L’8 agosto 2020, è morto Pedro Casaldáliga, vescovo di Sâo Félix de Araguaia (Mato Grosso), profeta, teologo e viandante sulle strade della liberazione dell’Amerindia, che lui stesso ha aperto seguendo le parole di Antonio Machado: “Non c’è cammino. La via si apre camminando”.
A un anno dalla sua morte, credo sia necessario fare memoria della personalità e della vita evangelica e politicamente sovversiva di Pedro Casaldáliga e offrire la sua teo-poetica della liberazione come alternativa al teismo politico radicato oggi in Brasile con Bolsonaro sotto forma di “cristofascismo”. Nella sua personalità convivevano, in una sola persona, dimensioni difficili da armonizzare ma che egli riusciva a unire in modo autentico e coerente.
1. Pedro era una persona che credeva nel Dio della vita, Padre e Madre, quel Dio “che nel grembo di Maria si fece uomo e nella bottega di Giuseppe si fece classe”, come afferma nella poesia che apre il libro Fuoco e cenere al vento. Antologia spirituale, illustrata dal suo caro amico e collaboratore Mino Cerezo Barredo. Non era un credente fondamentalista, ma un interreligioso, macro-ecumenico; un credente nel “Dio di tutti i nomi”, espressione con cui si rivolge a Lui durante la messa. Ha tradotto la sua fede non con pratiche rituali estranee alla vita, ma nella sequela di Gesù di Nazareth e nella prosecuzione della sua causa liberatrice.
2. Casaldáliga è stato un decolonizzatore dei colonialismi di ieri dopo la violenta conquista del territorio dei popoli originari di Abya-Yala, così come dei neocolonialismi di oggi causati dalla globalizzazione neoliberista e imposti a questi popoli attraverso l’appropriazione dei loro territori (l’estrattivismo e il moderno modello di sviluppo tecnico-scientifico).
3. Inscindibile dal suo impegno di decolonizzazione era il suo ruolo di de-evangelizzatore della prima evangelizzazione fatta con la croce e la spada in un’alleanza sacrificale, e di evangelizzatore “solo con sandali e Vangelo”, mettendo in pratica le istruzioni di Gesù: “Non prendete oro, argento o rame nelle vostre cinture; niente bisaccia per la strada, non abbiate due tuniche, niente sandali, niente bastone da passeggio” (cfr. Mt 10,10). Egli stesso descrive questo modo di vivere caratterizzato dal distacco nella poesia “Povertà evangelica” dal libro Elemental Clamor: “Non avere nulla./ Non portare nulla./ Non poter fare nulla./ Non chiedere nulla./ E, tra l’altro, non uccidere nulla./ Non tacere su nulla./ Solo il Vangelo, come un tagliente coltello./ E il pianto e il riso nello sguardo./ E la mano tesa e serrata./ E la vita, a cavallo, donata / e questo sole e questi fiumi / e questa terra comprata / per i testimoni della Rivoluzione già esplosa4. a. / E più niente”.
4. Fu “poeta della vita e della parola”, come lo definì il poeta e professore di Estetica all’Università di Barcellona, José María Valverde, e “teopoeta della liberazione”, come lo chiamo io, insieme a Rubem Alves ed Ernesto Cardenal. Era un esteta della parola incarnata, un maestro del bene da dire, che in lui è “essere”, “vivere” e “fare”. La sua poesia non è sfuggente, ma si erge sulla realtà; è piena di indignazione e di dolore per l’ingiustizia e la fame che la maggior parte della popolazione mondiale ha sofferto e continua a soffrire.
5. Ha analizzato la realtà con gli occhi dei poveri, occhi che, come dice lui, “vedono con un’altra luce”. È stata proprio la luce a portarlo a criticare il neoliberismo, che ha descritto come “la grande bestemmia del 21° secolo”. Ma non è rimasto alla critica e alla denuncia, ma nel pieno dell’era neoliberista è stato un “operaio dell’utopia” di un altro mondo possibile, in sintonia con la proposta del World Social Forum, che ha tenuto proprio sette incontri in Brasile. Utopia di liberazione, dunque, che non considerava un ideale irrealizzabile, ma piuttosto il traguardo che si può raggiungere attraverso l’impegno lungo la via della “speranza contro ogni speranza”.
6. Fu anche un profeta dagli occhi aperti che risvegliò le coscienze assonnate di molte persone conformiste e di cristiani che, secondo lo scrittore francese Georges Bernanos, sono “capaci di insediarsi comodamente sotto la croce di Cristo”. Fu un rivoluzionario universalista, che credeva “nell’Internazionale dei fronti sollevati, della voce del pari a uguale e delle mani intrecciate” e accompagnava le rivoluzioni prodotte in America Latina, anche con la sua presenza fisica.
7. Casaldáliga è stato un intellettuale critico, anticonformista e compassionevole con le vittime del colonialismo, del capitalismo, del patriarcato, dell’aporofobia e dello sfruttamento della Terra. Fu senza dubbio uno degli intellettuali più lucidi dell’America Latina, che offrì narrazioni alternative ai resoconti ufficiali del sistema, costruì spazi di convivenza e dialogo simmetrico invece di campi di battaglia e monologhi, destabilizzò l’ordine (dis)costituito e menti installate rivoluzionate. Criticò tutti i poteri: politico, religioso, economico, compresi i poteri occulti della “Santa Sede”, fino a quando non ha avuto l’audacia di chiedere a papa Giovanni Paolo II di lasciare il Vaticano e seguire la via del Vangelo. Ha affrontato e spogliato i grandi sistemi di dominio solo con la parola e con la vita esemplare.
8. Un’altra delle sue opzioni fondamentali era l’ecologia, seguendo Francesco di Assisi. Insieme al collega e caro amico Tomás Balduino, vescovo di Goiás, ha creato la Commissione Pastorale della Terra nella Conferenza Episcopale Brasiliana, che ha sostenuto le lotte e le rivendicazioni del Movimento Senza Terra (MST). Rivendicò il diritto dei popoli originari – i primi ambientalisti – al loro territorio, di cui si appropriarono i latifondisti, che li sfruttarono senza mostrare alcuna compassione per la terra o per i suoi legittimi abitanti. Ha chiesto il riconoscimento dei diritti della Madre Terra (Pachamama), che i popoli originari considerano sacri e con la quale formano una comunità eco-umana.
9. In ambito religioso si è distinto come missionario al servizio dei settori più vulnerabili della società, mistico solidale con i processi rivoluzionari, che lo ha sempre accompagnato, contemplativo nella liberazione sempre con i piedi per terra, vescovo ribelle e di insurrezione evangelica. Pastore al servizio del popolo, visse una spiritualità controegemonica e antimperiale. “Cristianicamente”, afferma, “lo slogan è molto chiaro (e molto impegnativo) e ce lo ha dato Gesù di Nazareth…: contro la politica oppressiva di qualsiasi impero, la politica liberatrice del Regno. Quel regno del Dio vivente, che appartiene ai poveri e a tutti coloro che hanno fame e sete di giustizia. Contro l’agenda dell’impero, l’agenda del Regno”. Predicava il Regno di Dio in lotta contro l’Impero e criticava la Chiesa “quando non coincide con il Regno”.
10. Casaldáliga ha seguito la strada dei vescovi che José Comblin chiama “Padri della Chiesa dell’America Latina”, che hanno messo in pratica il Patto delle Catacombe firmato da quaranta vescovi nella catacomba di Santa Domitila a Roma nel novembre 1965 durante la quarta sessione del Concilio Vaticano II, cui se ne sono poi aggiunti più di cinquecento. Optarono per una Chiesa povera dei poveri, denunciarono le dittature, furono perseguitati, misero a rischio la loro vita e alcuni furono assassinati diventando martiri, come Oscar A. Romero, Juan Gerardi, Enrique Angelelli... Furono sottoposti a procedimenti giudiziari, sorveglianza di polizia, indagini inquisitorie da parte delle Congregazioni vaticane, subirono condanne e furono addirittura allontanati dalle loro funzioni episcopali. Riconobbe le “Madri della Chiesa amerindia” in mezzo alla generale mancanza di riconoscimento. Fu un’ulteriore prova della sua lotta contro il patriarcato insediato nelle strutture ecclesiastiche e anche in importanti settori della cristianità liberatrice.
11. Pedro Casaldáliga ha affermato ripetutamente: “La mia causa è più importante della mia vita”. Così è stato. Ecco alcune delle cause più importanti che ha difeso, mettendo anche in pericolo la sua vita:
- La causa delle comunità afrodiscendenti, indigene e contadine, soggette al colonialismo, al razzismo e al capitalismo selvaggio. La sua Messa dei Quilombos costituisce il miglior riconoscimento della dignità dei popoli afro-discendenti sottoposti a schiavitù per secoli e ancora oggi, della difesa della loro identità culturale e religiosa e dei loro territori.
- La causa delle donne discriminate per essere donne, per essere povere, per appartenere a classi popolari, culture ed etnie originarie, disprezzate e sottoposte a violenze dal patriarcato politico e religioso fino ai femminicidi, e per praticare spiritualità e religioni che non corrispondono alle cosiddette “grandi religioni”. Ha sostenuto la causa delle donne contadine, indigene e nere, prostitute, di cui ha denunciato l’emarginazione sociale.
- La causa della Terra, considerata sacra dalle comunità indigene, soggetta a diritti e non venale.
- La causa del dialogo interreligioso, interculturale e interetnico. Non ha imposto la sua fede, né ha affermato che la religione cristiana fosse l’unica vera, ma ha rispettato e condiviso le visioni del mondo, le spiritualità e la saggezza delle comunità originarie, ha dialogato con loro senza arroganza o complessi di superiorità e senza stabilire gerarchie , pur riconoscendo alle loro divinità.
- La causa dei martiri, cominciando dal protomartire del cristianesimo Gesù di Nazareth e proseguendo con padre Joâo Bosco, assassinato in sua presenza dalla polizia, monsignor Romero, profetico arcivescovo di San Salvador, che dichiarò santo nel memorabile poema “San Romero de América, Pastor y Mártir Nuestro”, e per il martirio collettivo degli “indios crocifissi”, di cui ha scritto un articolo drammatico di denuncia sull’International Journal of Theology Concilium nel 1983.
12. Casaldáliga è uno dei simboli più luminosi del Cristianesimo liberatore e dei movimenti popolari in America Latina, che ha accompagnato solidamente, legittimando religiosamente le rivoluzioni politiche del continente dalla teologia della liberazione. E continua ad esserlo anche oggi all’apice dei movimenti religiosi fondamentalisti che stanno cambiando la mappa religiosa dell’America Latina e costituiscono una minaccia per la democrazia. È diventato un faro illuminante nell’oscurità del presente in piena evidenza dell’estrema destra politica a livello locale e globale.
Ignacio Ellacuria ha detto: “Con monsignor Romero, Dio è passato per El Salvador”. Oso affermare: “Con Pedro Casaldáliga, ‘il Dio di tutti i nomi’ è passato per il Brasile”.
13. Il suo impegno per i poveri della terra è stato vissuto praticando una serie di virtù da lui stesso formulate: la giustizia, che non si confonde con l’elemosina; l’umiltà, che è l’opposto dell’umiliazione; libertà, che non ha nulla a che vedere con la libertà predicata dal neoliberismo; la povertà, che non va confusa con la miseria; la speranza, che ha dimostrato lavorando per “Un altro mondo possibile”, e la fede cristiana, che si traduce nell’opzione per i poveri nella sequela di Gesù e nel perseguimento della sua causa:
“Mi attengo a quanto è stato detto: / Giustizia, / nonostante la legge e la consuetudine, / nonostante il denaro e le elemosine. / Umiltà, / essere veritieri. / Libertà, / essere uomo. / E povertà, / essere liberi ./ Fede cristiana, / camminare di notte, / e soprattutto camminare di giorno. / E in tutto, fratelli, / mi attengo a quanto è stato detto: / Speranza!”.
14. Ma la sua speranza non era ingenua, idealista, ma attiva, militante, sensibile alla sofferenza dei poveri e solidale con il dolore delle vittime, come afferma la poesia Io peccatore e vescovo, confesso: “Io peccatore e vescovo, lo confesso… per coltivare il fiore della Speranza tra le piaghe del Risorto”. È una speranza “tinta di lutto”, certo, come diceva il filosofo della speranza Ernst Bloch, ma, in fondo, “speranza contro ogni speranza”, come diceva Paolo di Tarso. “Tra le ferite del Risorto”.
15. Pedro Casaldáliga è stata una delle figure ispiratrici delle profonde trasformazioni compiute da papa Francesco nell’immagine del papato e nel suo impegno a favore delle persone impoverite dall’attuale modello neoliberista e dei popoli oppressi dall’alleanza tra capitalismo e colonialismo.
16. È sorprendente che, secondo le mie informazioni – che vorrei smentire – dopo la sua morte, papa Francesco non abbia riconosciuto pubblicamente il suo lungo cammino con i poveri della terra, con i quali, seguendo il versetto di José Martí, ha voluto lanciare la sua fortuna. Il vescovo-profeta del Sud Globale Pedro Casaldáliga ha praticato e difeso per più di mezzo secolo in loco, immancabilmente, le cause della cura della Casa Comune e del Tetto, Terra e Lavoro per tutti coloro che non hanno le tre T. Sono cause che il Papa propone nelle sue encicliche, dichiarazioni e incontri con i Movimenti Popolari ed Ecologici.
Nel discorso del Papa alla Curia Vaticana lo scorso Natale, ha chiamato Helder Cámara un “santo vescovo brasiliano” e ha citato la sua famosa frase: “Quando do’ da mangiare ai poveri, mi chiamano santo. E quando chiedo perché non hanno cibo, mi chiamano comunista”. Pedro Casaldáliga e Helder Cámara erano amici intimi, hanno combattuto contro la dittatura, denunciato la violazione dei diritti umani e si sono inseriti nel luogo sociale delle persone e delle comunità povere. Insieme hanno lavorato per “Un’altra Chiesa possibile”.
Su richiesta di Dom Helder, Casaldáliga compose la Messa dei Quilombos con Pedro Tierra, musicata da Milton Nascimento e dal suo gruppo. Si tenne per la prima volta nella Plaza del Carmen Recife, nello stesso luogo in cui fu esposta la testa di Zumbi (1655.1695), un leader nero antischiavista, decapitato dalle forze militari del governo portoghese. Sul manifesto che annuncia la messa c’è una mano nera che brandisce una croce, simbolo del popolo nero crocifisso.
Il discorso di Francesco alla Curia lo scorso Natale sarebbe stato un buon momento per ricordare Pedro Casaldáliga, mentre elogiava Helder Cámara, “anime affini” nella costruzione della “Chiesa dei poveri” in Brasile. Credo che papa Francesco debba rompere il silenzio ed esprimere la sua gratitudine e apprezzamento al vescovo catalano-brasiliano che ha dedicato 52 anni della sua vita a convivere con le comunità afrodiscendenti, contadine e indigene e a operare per liberarle dallo stato di prostrazione e schiavitù in quello in cui si trovavano. Spero che questa richiesta non cada nel vuoto.