Jeannette Cummins, Il sale della terra, ed Feltrinelli, 2018
A lettura finita, l’emozione resta per un po’ di tempo, il racconto prende, con la capacità di dis-velamento della realtà del viaggio dei migranti, con la forza di una denuncia della situazione dei paesi dell’America Latina, Perù, Guatemala, Honduras da cui donne, uomini e bambine/i fuggono, alla ricerca di un sogno, dei loro sogni che permettono di sperare in una vita migliore, o semplicemente in una vita futura.
Non è il "sogno americano", non vogliono l’America, in cui vivono già. "Anche da questa parte del muro ci sono sogni". Loro cercano di raggiungere gli Estados Unidos, saltando sulla Bestia, sui treni merci che giungono ai confini e poi attraversando con i passeurs un deserto tra i più difficili e disperanti del pianeta ai cui bordi li aspettano fanatici razzisti, forze dell’ordine troppo spesso corrotte, ma anche organizzazioni di chiese e laiche che sentono il sapore di questo "sale della terra" e li soccorrono nel loro andare. Dice l’autrice nell’introduzione: “Nella peggiore delle ipotesi li percepiamo come una massa di invasori e di criminali che prosciugano le nostre risorse; nella migliore, come una folla di poveri senza volto con la carnagione scura, che chiedono aiuto a gran voce bussando alle nostre porte. Di rado pensiamo a loro come a esseri umani uguali a noi.” Forse, invece, sono loro Il sale della terra, le persone che vale la pena incontrare, con cui condividere il nostro tempo. L’autrice svela la finalità del suo lavoro, che raggiunge facendoci vivere la storia di una donna, una libraia, una madre normale e felice , la cui famiglia viene sterminata a causa del lavoro di giornalista del marito, che non teme di denunciare un insospettabile narcotrafficante, boss del cartello dei Jardineros. . Un attrezzo da giardinaggio è la falce che gli appartenenti alla gang si fanno tatuare sul collo aggiungendo una goccia di sangue per ogni omicidio. La fuga di Lydia e del figlio Luca, un bambino di incredibile forza, sensibilità e intelligenza può svolgersi solo sulle rotte illegali dei migranti, la loro vita si intreccia con quella delle sorelle Soledad e Rebecca, con i destini tutti differenti, tutti personali, ma tutti segnati dalla violenza dell’oppressione, che come in un gioco di specchi ci rimandano la realtà dell’America Latina e dei suoi popoli e la realtà di un sistema del nord del mondo profondamente sbagliato. La sofferenza cresce giorno dopo giorno, nel macinare i chilometri di un viaggio sempre più difficile, ma l’umanità dei personaggi (a volte la disumanità di alcuni incontri) cresce con il cammino. Una così giovane scrittrice è riuscita (al di là dell’operazione editoriale che la ha sostenuta enormemente e delle critiche mosse al libro per questo motivo) a presentare un quadro che, per quanto sia stato criticato, secondo me fa riflettere sulle condizioni in cui nel mondo si scontrano bene e male, sfruttamento e r-esilienza al dolore. Come nel Mediterraneo, così nel deserto californiano e sulla Bestia che porta merci e forza lavoro, entrambi a basso costo.