Cristiano Morsolin, esperto di diritti umani in America Latina dove vi lavora dal 2001 (https://diversidadenmovimiento.wordpress.com/)
A 15 anni dall’entrata in vigore del Protocollo opzionale alla Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (2002), si celebra il 12 febbraio 2017 la giornata internazionale contro l’utilizzo dei minori in guerra. Ricorrenza funestata dai drammatici dati diffusi dalle Nazioni Unite: nel 2015 sono stati almeno 250 mila i ragazzini impiegati da eserciti regolari o irregolari come soldati, cuochi, facchini e schiavi sessuali.
Nel suo ultimo rapporto del luglio 2015, il Rappresentante Speciale Onu per i minori in guerra, Leila Zerrougui, parla di “unspeakable violences”, violenze inenarrabili, e spiega che “la situazione peggiora di anno in anno”. Aumentano reclutamenti forzati e attacchi a scuole e ospedali; su 24 milioni di sfollati almeno uno su tre è minorenne.
La situazione è particolarmente grave in Colombia, dove l’impunità regna sovrana in un contesto dove varie stime di UNICEF e organismi internazionali considerano la presenza di oltre 11.000 bambini soldato ostaggio dei gruppi armati illegali.
Come afferma l’organizzazione internazionale Wachtlist on Children and Armed Conflict, in Colombia si deve ancora migliorare sul piano della giustizia processuale. Dopo la legge “Justicia y Paz” (2005) di smobilitazione dei 31.000 paramilitari, i numerosi processi e le successive condanne, solo due di queste erano relative al reclutamento forzato dei minori.
La rete nazionale della società civile Coalico (Coalizione contro l’utilizzo di minori nel conflitto armato in Colombia) segue da vicino la situazione nazionale ed internazionale su questo complesso tema, ed evidenzia preoccupazione rispetto alla disuguaglianza giuridica che colpisce doppiamente i bambini perchè non sono riconosciuti come vittime.
Le Forze armate rivoluzionarie di Colombia (Farc) – che avrebbero ancora nelle proprie fila centinaia di baby soldati – si sono impegnate nel febbraio 2015 a non utilizzare più bambini soldato nel quadro dei negoziati; ma stanno violando gli accordi di pace firmati a fine novembre 2016 perché, dopo tutti questi mesi, hanno liberato solo 13 (tredici) adolescenti, come ha denunciato Sara Oviedo, membro del Comitato delle Nazioni Unite per i diritti dell’infanzia di Ginevra – nell’intervista esclusiva che mi ha rilasciato per l’agenzia ALAI di Quito.
Nel corso di una sua recente visita in Colombia (26-30 aprile 2015), Sara Oviedo, vice-presidente del Comitato ONU sui diritti dell’infanzia, ha usato parole forti: “Dobbiamo sradicare tutte le forme di violenza contro l’infanzia, lo sfruttamento sessuale, la violenza domestica, il reclutamento forzato da parte dei gruppi armati illegali, perchè sono la causa della morte di tre bambini ogni giorno in Colombia. Esiste una pessima distribuzione della ricchezza che divide la maggioranza dei lavoratori dai padroni dei mezzi di produzione. In questo modo, si rendono vulnerabili anche i diritti dei bambini e adolescenti a causa di una cultura purtroppo diffusa in Colombia che accetta la divisione tra ricchi e poveri e il mondo politico mantiene questo sistema di esclusione”.
Sul rischio impunità è intervenuto a Washington il vice Procuratore della Corte Penale Internazionale Stewart: “Speriamo che il processo di pace arrivi al suo punto finale in forma esitosa ma deve contemplare una vera assunzione di responsabilità per coloro che hanno commesso crimini di guerra e di lesa umanita in base agli standard internazionali di giustizia”.
Per approfondire
Su questi temi ho video-intervistato in esclusiva, Anne Robin, braccio destro di Leila Zerrougui, Secretary-General’s Special Representative for Children and Armed Conflict:
www.youtube.com/watch?v=02Vy8QHInm8
In questa giornata mondiale delle Mano rosse contro l’utilizzo dei baby soldati nei conflitti armati è importante focalizzare l’attenzione sul conflitto colombiano che – secondo la Fiscialia de la Nacion – avrebbe coinvolto ben 11.300 minori, documentato nell’articolo Carnefice o vittima? Un ex bambino soldato a processo per i crimini in Uganda e le relazioni con Colombia (www.vita.it/it/article/2016/12/09/carnefice-o-vittima-un-ex-bambino-soldato-a-processo-per-i-crimini-in-/141891/ ).
Il Corriere della Sera di venerdi scorso ha pubblicato un bel reportage “I bambini soldato della Colombia che tornano a vivere grazie alla pace“sulla storia di Manuel e Catalina, due adolescenti reclutati alla forza dalle FARC che sono venuti recentemente a Roma a raccontare la loro storia di riscatto grazie all’appoggio dei salesiani del progetto Ciudad Don Bosco, programma sociale che accompagna 2.300 giovani a Cali e Medellin.
“Come se non bastassero le privazioni di cibo e di sonno, Catalina impara presto che in guerra più di tutto vale il detto “mors tua vita mea”. “Una notte l’esercito colombiano ha attaccato il nostro campo. Ero con il mio fidanzato. Abbiamo iniziato a correre, io non riuscivo perché ero ferita. Lui mi ha fatto scudo con il suo corpo ed è morto. Quella notte, di tanti che eravamo siamo rimasti in pochi”, ricorda.
Come tutte le sue compagne si trasforma in uomo, che imbraccia un’arma e uccide come una macchina. “Sono passata da essere una bambina che ragiona da tale a una persone fredda che non ha mai paura di niente”. Oggi Catalina ha ricominciato a vestirsi con abiti femminili, l’obbligo della divisa e il divieto di truccarsi sono un ricordo. Da grande sogna di diventare un’infermiera o un’avvocatessa per i diritti dell’infanzia. Ma la cosa più importante per lei ora è di aver imparato a socializzare con le persone che le stanno vicino: “Se devo pensare a un colore, prima ero grigia ora sono bianca. Sono anche riuscita a fare pace con mia madre e a condividere certe cose con lei…e chissà, magari un giorno racconterò ai miei nipoti delle mie ferite di guerra”.
Per le ragazze, la vita nelle fila della guerriglia facilmente si traduce in abusi sessuali di ogni tipo. “Molte di loro sono state costrette ad avere rapporti con i superiori o a fidanzarsi con i compagni per diminuire i rischi di fuga”, sottolinea ancora Areiza. “Chi è rimasta incinta è stata costretta ad abortire anche più volte, oppure i neonati sono stati regalati o venduti ai contadini dei villaggi vicino ai campi”, scrivono Carlo Lodolini e Marta Serafini (www.corriere.it/reportages/esteri/2017/colombia-bambini-soldato/ ) .
14 febbraio 2017