Domenico Sereno Regis fu un uomo “politico”, nel senso originario, letterale, di “cittadino” (polis-città) nelle moltissime declinazioni che egli seppe dare a questo termine senza mai associarlo al potere: partigiano nonviolento, attivo dirigente nell'Azione Cattolica e nella Gioc, sostenitore del diritto all'obiezione di coscienza, presidente del MIR (Movimento Internazionale per la Riconciliazione), tessitore di contatti internazionali per la libertà dei popoli e la pace, promotore a Torino della democrazia partecipativa mediante i comitati spontanei di quartiere.

Un “politico senza potere” è chi ha cura della cosa pubblica tanto quanto ha cura delle cose private. L’idea corrente è che l’attività politica si identifichi con il potere – almeno quello di decidere – e che quindi in democrazia la politica debba cercare il consenso della maggioranza per poter governare. Non è necessariamente così, anzi l’identificazione fra politica e potere corrompe e abbassa l’azione politica con il rischio di farle seguire le tendenze peggiori (per il consenso). Anche un potere tirannico è a suo modo basato su un consenso anche se di tipo passivo: un consenso dovuto all'assenza di speranza nel cambiamento, perché anche un tiranno se viene disobbedito non ha più potere.
Il consenso – la modalità, il tipo di consenso – dà quindi qualità alla democrazia: rassegnato o stimolante, privatistico o solidaristico, passivo o attivo. Da ciò si evince il modo in cui le istituzioni accettano di essere – o rinunciano di essere – davvero gli assi portanti della democrazia, ovvero a seconda del tipo di consenso di cui godono e anche del modo in cui lo cercano: attivo o passivo, appunto, rassegnato o stimolante – pensiamo a quanti ancora oggi non si recano più al voto.
Educare il consenso o il dissenso, pertanto, sollecitarlo, animarlo di idee, cultura, obiettivi e renderlo attivo, libero, critico capace di resistenza e di – qui c’è una parola chiave – disobbedienza civile, che diventa una delle principali modalità di vivere la politica e dare sostanza alla democrazia.
In questo senso Domenico Sereno Regis è stato un autentico uomo politico.
È stato anche un uomo di grande fervore religioso. Era uno spirito libero, un cattolico di fede robusta e sobria, di quella tradizione religiosa torinese fatta di azione più che di proclamazioni. Traduceva la sua fede nel servizio per la pace, per la dignità di tutti, degli ultimi, nello spirito della “onnicrazia” di Aldo Capitini.
La sua formazione, in una chiesa tutta serrata in se stessa, nella presunzione di autosufficienza ma piena di complessi verso il mondo moderno, ha dato come frutto in lui un uomo libero, aperto e – seguendo l’insegnamento evangelico di Primo Mazzolari – immerso nella collaborazione con i portatori di giustizia. Fu un cristiano senza religione, senza identificazioni rituali, sociologiche ma con grandi doti di servizio, speranza e fede “profonda come una sorgente”, un uomo degno contemporaneamente dell’appellativo civile così come di quello religioso. Da entrambi questi ambiti, civile e religioso, traeva forza come lottatore contro ogni forma di violenza, quella plateale come quella strutturale, quella illegale come quella considerata legale, una forza che ha fornito esempio ed educazione a molti.
Perseguiva in concreto concetti come la semplicità volontaria (Gandhi traduceva la povertà fondata spiritualmente nel “vivere semplicemente perché tutti possano semplicemente vivere”), la mitezza, la costruzione della pace, la purezza del cuore, la fame e sete di giustizia. Fra i suoi contatti personali e ideali vanno annoverati il già citato Primo Mazzolari (e il gruppo torinese a lui collegato), Arturo Paoli, don Lorenzo Milani, don Tonino Bello, Carlo Carlevaris e i preti operai.
Il mondo vive oggi grandi rischi e qualche opportunità, di fronte a cui ciascuno è impegnato a decidere la qualità del proprio stare con gli altri; qualche ispirazione non da poco può sicuramente venire anche dalla sua opera e dalla sua figura.
Una ricca biografia di Sereno Regis, a opera di Chiara Bassis, è stata pubblicata nel 2012 dall’editore Beppe Grande.


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