Nel 1967, Aldo Capitini nel suo libro “Le tecniche della nonviolenza” raccontava una storia tratta dal libro: “Per l’abolizione della guerra” di Giovanni Pioli: “Nel 1221, vivente ancora San Francesco, nella Piazza dell’Arengo di Rimini i terziari francescani (che erano, dunque, laici) risposero all'invito del podestà di prestare giuramento di fedeltà, che implicava l’impegno di impugnare le armi al comando degli organi dello Stato, in questo senso: ‘Noi non possiamo combattere né portare le armi, sia di offesa che di difesa, perché noi vogliamo la pace con gli uomini e con Dio, conquistandola con opere di bontà, trasformando il male che è nel mondo in bene’”.
Pioli citava a sua volta un articolo di Andrea Lazzarini dal titolo “Gli obiettori di coscienza del 1221”, pubblicato in prima pagina nell’inserto dell’Osservatore Romano del’11 settembre 1949.
Era stato scritto pochi giorni dopo la conclusione del clamoroso processo a Pietro Pinna, conclusosi il 30 agosto con la sua condanna a 10 mesi di reclusione. Come noto, Pinna, primo obiettore di coscienza per motivi politici del dopoguerra, in seguito divenne uno dei più stretti collaboratori di Capitini, con cui organizzò la prima Marcia per la Pace Perugia-Assisi nel 1961 e le tre successive. Poi divenne segretario nazionale del Movimento Nonviolento e direttore responsabile di Azione Nonviolenta.
Forse l’articolista mirava a sminuire l’importanza e la novità del gesto di Pinna, ma tuttavia riportava una storia vera, avvenuta molti secoli prima, poco o nulla citata nei libri che trattano dell’obiezione di coscienza, anche di quelli più specializzati in ambito religioso. La si apprende leggendo la Bolla di papa Onorio III, la Significatum Est del 16 dicembre 1221, il documento ufficiale pontificio più antico a occuparsi dei Francescani Secolari. Con essa il Papa, tramite il vescovo di Rimini, vivente ancora san Francesco, prendeva sotto la propria protezione i Fratelli della Penitenza del Terz’Ordine Francescano che, a Faenza e dintorni, rifiutavano di giurare di seguire in armi i Podestà. L’articolista dell’Osservatore Romano, nel suo articolo, ambienta i fatti principali a Rimini, ma, nel testo pontificio, Rimini è ricordata solo in quanto sede del Vescovo destinatario dell’incarico. Mentre nel corpo della lettera si citano i Penitenti di Faenza e luoghi vicini, la si trova sempre in Romagna, ma sessanta km nell’entroterra, a metà strada prima di Bologna. In ogni caso, al di là dei campanilismi, la cosa essenziale sta nella dimostrazione dell’esistenza, all’epoca, di un fenomeno numericamente importante e diffuso nel territorio tale da scomodare il Papa. Siamo in un periodo caratterizzato, in Romagna e non solo, da guerre continue tra i Comuni e tra Papa e Impero.
Inoltre, compare il fenomeno di gruppi pauperistici, alcuni ereticali e apertamente critici verso la corruzione e la depravazione del clero e altri che si mantengono nell’alveo del cattolicesimo. Tra questi ultimi si assiste al rapido e dilagante diffondersi del francescanesimo. San Francesco e il suo modo di mettere in pratica gli insegnamenti evangelici affascinano e entusiasmano uomini e donne, religiosi e laici. L’espandersi del movimento genera, ben presto, la necessità di redigere delle Regole per disciplinare l’enorme quantità di seguaci.
Così, nel maggio 1221, al Terz’ordine francescano formato da laici, sposati e non, viene consegnata una regola, il Memoriale Propositi, la cui versione più antica, tra le altre cose, imponeva loro di non giurare e di non portare, né usare armi. Chiaro il riferimento agli insegnamenti evangelici di “porgere l’altra guancia”, “amare i propri nemici”, “non giurare affatto”. Appare evidente che a questo punto, l’obbedienza a questa Regola costringeva i Terziari Francescani, dovunque essi si trovassero, a non aderire quelle richieste. Ecco dunque nascere il conflitto con le autorità che pretendono obbedienza. La questione viene posta al Papa che la risolve appoggiando i Fratelli della Penitenza. Il motivo per cui la Bolla sia stata inviata al vescovo di Rimini e non a quello di Faenza può essere dovuto all’intenzione di non metterlo in difficoltà nei rapporti cittadini con il Podestà locale o comunque per conferirgli un maggiore peso. Fatto sta che, è probabilmente anche in seguito a questa esenzione dal servizio militare, tra le poche concesse a dei laici, che in varie città ad essi fu affidata l’assistenza e la manutenzione pubblica: una specie di servizio civile. Forse uno di questi, era il beato Nevolone, francescano secolare, portato, a furor di popolo, immediatamente dopo la morte, avvenuta nel 1280 ormai ottantenne, nel Duomo di Faenza e tutt’ora lì venerato e ricordato come pacificatore tra fazioni.
Poi, nel 1289, morto da tempo San Francesco, quella Regola fu modificata da un altro Papa con la Supra Montem e proprio quei divieti molto alleggeriti.
Nella foto: Memoriale propositi, codice di Firenze, Fondo Landau 58, sala mss, Biblioteca Nazionale di Firenze, (proveniente da Venezia)- estratto dalla carta 184r. Si tratta del codice più antico e vicino al tempo della sua promulgazione (20 maggio 1221) da parte di S. Francesco e del card. Ugolino.