Cara redazione, complimenti per il bel numero di Mosaico di Pace sulla non violenza. È ricco di esperienze e di maniere di intendere la non violenza, da destra e da sinistra. Vorrei aggiungere qualche punto per completezza.
1) A nessuno verrebbe in mente di scrivere “nonrubare” tutto attaccato se non a chi vivesse in un ambiente in maggioranza di ladri che rimproverano alla minoranza di non rubare; e allora lui, per dialogare, cerca di evitare il “non” della sua identità. Se Capitini ha pensato di unire il “non” a “violenza” è perché subiva un ambiente storico in cui la violenza, il combattere con le armi e la guerra erano valori positivi. Ma dopo Hiroshima e Nagasaki si sa bene che violenza e guerra sono negativi. Quindi, “non violenza” è (come affermano i linguisti: L. Horn, The Natural History of Negation, Chicago U.P., p. 84) una doppia negazione che non può essere uguagliata ad una parola affermativa, pena una essenziale ambiguità. Ad es. Gandhi ha inventato Satyagraha = Forza della Verità; Ma quale Forza? Quale Verità, quella di vita o quella intellettuale razionale? Il punto è che non violenza (= ahimsa) non è una parola greca o latina di una idea (che fa vedere il mondo da dietro un vetro), né è una idea estrema indicata con un un -ismo ( pacifismo, socialismo, liberismo, anarchismo); ma è una parola orientale (indiana) che indica un metodo, così come sono i comandamenti medio-orientali, come “Non rubare” e “Non uccidere”.
2) La questione è sottile, ma è decisiva per costruire un linguaggio comune che si faccia uscire dalla eterogeneità dei discorsi sulla non violenza, fatti di immagini suggestive (come è d’uso nella pastorale religiosa in genere) o di inviti all’impegno volontaristico (al quale i leader richiamano la propria base popolare). Questo linguaggio deve essere di sole idee astratte (all’occidentale), o di atteggiamenti interiori di metodo (all’orientale)? Don Tonino è stato un genio per aver inventato un suo linguaggio per la non violenza. Ma era di tipo poetico. Oggi la sfida è costruire un linguaggio con cui ragionare in maniera sistematica. Che di meglio di definire (con Lanza del Vasto) la “non violenza” come il “Non uccidere” fatto diventare atteggiamento interiore col quale affrontare tutte le situazioni conflittuali? Se non altro ne verrebbe il linguaggio dei consigli del Padre (che, per essere eterno, se ne intendeva) e quello dell’impegno etico, che (prima di ogni diritto) è stato alla basa della vita di Gandhi.
3) Nel numero speciale si parla spesso di conflitti, ma non di come concepirli (il che è di cruciale importanza per chi vuole seguire un metodo non violento). Negli ultimi decenni un suggerimento di Galtung ha dato un avanzamento cruciale. Un conflitto è un A-B-C; è Atteggiamenti, fatti (Behavior) e Contraddizioni (nel conflitto che il capitalismo ha con la popolazione è: le leggi implacabili del capitale, l’azione politica della borghesia che le applica sulla gente, e la lotta tra i gruppi sociali che dà lo sfruttamento dei lavoratori). Perché ciò è importante? Perché noi di Mosaico siamo tutti contro il progresso della corsa agli armamenti e del capitalismo; ma poi dopo? Siamo di sinistra se vediamo la società come essenzialmente conflittuale e abbiamo un linguaggio comune per affrontare questo conflitto; siamo di destra se vediamo la società come un organismo sano e la pace (e la nonviolenza) come idea intellettuale. Purtroppo oggi la Chiesa è di destra, perché non vede i mali (peccati) strutturali della società, o, se li vede, non ha un linguaggio comune e valido per affrontarli; lasciando che i partiti facciano il loro gioco, essa si ritira nei rapporti personali, nella psicologia, nell’assistenzialismo. Noi siamo di destra o di sinistra?
4) Il metodo non violento si caratterizza non come nuovo valore religioso (ad es., rispetto all’amore cristiano), ma come capacità (anche dei popoli) di saper affrontare i conflitti strutturali, quelli con il colonialismo (Gandhi), il razzismo (M.L.King), la divisione mondiale Est/Ovest (popoli dell’Est Europa), le dittature imposte dalla fame mondiale di petrolio (Primavere arabe) e vincerli senza sopprimere od opprimere l’avversario. Nella storia, Gandhi è stato cruciale per dimostrare che ciò è possibile. Purtroppo tutte le religioni non hanno ancora imparato la lezione: non conoscono che c’è da combattere per fede i peccati strutturali della società (solo la teologia della liberazione ha sottolineato un solo peccato strutturale: il capitalismo).
5) A proposito di nonviolenza nella storia attuale, non vorremmo mica accettare la frase da ebeti: “Il crollo del muro di Berlino”? La quale vuole scientemente ignorare il contesto (conflitto mondiale Est/Ovest, l’unica strategia militare di allora da 200 milioni morti a primo colpo nucleare, la sollevazione in contemporanea di decine di Paesi, i popoli come protagonisti politici, e soprattutto la loro scelta del metodo (ridicolo per l’università) della non violenza) Quella frase vuole togliere la coscienza storica ai popoli proprio quando essi se la sono riconquistata con le loro lotte non violente. Noi veniamo da un secolo, il 20°, pieno di rivoluzioni nel mondo (circa 300 in 194 Stati). Castagnaro ne parla per l’America Latina (dove le rivoluzioni non violente sono state efficaci all’83%, mentre quelle violente al 24%) ma solo per polemizzare con Sharp; che però è un pragmatico, riduce la non violenza a tecniche (poco più di come agiva Pannella). Noi dovremmo sottolineare che le rivoluzioni non violente sono state in crescita negli ultimi decenni. La loro forza principale è stata di spaccare le forze repressive (polizia, FF.AA.) cosicché il potere del dittatore gli si è ritorto contro. (Iran 1979, Filippine 1986, Paesi dell’Est 1989, Egitto 2011). Noi in Italia lo abbiamo fatto in tempo di pace riuscendo a far approvare le leggi sulla difesa popolare non violenta: la 230/1998 sull’OdC e la 64/2001 sul SC (che però ancora restano inapplicate; si attueranno in nome dello Stato interventi popolari non violenti nelle guerre?).
6) Solo con la non violenza non si arriva a distrugge gli avversari e, quindi, si può realizzare un pluralismo politico (che fa uscire da tutte le ideologie politiche basate sugli -ismi e sulla lotta bipolare per la supremazia). Allora il concetto politico fondamentale della non violenza è il pluralismo dei modelli di sviluppo (Capitini 1943; Lanza del Vasto 1959; Galtung 19t67), che nella politica internazionale sta nascendo in termini di multipolarismo: non solo gli USA, ma anche la Cina, l’India, il Brasile e i Paesi sud-americani (l’Europa?). Questo concetto chiarisce che una politica non violenta si realizza solo se si incomincia subito e qui un modello di sviluppo alternativo. Gandhi ne ha dato l’esempio: le sue lotte contro l’Impero incominciavano dal vivere secondo un modello di sviluppo che oggi è di esempio per tutta la ideologia ecologica e della decrescita. Con questo concetto la politica non violenta diventa teoria basata sulle strutture sociali, più generale del socialismo-marxismo, il quale vedeva solo la divisione destra/sinistra, Giustizia/libertà; ma non quella sul tipo di sviluppo, per cui ha accettato il nucleare, l’inquinamento, la finanza, la crescita incessante.
Ricordando il grande maestro della non violenza don Tonino Bello, mi permetto di parafrasare un suo invito famoso: “Popolo non violento, in piedi! Cioè, siate all’altezza delle sfide intellettuali ed etiche dei nostri tempi!”