLo molto, dovrebbe mantenere il “Gloria” (ma ora inteso come espressione della Unità di Dio a cui tendere nella nostra ricerca di fare l’unità in terra), e però sostituire il “Gesù mio …” con una delle strofe del “Vieni Santo Spirito” di S. Agostino o (anche) con un canto (“Ruha” mi sembra il migliore).

La proposta di un nuovo rosario

In definitiva, la scaletta del rosario diventa quella di dire cinque volte:

L’evento della cinquina di evento // il Padre Nostro // dieci vote l’Ave Maria // il Gloria // l’invocazione (o canto) allo Spirito Santo. 

(Per dare più senso logico alla sequenza degli eventi li si può raggruppare invece che sul vissuto delle Persone contemplate, sul rapporto che ci danno con ognuna delle tre Persone di Dio. Allora i precedenti eventi vengono ordinati al modo seguente. Padre: Decalogo / Abele / Arca di Noè / Davide e Saul / S. Giovanni denunzia Erode. Figlio 1: Natale / Il buon samaritano / Rimetti la spada… / Risposta allo schiaffo / Eucarestia ed Unità. Figlio II: Getsemani / Arresto e condanna a morte / Flagellazione / Golgota / Crocefissione. Spirito Santo: Magnificat/ Apostoli per la Pace / Dialogo con la samaritana/ Beatitudini / Resurrezione di Gesù).

Allora la complessità del rosario viene ridotta da sei preghiere a tre, per di più tutte convergenti alla Tri-Unità, che sa risolvere i conflitti e che quindi può aiutare più di chiunque altro a risolverli (Si possono modificare anche le preghiere “Padre nostro”, “Gloria” e quella di S. Francesco in modo che siano essenzialmente trinitarie e quindi più consone alla spiritualità non violenta (vedasi il mio libro Non violenza come riforma della religiosità cristiana, Aracne, Roma, 2020, pp. 231, 230 e 306). Così la recita del rosario converge alla meditazione sull’episodio ricordato e, attraverso le preghiere alla Tri-Unità, alla imitazione sugli episodi di nonviolenza.

Per finale, si può recitare la preghiera di San Francesco, che traduce la preghiera collettiva del rosario a preghiera individuale, necessaria per rafforzare il proprio impegno. E si può finire col cantare le frasi “Cristo ama, Cristo soffre, Cristo risorge” sulle note del canto dei primi cristiani martiri: “Christus vincit”.