Don Tonino Bello, non solo parole da ricordare o scritti da diffondere, ma scelte di vita da ripercorrere, orme di un cammino da proseguire. Dal giorno della sua scomparsa, il 20 aprile del 1993, fino ad oggi, si sono moltiplicate le pubblicazioni e le ricerche accademiche che lo riguardano.
Sui social, nelle omelie o nelle veglie di preghiera si citano o si trascrivono brani delle sue opere o dei suoi numerosi interventi, adattati e riportati a volte in situazioni e contesti molto diversi.
Innumerevoli poi sono gli studi che scandagliano il pensiero teologico dell’autore, le sue prospettive pastorali, la sua originalità poetica e letteraria, la finezza psicologica e spirituale del suo linguaggio.
La freschezza immaginativa e l’originalità delle metafore, delle allegorie, delle parabole, catturano l’attenzione del lettore e lo affascinano avvolgendolo in un vortice di calde e gratificanti emozioni.
Ma sarebbe sterile o poco utile ricordare ed esaltare don Tonino solo per questa che potremmo definire mozione degli affetti.
Si correrebbe il rischio di ridurre, decurtare il patrimonio della sua immensa eredità morale limitandola solo alla suggestione di un certo, sia pure attraente, formalismo estetizzante.
Questo, secondo me, metterebbe in evidenza, più che altro, un nostro desiderio di autocompiacimento culturale e di autogratificazione religiosa. Rischieremmo però in tal modo di rimanere fuori da quel dinamismo esistenziale che tenne sempre alta la tensione ideale della sua personalità.
Ricordare il Servo di Dio, nostro conterraneo, - la cui statura umana lo rende un originale salentino planetario - deve invece farci ritrovare e ravvivare anzitutto le ragioni profonde che fanno di lui un grande testimone e un grande maestro del nostro tempo, capace ancora di essere scrupolo scomodo per le nostre timidezze o per le nostre mediocrità.
Proviamo allora a farci provocare e inquietare dalla sua dirompente e rischiosa fedeltà al Vangelo, nella sua imprescindibile dimensione bipolare di fedeltà a Dio e all’uomo, al cielo e alla terra, alla Parola e alla storia.
Quella fedeltà che, indossando insieme stola e grembiule, gli consentiva di saldare con uno sguardo contempl/attivo il volto di Gesù con il volto di ogni povero, impastando insieme la sabbia arida della politica e i sogni inarrivabili della mistica, la profezia della denuncia e la tenerezza della misericordia, la fatica logorante del tempo e il gaudio luminoso dell’ eternità.
Se è vero che i grandi geni dell’arte, della scienza e della cultura appartengono alla famiglia umana universale e non sono proprietà esclusiva di nessuno, così anche don Tonino ormai è patrimonio di tutti, nella Chiesa e al di fuori di essa, ma appartiene specialmente a coloro che ne condividono le visioni e le passioni, l’eutopia di un mondo diverso, di una terra per tutti ospitale, conviviale e fraterna.
Sono coloro che vivono oggi le stesse scelte di campo, lo stesso stile di vita e si nutrono di quei sogni diurni che continuano a infiammare l’anelito di liberazione umana da ogni forma di ingiustizia, di discriminazione e di violenza.
Non è un caso che ieri ad Alessano, per onorare la memoria di don Tonino nel ventottesimo anniversario del suo dies natalis, c’è stato l’attuale arcivescovo di Napoli, don Mimmo Battaglia, certamente anche lui pastore con l’odore delle pecore, spina nel fianco della corruzione e della criminalità.
E sempre in questi giorni l’anziano missionario padre Alex Zanotelli, direttore di Mosaico di pace- mensile di Pax Christi ideato e voluto dallo stesso don Tonino - ha lanciato l’iniziativa di un Digiuno a staffetta, segno di solidarietà con i migranti rifiutati o periti nel Mediterraneo, ma anche per promuovere fame e sete di giustizia, contro l’indifferenza di un’economia che uccide e scarta i più deboli.
È bello pensare che, nonostante tutto, sono in tanti coloro che, pur senza aver incontrato o conosciuto il mite e coraggioso profeta pugliese, ne ripercorrono i passi e, accogliendo il magistero di Papa Francesco, orientano il loro impegno quotidiano alla luce di quella opzione fondamentale che nella "Laudato sì" viene definita ecologia integrale.
Si tratta della consapevolezza, attestata sia dalla ricerca scientifica sia dalla coscienza morale, che nel mondo ormai ogni singola parte è connessa con il tutto, che il destino di ognuno è legato indissolubilmente a quello di tutti gli altri e nessuno si può salvare da solo.
E ciò è dovuto all’evidente interdipendenza strutturale tra l’inequita’ del sistema economico-finanziario, il dilagare progressivo delle povertà e l’inarrestabile degrado ambientale.
In questo circolo vizioso si fecondano e si alimentano gli scontri sociali, le innumerevoli guerre per l’accaparramento delle risorse e il controllo dei territori, il graduale e inesorabile processo di desertificazione, i mutamenti climatici e gli inarrestabili, drammatici flussi migratori.
A farne le spese sono sempre le turbe sterminate degli scartati, dei drop-out, dei bambini, degli invisibili...di coloro che non contano niente.
Da qui la necessità e l’urgenza di cambiare rotta e di interrompere la catena dell’ingordigia aggressiva e violenta di pochi superpotenti che genera la scandalosa e spaventosa miseria delle moltitudini e contemporaneamente produce lo scempio inesorabile della natura e la distruzione progressiva della casa comune.
Don Tonino, anticipando i tempi, considerava già la pace nella sua prospettiva trinitaria o tridimensionale. La pace - diceva - può scaturire solo come frutto della giustizia e della salvaguardia del creato (Arena di Verona,1989).
Non ci potrà essere pace finché ingenti risorse finanziarie, sottratte alla sanità, all’educazione, al welfare, alle famiglie, alla ricerca scientifica ed ecologica, vengono utilizzate per costruire e trafficare strumenti bellici, alimentando conflitti armati ad alta e a bassa intensità, possibilmente sempre in casa d’altri…(e nella graduatoria dei Paesi maggiormente coinvolti l’Italia purtroppo è tuttora ben piazzata).
A ciascuno di noi, prima che ai grandi della terra, compete con urgenza la scelta coerente di uno stile di vita sobrio, solidale, eco-compatibile ma s’impone anche la responsabilità di scegliere da che parte stare.
È necessario - ci ricorderebbe il nostro animatore di tante manifestazioni per la pace e la nonviolenza - non fermarsi alla finestra a guardare il corteo della storia che ci passa vicino, né voltarsi dall’altra parte e rimanere indifferenti o rassegnati, ma immergersi nel flusso inarrestabile della corrente culturale, politica e religiosa ispirata da quel soffio che lui chiamava Charitas sine modo, Amore senza misura.
Amore che è vaccino sicuro, universale e già disponibile per tutti.
Charitas che genera dialogo, incontro, compassione, inclusione, gratuità nelle relazioni, tenerezza, responsabilità condivise..sine modo, senza calcoli egoistici, senza fine e senza confini.
L’ unico vaccino in grado di farci superare non solo la pandemia del covid 19 (speriamo al più presto), ma ogni virus di odio e di discriminazione che minaccia e potrebbe distruggere la fraterna e planetaria convivialità.
Pubblicato in Quotidiano di Puglia, 21 Aprile 2021
don Salvatore Leopizzi
Pax Christi - Gallipoli