Proteggere la vita deve essere l’orizzonte che ispiri, animi e orienti la nostra consacrazione. La vita è un dono, pieno di possibilità, però anche abitato dalla fragilità e la vulnerabilità, per questo è necessario prendersene cura con attenzione.
La cura sorge quando l’esistenza di qualcuno assume importanza. È quindi quando noi ci dedichiamo a lui, quando partecipiamo al suo destino, alle sue ricerche, ci interessiamo alle sue sofferenze e gioiamo dei suoi risultati, in definitiva, della sua vita. Si tratta di compassione.
E la compassione, che implica un modo di relazionarsi, consiste fondamentalmente nel percepire come propria la sofferenza altrui, ovvero, consiste nella capacità di interiorizzare il patimento di un altro essere umano e di viverlo come se si trattasse di una esperienza personale. La compassione per qualcuno è un’abitudine del cuore. La compassione suppone un compromesso solidale.
La compassione ci conduce ad abbracciare la vulnerabilità propria e quella altrui. Ci porta ad aprire gli occhi per percepire la situazione di sofferenza in cui vivono gli altri esseri umani. Compatirsi con qualcuno non significa sostituirsi o decidere por lui/lei. Vuol dire mettersi nei suoi panni, senza rubargli la sua identità, senza invadere il suo territorio. La fiducia è fondamentale in ogni esercizio di cura. Confidare in qualcuno è credere in lui/lei, vuol dire mettersi nelle sue mani ed essere a sua disposizione.
Nella logica della cura, la cosa più importante sarà prendersi cura del DONO e della RELAZIONE: c’è un racconto di Eduardo Galeano, lo scrittore Uruguayano, che mi piace molto e mi pare che esprima con bellezza ciò che si intende quando parliamo di sinodalità:
Un uomo della città di Negua, sulla costa della Colombia, riuscì a salire in alto nel cielo.
Al ritorno, raccontò. Disse che aveva contemplato, da lassù, la vita umana. E disse che siamo un mare di fuocherelli.
- Il mondo è questo – rivelò -. Un sacco de gente, un mare di fuocherelli.
Ciascuno risplende di luce propria tra tutti gli altri. Non ci sono due fuochi uguali. Ci sono grandi fuochi e piccoli fuochi e fuochi di tutti i colori. Ci sono persone con un fuoco sereno, che non si accorgono nemmeno del vento, e persone con un fuoco pazzo, che riempiono l'aria di scintille. Certi fuochi, i fuochi sciocchi, non si accendono né bruciano; ma gli altri bruciano la vita così avidamente che non puoi guardarli senza battere ciglio, e chi gli si avvicina si accende.
La chiave per camminare sinodalmente è sommare fuocherelli, affinché arda qualcosa di nuovo, che si curi e rinforzi ciò che è più genuino.
La sinodalità presuppone che esercitiamo la pedagogia della cura. La certezza che ci accompagna nella CLAR è che tutta la relazione detiene il suo fondamento nell’amore e si arricchisce nel vincolo; è lí dove si accresce l’allegria e si aprono canali validi per la comunicazione, l’interscambio e la costruzione collettiva.
José Cristo rey García Paredes, nella rilettura che fa della Vita Consacrata, esprime:
La Vita Consacrata non mira a isolarsi dalle altre forme di vita cristiana: è chiamata a relazionarsi con esse e a far parte del “noi ecclesiale”, del corpo di Cristo che è la Chiesa. Quindi il bene di un componente contribuisce alla ricchezza e al benessere di tutto il Corpo.
Tutti nella Chiesa partecipano di una comune dignità, tutti sono chiamati a vivere in santità e a cooperare all'edificazione del corpo di Cristo; ma lo Spirito concede doni diversi. Così la Chiesa è comunione organica di diverse vocazioni, carismi, ministeri.
È evidente che oggi la Vita Consacrata si manifesta più fragile, più piccola, più ferita e limitata, con meno trincee e sicurezza e, quindi, è più adatta a porre il cuore su ciò che è fondamentale e affinché con umile audacia possa nello Spirito di Dio, capace di far nuove tutte le cose.
Papa Francesco, consacrato per vocazione e convinzione, sa bene che il nostro momento è fecondo e che, in questa lunga notte, solo la centralità in Gesù Cristo restituirà alla Vita Religiosa la sua identità mistica, profetica e missionaria.
Perdiamo vitalità quando ci fondiamo placidamente nell'istituzionale e dimentichiamo l’essenza, ci omologhiamo in modelli e forme che ci abbattono.
La fecondità arriva alla Chiesa, quando è pronta all'incontro, quando accoglie la differenza e permette lo sviluppo dei doni e dei carismi nella diversità e nella complementarietà. Raggiungiamo la vitalità quando trascendiamo l'idolatria dell'individualismo e ci disponiamo all'arte del comune, consentendo l'ascolto che converte, la parola che dà energia, l'impegno che apre nuove strade.
Una sfumatura specifica dell'esistenza umana e anche della nostra consacrazione è l'esperienza comunitaria. Nel carisma, che a ciascuno di noi è stato concesso, c'è una tendenza verso ciò che si costruisce con gli altri, in complementarità e corresponsabilità e che richiede apertura alla diversità, capacità di unire ritmi, di unire linguaggi, culture, sensibilità .e visioni. Suppone un nuovo sguardo contemplativo che ci permetta di scoprire il bene, la verità e la bellezza che abitano ogni essere umano.
In un mondo di polarizzazioni e individualismi, la comunione è la più grande testimonianza che possiamo dare ai nostri concittadini. L'utopia della fraternità deve essere per noi un orizzonte di senso e questo richiede una dose illimitata di tenerezza. Solo l'esercizio quotidiano della tenerezza ci renderà più umani e rifletterà più nitidezza il volto di Dio in mezzo a noi.
Nulla che ci chiuda e ci salvaguardi è evangelico. Ciò che è proprio del cristiano è il cammino, l'apertura, il dono dell'altro, del radicalmente Altro.
Siamo chiamati all'unità: Che tutti siano Uno. Come te, Padre, in me e io in te, siano anche loro una cosa sola in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato.
L'unità è un attributo che configura l'identità, che conserva l'essenza, che assicura l'armonia, che favorisce il superamento della prova del tempo. Dove c'è unità c'è armonia, comunione di valori e criteri. L'unità non esclude la differenza, e ha come armonia inalienabile che risulta dall'incontro, dalla comunicazione e dal legame. Esige la relazione e il faccia a faccia della gratuità.
Si costruisce, e in essa c'è spazio per la vulnerabilità, la fragilità e il limite, suppone l'esercizio permanente della riconciliazione e del perdono e richiede disarmo e apprendimento. Non è possibile attuarla dove c'è orgoglio, spirali stagnanti di potere, tanto meno dove non c'è flessibilità e apertura allo Spirito.
Questo pellegrinaggio, con altri, nella Chiesa, siamo chiamati a farlo anche noi, intercongregazionalmente. In un dialogo carismatico che permetta di aggiungere altre sensibilità alla ricchezza dell'intuizione di ciascun fondatore, con la consapevolezza che ogni carisma è un dono per la Chiesa e un dono della Chiesa per tutti.
La testimonianza dell'amicizia tra religiosi di diverse Congregazioni, gli sforzi condivisi per realizzare progetti comuni, la ricerca instancabile di risposte alle sfide del momento storico, sono già la prova che Dio è in mezzo a noi per farci uno. L'orizzonte è camminare come fratelli, nella gratuità, accogliendo le nostre differenze, promuovendo il meglio di ciascuno, costruendo un progetto comune, cantando la melodia della fraternità e della sorellanza.
La Teologia della Vita Consacrata ha davanti a sé la sfida di cercare alla fonte, all'origine dei carismi fondanti, per svelare il potenziale di originalità e vitalità che li abita e che li rende attuali e necessari in ogni momento della storia. Il carisma, che ci è stato donato gratuitamente e in abbondanza, ci impegna a camminare con coerenza e autenticità, a vivere nella Verità che libera, a pronunciare parole che stimolano e incoraggiano, a stare insieme a coloro che cercano la giustizia e la pace, a comunicare con coloro che credono e a condividere con coloro che stentano a credere. Il carisma che ci dà identità raggiunge la sua pienezza quando incontra altri carismi e insieme mostrano ciò che è più tipico e originale del Regno: la mensa comune, nella quale c'è posto per tutti, quella che ci fa Chiesa, Popolo di Dio.
Così la mette papa Francesco, invitandoci ad ampliare le frontiere, ad andare oltre:
Nessuno costruisce il futuro isolandosi, neppure solo con le sue proprie forze, bensì riconoscendosi nella verità di una comunione che sempre si apre all’incontro, al dialogo, all’ascolto, al mutuo aiuto e ci preserva dalla malattia dell’ autoreferenzialità.
La vita consacrata è chiamata a ricercare una sincera sinergia tra tutte le vocazioni nella Chiesa, a cominciare dai sacerdoti e dai laici, nonché a coltivare la spiritualità di comunione, anzitutto al suo interno e, inoltre, nella stessa comunità ecclesiale, e anche al di fuori dei suoi confini.
Il Papa invita inoltre i Vescovi a riconoscere nei vari carismi doni che arricchiscono la Chiesa e a porsi davanti ai consacrati con uno sguardo capace di valorizzare e ringraziare il dono che la loro persona e il loro carisma portano a tutta la Chiesa e ai processi di evangelizzazione:
Noi vescovi dobbiamo capire che le persone consacrate non sono manodopera, ma piuttosto sono carismi che arricchiscono la Chiesa. Le diocesi hanno bisogno di questi carismi. L'inserimento diocesano delle comunità religiose è importante, così come il riconoscimento e il rispetto dei carismi da parte del vescovo. In generale, i conflitti sorgono quando manca il dialogo (82 A.G. 2013)
La certezza che, come Popolo di Dio, siamo chiamati a percorrere strade nuove, pone noi credenti nel luogo dell'ascolto, l'unico dal quale possiamo soppesare, comprendere e assumere le sfide sociali, culturali ed ecologiche che questo momento storico pone alla Chiesa e che la porteranno a sviluppare un atteggiamento dialogico, scommettendo su nuove relazioni e partendo con gli altri dall'esperienza che solo il dialogo fa crescere. Dalla nostra identità di soggetti ecclesiali e consapevoli del fatto che, attraverso il battesimo e il sacerdozio comune, abbiamo la stessa dignità, ci sentiamo chiamati a contribuire alla configurazione di una Chiesa più sinodale.
Cominciare a camminare con gli altri in questo oggi della Chiesa e della Vita Consacrata ci porterà a costruire insieme e possiamo farlo a partire dalle tre P di comunione:
Appartenenza: Sapere che siamo legati a qualcosa o qualcuno che ci trascende. L'esperienza di appartenenza ci da identità, è una questione di amore, di legame attorno al quale si costruisce il progetto di vita. La consapevolezza di farne parte ci rende vitalmente responsabili, per amore diventiamo custodi del dono, custodi del tesoro, instancabili seminatori di tutti i semi che anticipano l'abbondanza per o verso quello a cui siamo vitalmente radicati. È una questione di radici.
Partecipazione: Il comune ci colloca nel luogo della partecipazione, della costruzione collettiva. È la dinamica in cui la voce di ognuno risuona in modo diverso e quindi complementare. La passività dello spettatore non ha posto in questa logica, né il giudizio meschino di chi si limita a criticare. Partecipare è donarsi, è riconoscersi come architetto e costruttore, è prepararsi ai processi che richiedono dedizione e perseveranza, per realizzare ciò che è libertà e gratuità del Regno.
Pazienza: Senza questo dono, niente che duri è possibile. Tutto ciò che è veramente importante richiede tempo. Far accadere il comune implica credere nel valore dei processi e questi implicano tempo e accompagnamento. La pazienza è la disposizione affinché il comune irrompa e si deve uscire da schemi che, travestiti da un abito di efficienza, limitano la saggezza, isolano la bellezza, escludono e non danno luogo alla sana e necessaria differenza.
Dio non smette di creare e ricreare, lo fa nella notte e in quella convinzione la nostra speranza deve fare da trincea, per questo Papa Francesco insiste:
Non dobbiamo aver paura di abbandonare i "vecchi otri". Cioè, rinnovare i costumi e le strutture che, nella vita della Chiesa e, quindi, anche nella vita consacrata, riconosciamo non più rispondenti a ciò che Dio ci chiede oggi per estendere il suo regno nel mondo: quelle strutture che ci danno una falsa protezione e che condizionano il dinamismo della carità; usanze che ci separano dal gregge a cui siamo inviati e ci impediscono di ascoltare il grido di chi aspetta la Buona Novella di Gesù Cristo .
Deve rinascere la speranza e con essa, si faranno nuove le risposte, tali che ci permettano di ripensarci al ritmo dello Spirito e della grazia. E secondo il Papa:
La speranza di cui parliamo non si basa sui numeri o sulle opere, ma su quella in cui abbiamo riposto la nostra fiducia (cfr 2Tm 1,12) e per la quale «nulla è impossibile» (Lc 1,37). Questa è la speranza che non delude e che permetterà alla vita consacrata di continuare a scrivere in futuro una grande storia, alla quale dobbiamo continuare a guardare, consapevoli che è verso di lui che lo Spirito Santo ci porta a continuare a fare grandi cose con noi.
(Testigos de la Alegría C.A. 2014)
È un’altra logica, quella dello Spirito, quella che ci porta sempre oltre rispetto a ciò di cui siamo capaci di calcolare o supporre. È quella che ci situa nel luogo del piccolo e ci fa conferire valore al gratuito, celebrare l'amicizia e prendersi cura della comunità. Quella che ci getta per strade sconosciute e ci impone di osare verso gli insospettabili del Regno, della mano di Dio. È la logica di chi si fida.
Lo stile sinodale è, in questo momento storico, il nuovo modo di essere e di fare della Chiesa. Camminare insieme è la condizione per, in ascolto della realtà, rispondere in modo evangelico alle sfide di questo momento storico.
Questo, come segnala Carlos Martínez Oliveiras, nel suo libro Synodus, deriva dalla certezza che la Chiesa deve articolarsi al suo interno in modo da facilitare la responsabilità di tutti per rendersi presente in modo nuovo nella storia, nel mondo, nella società. La sinodalità sarà precisamente una via necessaria o, almeno, possibile per combinare il diverso, armonizzare il differente ed equilibrare il contrario. Ancorati nella certezza che l'ecclesiologia della comunione ci appare come elemento costitutivo e necessario nella Chiesa.
L'oggi della Chiesa e della società ci impone di esercitarci nella profezia della comunità, di camminare con la consapevolezza di essere popolo di Dio e con audacia di posizionarci umilmente, smascherando i grovigli di potere che disumanizzano. Si tratta di tornare all'originale del Vangelo e di optare per l'amore che nobilita. Impegnarsi nell'utopia del fraterno è la testimonianza più autentica che possiamo dare in questo oggi di umanità.
In questo frangente la missione delle donne nella Chiesa diventa più chiara. Chiamate ad essere, all'interno del tessuto ecclesiale, sacramento di comunione, ponte che favorisce l'incontro, grembo in cui si feconda un nuovo modo di relazionarsi e si privilegia l'arte dell'accompagnamento. Lo spirito sinodale nel quale siamo impegnate, suppone la partecipazione delle donne negli spazi e nelle strutture della Chiesa, nel discernimento e nel processo decisionale.
A noi, nella Vita Religiosa, corrisponde l’essere guardiane della vita, e questo supporrá che noi ci rendiamo esperte nell’arte della cura. Artigiane della cura.
Che ognuna di noi, che ognuno di noi, possa sommare il suo fuoco, per rendere possibile la chiamata della comunione, che illumini e contagi gli altri con ragioni per credere e sperare.
Traduzione a cura di Silvia Faletto