In Cina il partito unico c’è dal dopoguerra, episodi di totalitarismo, come la celebre piazza Tiananmen. Ce ne sono sempre stati, ma ad oggi è ancora più accentuato che il Drago cinese si sia trasformato in un vero e proprio Leviatano di stampo hobbesiano.

Peraltro, quasi sicuramente, anche Hobbes non sarebbe d’accordo con il dispotismo cinese, dal momento che, a suo parere, uno Stato non può obbligare il “pensiero”.
Per comprendere bene la situazione cinese è importante analizzare le tre grandi direttrici liberticide su cui si sta muovendo il governo di Xi Jimping: controllo opinione pubblica, questione Hong Kong e questione Uiguri.
Per quanto riguarda il controllo dell’opinione pubblica è necessario focalizzare l’attenzione sui seguenti due nomi : Wumao e Zhenhua data leak.

Cyber warfare
La Cina ha cominciato, dall’ inizio del Duemila, a investire in risorse per la “cyber warfare”, arrivando ad avere un organico di ben 2 milioni di “soldati” per questo particolare nuovo modo di fare guerra, secondo le stime dell’analista politico Kerry Gershanek. Di questi 2 milioni, 300 mila fanno parte del Wumao, o Esercito dei 50 centesimi, uno degli asset più importanti per le strategie di Pechino per la cyber warfare, stando sempre alle parole di Gershanek.

Controllo dei media
La funzione del Wumao è quella di pubblicare sui social contenuti a favore del regime di Xi Jimping, che possono variare dalla pubblicazione di un post al rispondere ai commenti di eventuali oppositori; per detta attività lavorativa, il suo creatore viene pagato cinquanta centesimi. Secondo alcuni leak, letteralmente fughe di notizie, del 2011 e del 2014 , le linee guida prevedono l’obbligo di almeno 7 post al giorno che devono riguardare propaganda contro USA e Taiwan, le inefficienze e le problematiche delle democrazie occidentali, l’imperialismo dell’Occidente volto a invadere innocenti paesi neutrali per imporre i suoi valori, i benefici del Partito per i cittadini cinesi. Ad oggi i contenuti pubblicati si aggirano a circa 500 milioni.
Pechino però non si limita semplicemente a produrre contenuti social, ma li controlla anche non limitandosi peraltro a quelli cinesi.
Mi riferisco allo Zhenhua data leak, punta di un iceberg ben più grosso e tuttavia ancora nascosto. A metà settembre del 2020 si è scoperto che la Zhenhua data, azienda privata nata nel 2017 nota collaboratrice del Partito Comunista Cinese – che recava come “missione”, sul sito (poi oscurato), la seguente massima di Xi Jinping “integrare i dati globali open source per aiutare il ringiovanimento della nazionale cinese” – aveva raccolto e schedato ben 2 milioni e 444 mila profili fra le personalità più importanti. Di profili italiani se ne sono scoperti 4544, fra politici come Lia Quartapelle (schieratasi più volte a favore di Hong Kong) Renzi, Berlusconi, i cui dati riguardano tutti i membri della famiglia, anche nei gradi più lontani, dirigenti delle autorità portuali di Trieste, Genova, Civitavecchia, imprenditori come Ferrero e Merloni, ma soprattutto una lista di 2732 indagati per criminalità organizzata, dal narcotrafficante calabrese Giovanni Palamara al camorrista Gennaro Imparato, per citarne due. I dati non si limitano ad essere raccolti, in quanto per ogni profilo è presente una mappa di “connessioni e interessi” dell’individuo.
Vilfredo Pareto, sociologo e fra i teorici dell’elitismo, aveva diviso in due i sistemi politici propri di una élite per mantenere il potere, definendo élite di volpi quelle che basavano il proprio potere sulla persuasione e quella dei leoni quelle che lo basavano su forza e coercizione. Secondo Pareto potevano esistere anche quelle ibride, il cui potere era ancora più solido e stabile. Nei precedenti paragrafi ci siamo confrontati con la parte delle volpi, del soft power cinese, nei successivi vedremo l’ingresso della politica coercitiva, propria delle elite dei “leoni”.
Hong Kong, dopo aver sperimentato la libertà britannica per novantanove anni (1898-1997), si è ritrovata con un governo tutt’altro che democratico. Il patto sottoscritto fra Regno Unito e Repubblica Popolare Cinese nel 1984 era che per almeno 50 anni, fino al 2047, la Cina avrebbe dovuto rispettare i sistemi economico e politico della città, secondo il principio “un paese due sistemi”.
Quando il tentativo della Cina di assoggettare la città diventa più evidente e pesante iniziano a nascere movimenti e proteste per chiedere più autonomia da Pechino, come la Rivoluzione degli ombrelli. La polizia Cinese ha sempre represso con violenza ogni tipo di protesta e manifestazione, per quanto pacifica fosse; per capirlo possiamo prendere in considerazione un dato, ovvero il numero dei lacrimogeni utilizzati da luglio a novembre 2019, in 10 manifestazioni, e che consta di oltre 4000 unità impiegate sui manifestanti.
Il 30 giugno 2020 poi la Cina ha reso legale la sua repressione a Hong Kong, con la Legge sulla sicurezza, che ha permesso al regime di Xi Jinping di arrestare oltre ai manifestanti anche politici o attivisti; è sufficiente l’accusa di essere una minaccia per la sicurezza nazionale cinese. Con la stessa giustificazione Pechino ha sciolto il sindacato studentesco universitario Syzygia, eletto con 4000 voti, ha posto sotto censura il museo M+, rimosso film e libri dalla città di Hong Kong. Per evitare poi che le future generazioni si facessero domande, all’orario scolastico settimanale della scuola primaria di 15 ore, il Partito ne ha aggiunte 3 solo per parlare, ovviamente in modo positivo, della legge sulla sicurezza nazionale. Sempre grazie a questa legge ha imposto un giuramento di fedeltà al governo per lavorare ad Hong Kong, licenziando 200 obiettori.
Un’altra strategia del Pcc sono i lockdown-imboscata, ovvero lockdown annunciati con non più di quindici minuti di anticipo che consentono di controllare, multare e perfino arrestare chiunque si trovi in giro, ad esempio, nel primo di questi lockdown, su 7000 controllati solo 13 saranno trovate positive al Virus.
Dulcis in fundo Pechino ha cambiato il sistema elettorale della città ex-britannica : prima l’aveva reso una democrazia imperfetta, con una parte dei membri dei vari organi eletti direttamente e l’altra da un comitato di poco più di mille persone di chiaro stampo filo-governo di Pechino. Ora la Cina di Xi Jimping, a marzo, ha approvato una nuova legge elettorale che ha aumentato il numero di candidati eleggibili dal Comitato Elettorale, diminuito quelli diretti, e imposto il diritto di porre veto a questi ultimi se ritenuti poco idonei, con la scusa di volere solo patrioti.
La Cina, dopo aver violato tutti i diritti umani politici e sociali, riguardanti la libertà, ha violato anche il diritto alla vita, al non essere torturato, alla sicurezza e alla libertà dalla schiavitù : la pagina più nera della storia cinese, le persecuzioni religiose e il genocidio degli Uiguri.
Per prima cosa, bisogna parlare della repressione del Falun Gong, una disciplina spirituale di stampo buddista, che oltre alla meditazione e alla pratica del Qigong, esercizi fisici, insegna valori come verità, compassione e tolleranza. In Cina è arrivato nel 1992 e solo nel 1998 già contava 70 milioni di praticanti. Il regime di Pechino lo vede come una minaccia, e crea l’ufficio 610, che l’avvocato cinese per i diritti umani, attualmente in esilio, Guo Guoting ha definito “proprio come la Gestapo di Hitler. Sono potenti e godono di un certo sostegno economico da parte del governo […] Controllano segretamente tutti i praticanti del Falun Gong della propria zona”. L’ufficio 610 è infatti un organo extra legale del Partito nato per reprimere il Falun Gong. I praticanti di questa filosofia venivano mandati in campi di lavoro e rieducazione o psichiatrici; secondo Manfred Nowak, avvocato per i diritti umani che ha lavorato per l’ONU, il 66% dei casi di tortura in Cina sono contro i praticanti del Falun Gong. Il Minghui.org, sito che documenta la persecuzione del gruppo da parte del Partito Comunista Cinese, solo le uccisioni accertate sono 4476, mentre le persone torturate accertate sono 63 mila. Una delle pratiche peggiori a cui i praticanti del Falun Gong, ma anche membri di altre minoranze religiose, come quella degli Uiguri, quella Cristiana e quella Tibetana è quella del trapianto forzato di organi. Non mi soffermerò su questa problematica, per la quale vi consiglio l’inchiesta documentata nel libro Bloody Harvest, ma mi limiterò a far presente che nel 2019 decine di trattati accademici cinesi sul trapianto degli organi sono stati rimossi dopo che i medici autori di essi si erano dimostrati incapaci di dimostrare il consenso dei donatori.
Questa però non è l’unica persecuzione messa in atto dalla Cina, della portata di un genocidio è quella contro le minoranze islamiche, la Utsul e gli Uiguri.
Gli Uiguri si trovano nella regione dello Xinjiang, de jure autonoma se facto no, adiacente al Tibet, quindi nella parte occidentale del Paese. La regione aveva provato a rendersi indipendente all’inizio degli anni duemila, e per questa ragione subito dopo l’insediamento, Xi Jimping ha iniziato una politica di sinizzazione forzata della regione. Sono stati costruiti moderni lager, che la Cina definisce campi di lavoro e rieducazione, guarda caso gli stessi termini utilizzati dai nazisti, nei quali si stima che siano stati rinchiusi almeno un milione di Uiguri, ma si pensa, stime degli Stati Uniti, che il numero possa arrivare anche a due milioni nelle 1400 strutture extra giudiziali create appositamente.

Torture e non solo
Torture fisiche, psicologiche e sessuali sono all’ordine del giorno. Le donne vengono sterilizzate al loro “ingresso”.
I detenuti sono obbligati a indossare tute “anti-suicidio” e a evitare oggetti che potrebbero causarlo. Nei campi inoltre è obbligatorio parlare il mandarino, e si è sottoposti a un lavaggio del cervello per dimenticare la propria identità di popolo e di fede a favore della Cina. Alla violenza si è aggiunta la legge, con la rimozione dai programmi scolastici di tutto ciò che riguardasse la cultura Uigura, mentre alle sterilizzazioni si è aggiunto un ben più esteso programma di controllo di nascite, che dal 2015 ad oggi ha portato ad una discesa del 33% del calo delle nascite.
Se tutto questo non fosse abbastanza per capire la portata della situazione si pensi che la comunità ebraica di Londra ha chiesto di intervenire al rispettivo governo ed ha manifestato la propria solidarietà in quello che è un genocidio che ha definito al pari dell’Olocausto.
La sinizzazione forzata delle minoranze però non è un fenomeno limitato agli Uiguri, a testimonianza che non è una questione di sicurezza naturale, come ha affermato il governo Cinese negando il genocidio. Sta accadendo anche alla etnia Utsul, neanche riconosciuta ufficialmente dal governo cinese, che conta fra gli 8500 e i 10 mila membri, tutti nell’isola di Hainan, nella città di Sanya. Anche loro, come gli Uiguri, sono di fede islamica.
Reputati un pericolo per Pechino il Pcc ha imposto loro il divieto di indossare abiti tradizionali o l’hijab, la demolizione delle moschee in stile arabo, il controllo dei fondi di queste, la rimozione di libri slogan o scritte religiose in arabo che "propagandino l’arabizzazione", che leggendo tra le linee significa tutto ciò che riguardi quella cultura, e per finire il censimento dei fedeli nel partito.
La Cina non è nuova a tutto questo, dal momento che metodi repressivi altrettanto brutali erano stati utilizzati anche nel secolo scorso, quella volta sui Mongoli. Ad Agosto 2020 la stessa Mongolia del sud è tornata al centro di programma di sinizzazione forzata, che ha portato a rimuovere dalla scuola i libri di testo regionali in lingua mongola a favore di quello nazionali in Mandarino.
L’Unione Europea e gli Stati Uniti fra i vari hanno condannato fermamente la Cina, sanzionandola. Per tutta risposta la Cina ha dapprima affermato all’ONU che bisognasse ridefinire l’importanza dei diriti umani, mettendo al primo posto guadagno felicità e sicurezza anziché la libertà o la democrazia, sottolineando che nello Xinjiang era aumentato il Pil e non si verificavano attentati da 2017, provando quindi a giustificarsi. Dopodiché ha pubblicato un rapporto con le presunte violazioni dei diritti umani degli USA.
La situazione è in continuo fermento ed è possibile solo immaginare, per il momento, la fine dei genocidi e del Regime totalitario del partito comunista cinese di Xi Jimping. Nell’attesa sarebbe opportuno informarsi sulla questione e magari smetterla di stringere la mano ad un governo che sulle mani ha il sangue di tanti innocenti, mi riferisco agli articoli sul blog del M5s, stesso partito che incensava la Cina e la “via della seta” del commercio con essa, nei quali viene negato che esista un qualsiasi tipo di genocidio e viene sostenuto che sia tutto un complotto delle Ong filo-statunitensi.
Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave senza nocchiere in gran tempesta,
non donna di province, ma bordello”.


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