Domenica scorsa papa Francesco ha chiuso il Sinodo speciale per l’Amazzonia. I lavori che l’hanno preceduto con il coinvolgimento della base dei cattolici, hanno conferito alle madri e ai padri sinodali una forza deliberatrice mai avuta prima.
I media di tutto il mondo, dopo aver evidenziato le parole di Bergoglio sul grido dei poveri e della terra, hanno dato grande eco a due punti del documento conclusivo quello per cui i diaconi sposati possono essere ammessi al sacerdozio in contesti dove c’è insufficienza di prelati e l’altro sullo spiraglio del diaconato femminile. In verità non si tratta di modernità inedite perché sono sposati i sacerdoti anglicani convertiti al cattolicesimo e quelli che officiano in alcune comunità di rito latino.
Domenica scorsa in tanti tra amici e detrattori di don Franco Ratti avranno avuto un sussulto e saranno andati indietro con la memoria per recuperare alcuni dei suoi pensieri.
Don Franco, sacerdote monopolitano formatosi alla scuola di mons. Carlo Ferrari, divenuto gesuita e dottore in Filosofia e Storia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, in seguito a un’esperienza mistica vissuta nella chiesa di San Francesco d’Assisi di Monopoli, si ritrova a compiere scelte radicali di preghiera e povertà per testimoniare Gesù e il Vangelo.
Per chi come noi ha avuto la fortuna di accompagnarlo durante i suoi anni più densi e maturi, diventa indispensabile rievocare alcuni suoi scritti (sito internet www.mocova.org) proprio sul tema dell’eucarestia domestica e del celibato facoltativo, ieri liquidati e accusati di eresia, oggi odorosi di profezia.
Più di vent’anni fa, il 14 dicembre 1997 a proposito di un convegno a Torino sulla vocazione non solo celibataria, don Franco che ha sempre vissuto il suo celibato come un dono di grazia ricevuto dal Signore, scrive “…Molti sono i preti costretti a vivere clandestinamente relazioni affettive, profonde e nobili. Molte sono le compagne sacerdotali costrette dalla pressione sociale ad abortire. Molti sono i figli dei preti che vivono, dal punto di vista sociale, un’esistenza defilata e insignificante. E’ ora di affrontare con maturità e trasparenza un problema creato dagli uomini, rifiutato da Dio.”
Il 12 settembre 1999 a Genzano nell’incontro di Vocatio don Franco incalza “…In vista del Giubileo del 2000 è nata l’iniziativa comune di proporre al Papa l’abolizione della legge del celibato ecclesiastico, perché esso celibato ridiventi un valore spirituale e umano, al di là della legge e del diritto”.
I quotidiani italiani a più grande diffusione nazionale pubblicano negli stessi giorni uno stralcio di un intervento pronunciato da don Franco insieme all’abate domenicano Giovanni Franzoni “…Ingenui idealisti? No, solo realisti visionari. Le mura legalistiche di Gerico crolleranno sotto il peso delle rose. E’ la legge della vita e dello spirito”.
Nel 2005 in una lettera in risposta a mons. Domenico Padovano che in un’intervista l’accusava di sostenere “posizioni teologiche che non stanno né in cielo né in terra” vi è forse l’esplicitazione più chiara sul celibato “…E’ follia, per mons. Padovano, che io sostenga, fra l’altro, il celibato libero dei preti, il sacerdozio delle donne. Sono folli tutti i teologi del dissenso. Soprattutto è folle quella chiesa, che, coniugando fede e laicità, spirito e storia, avanza, monta e diventa inesorabilmente maggioranza. Sono folle perché sostengo che l’eucaristia va celebrata nelle case, sulla scia della pasqua ebraica, che vede protagonista il pater familias. Il cristianesimo del futuro prossimo venturo è di carattere domestico, non templare: postula la presidenza eucaristica del pater e della mater familias…A questo punto mons. Padovano non mi accusi “ingenuamente” di eliminare l’istituzione dei presbiteri. In prospettiva storico-epocale il cristianesimo vedrà fiorire nel suo seno il protagonismo inter-familiare: la chiesa sarà chiesa di chiese, cioè chiesa di famiglie. Ai presbiteri, mobili e itineranti, spetta il ministero della direzione e del coordinamento, soprattutto l’illuminazione teologica e l’animazione spirituale attraverso la Parola, riservandosi la presidenza eucaristica a occasioni solenni”.
Don Franco aveva chiara la fattibilità dell’eucarestia domestica. Nel 2007 spiega concretamente come si dovrà procedere:
1. Le parole della consacrazione eucaristica (“Prendete e mangiate…”, “Prendete e bevete…”) vanno pronunciate insieme dal prete e dai fedeli.
2. Se manca il prete, la comunità dei fedeli può scegliere una o più persone, fra i suoi membri, per consacrare il pane e il vino e guidare la celebrazione.
3. Queste guide, scelte dalla comunità, possono essere uomini o donne, sposati o single, eterosessuali o omosessuali.
4. Il vescovo conferma la scelta della comunità e impone le mani sui prescelti.
Don Franco, rispondendo alla sua chiamata, per cui ritenne utile e funzionale autoridursi allo stato laicale dopo un intenso confronto con il cardinale Carlo Maria Martini, non riusciva a smettere di parlare e di riferire ciò che sentiva e vedeva. E’ stato una sentinella con una missione chiara da portare avanti. Ha suonato il corno perché la Chiesa cammini seriamente e radicalmente nella strada tracciata dal Concilio Vaticano II sviluppando aperture alla società e all’uomo contemporaneo. Questo nella consapevolezza che l’umanità e il pianeta volgono alla fine per cui ci si deve disporre al Ritorno di Gesù.
Ha fatto solo questo e lo ha fatto sino alle estreme conseguenze scegliendo di abbandonarsi nelle braccia di Dio Padre nel maggio 2011 dopo 286 giorni di digiuno e avendo come unico nutrimento il pane e il vino eucaristici. Nel suo ministero profetico soni stato centrali un amore sconfinato per Cristo e la sua Chiesa. Per molti è stato un testimone scomodo. Per noi un uomo che in perfetta letizia e solitudine, vedeva brillare la Chiesa del futuro sotto lo sguardo dolce e misericordioso di un Papa, paterno e materno, che si sarebbe affacciato alla finestra in maniche di camicia. Non dai palazzi vaticani ma da una semplice casa di Gerusalemme.