Sulla morte di Don Rutilio Sanchez, quelle volte che ho avuto l’opportunità di parlarne a coloro che sono gli attuali interlocutori del progetto di solidarietà con il El Salvador, condotto prima come gruppo Pax Christi Taranto e ora di Cecina, ho sempre affermato che la sua morte è da considerarsi come effetto del divario Nord-Sud.

Ci sono privilegiati che vivono nel nord del mondo e, per usare un eufemismo, degli sfortunati che vivono nel sud del mondo. Mi riferisco ai vaccini per il covid: ci sono privilegiati da considerarsi persone di serie A ai quali addirittura si somministrano tre dosi e persone che hanno avuto la sfortuna di essere nate laddove il destino ha deciso e per le quali non solo non hanno avuto nemmeno la prima dose e quelle poche fortunate o “privilegiate” come è stato il caso di Don Rutilio hanno avuto un vaccino con carica immunologica la 50% e pertanto da considerarsi di serie B, perché i rispettivi governi non possono permettersi acquisti di vaccini più efficaci.
Nella sua vita Don Rutilio ha sempre combattuto contro la morte, se si pensasse a tutte le volte che ha rischiato la vita durante la dittatura militare, sfuggendo ad attentati e ad accerchiamenti, perché persona scomoda e pericolosa, in quanto la sua azione pastorale, similmente a quella del suo modello San Romero, era improntata a far prendere coscienza alle comunità che seguiva, sulla condizione di oppressione a cui erano costrette. Convinto com’era che la tutela della dignità umana avesse costituito un valore ineludibile del processo di liberazione evangelica. Questa forte convinzione sicuramente gli derivava dalla considerazione che un cristiano, per dirla un po' come Don Tonino Bello, “deve essere sempre un cero pasquale piuttosto che un lucignolo fumigante”.
Ebbi modo di conoscere Don Rutilio alla fine degli anni Novanta, negli incontri dei comitati “O. Romero” europei, in uno di quei periodici appuntamenti per fare il punto sui livelli di solidarietà raggiunti nei nostri contesti occidentali diversi da quelli dell’America Latina e di El Salvador in particolare. Mi colpì il suo senso critico, la sua capacità di analisi, la sua corporeità, tipicamente latinoamericana di porsi in relazione con gli altri. Noi occidentali abbiamo molto da imparare dai latinoamericani, in quanto ad espressività e a convivialità, tenuto conto che avrebbero avuto tutte le ragioni per vivere in modo “ingessato” sia le relazioni che i loro stesso essere, non fosse altro per il fatto che, tanto per fare riferimento a Don Rutilio, ha vissuto momenti molto tragici della sua vita. Eppure gioia ed entusiasmo per la vita, hanno sempre rappresentato costanti della sua personalità. E questo la dice lunga sul modo in cui noi occidentali viviamo la nostra vita, oserei dire con molta testa e poco cuore, per quanto ciò possa sembrare uno stereotipo. Nell'auspicabile contaminazione culturale sarebbe bello vivere intellettualmente gioiosa, in modo da contemperare queste due polarità dell’essere umano.
L’altro aspetto su cui vorrei soffermare la mia riflessione, a proposito di contaminazione, riguarda la concezione della nonviolenza nei due contesti culturali e politici diversi dell’America Latina e Centrale e dell’Europa e in particolare, di El Salvador e Italia. In anni di militanza in Pax Christi cerco di vivere la nonviolenza secondo il Vangelo, contemperando da una parte il precetto “tu non uccidere”, dall’altra quella di declinare il quinto comandamento nei contesti storici, sociali e politici entro i quali la nonviolenza va praticata, per essere più efficace. E’ proprio quella ricerca di efficacia che ci dovrebbe allontanare dal rischio del fondamentalismo derivante dall’osservanza “sine-glossa” del Vangelo. Secondo me ciò che Don Rutilio ha voluto farci comprendere con la sua vita, riguarda proprio il fatto che l’applicazione di una nonviolenza decontestualizzata, la relegherebbe ai ranghi di un’angelica esortazione buona per persone deboli e remissive, invece che essere strumento di liberazione per quanti, singoli o popoli, vivono situazioni di oppressione. Queste mie affermazioni, desunte dalla mia lettura della sua travagliata vita, confermano quanto già con Pax Christi avevo scoperto.

Sullo stesso argomento, si suggerisce la lettura dei seguenti articoli: 

P. Tilo Sánchez a servizio del popolo, di Alberto Vitali 

Vivrò nel mio popolo, di Mariella Tapella

Dare la vita per il proprio popolo, di Anselmo Palini

 


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