In questa prospettiva, ricordo che è necessaria una riforma «sia dell’Organizzazione delle Nazioni Unite che dell’architettura economica e finanziaria internazionale, affinché si possa dare reale concretezza al concetto di famiglia di Nazioni».
Senza dubbio ciò presuppone limiti giuridici precisi, per evitare che si tratti di un’autorità cooptata solo da alcuni Paesi e, nello stesso tempo, impedire imposizioni culturali o la riduzione delle libertà essenziali delle nazioni più deboli a causa di differenze ideologiche. Infatti, «quella internazionale è una comunità giuridica fondata sulla sovranità di ogni Stato membro, senza vincoli di subordinazione che ne neghino o ne limitino l’indipendenza». Ma «il compito delle Nazioni Unite, a partire dai postulati del Preambolo e dei primi articoli della sua Carta costituzionale, può essere visto come lo sviluppo e la promozione della sovranità del diritto, sapendo che la giustizia è requisito indispensabile per realizzare l’ideale della fraternità universale. […] Bisogna assicurare il dominio incontrastato del diritto e l’infaticabile ricorso al negoziato, ai buoni uffici e all’arbitrato, come proposto dalla Carta delle Nazioni Unite, vera norma giuridica fondamentale». Occorre evitare che questa Organizzazione sia delegittimata, perché i suoi problemi e le sue carenze possono essere affrontati e risolti congiuntamente (“Fratelli tutti” n.173).
Questo paragrafo dell’enciclica scopre una radice dell’attuale dissesto dell’ordine mondiale ed il prezzo che dobbiamo pagare per aver ridotto all’irrilevanza e alla paralisi l’Onu, che rappresenta(va) il lascito migliore della tragedia immane del secondo conflitto mondiale.
Ciascuno di noi può ben comprendere che aver dissipato l’eredità politica più promettente, scritta nel documento fondativo di quell’Organizzazione ci costringe a ricominciare daccapo, passando di nuovo attraverso conflitti dirompenti e travolgenti che conseguono all’aver delegittimato il Diritto Internazionale, prima di poter rifondare una qualche forma di nuovo ordine mondiale.
Non abbiamo saputo chiudere il secondo Dopoguerra, superando l’assetto che doveva essere provvisorio e che vede invece sedere permanentemente nel Consiglio di Sicurezza i vincitori della Guerra mondiale, i quali possono avvalersi di un diritto di veto che paralizza l’operatività e l’efficacia delle sue risoluzioni. Ciascuno di loro mantiene le proprie ambizioni imperialistiche, sopite, ma non spente: Stati Uniti, Russia, Francia, Inghilterra, Cina, sono nazioni protese a riaffermare posizioni dominanti nel contesto internazionale, dissestato dalla competizione crescente sul piano economico e culturale e alimentata da un incessante corsa al riarmo.
Come si può vivere in pace in un mondo dove la militarizzazione avanza incessantemente ed è riuscita a spodestare la politica consegnando parti cospicue di sovranità all’apparato militar- industriale e finanziario? Lo aveva profetizzato come rischio mortale per le democrazie lo stesso presidente Eisenhower quando chiuse il suo mandato con il monito rivolto al suo successore JF Kennedy agli inizi degli anni Sessanta del secolo scorso. È lungo e penoso l’elenco delle violazioni del pur precario ordine mondiale, tanto faticosamente costruito nel 1945, rimaste non sanzionate. Si scrisse nelle Carte fondative che non sarebbero state ammesse aggressioni militari a Stati sovrani e nessuna conquista sarebbe stata legittimata, ma non fu così.
Si potrebbe cominciare dalla guerra in Corea, per seguire con le guerre neocoloniali provocate da Israele, divenuto la punta di lancia in area mediorientale per trafiggere le legittime aspirazioni del mondo arabo, desideroso di riappropriarsi delle proprie risorse, sottraendole al perdurante sfruttamento postcoloniale dell’Occidente. Come dimenticare la crisi di Suez del 1956 che vide gli israeliani occupare il Sinai e la zona del canale in nome e per conto di Francia ed Inghilterra? E via a seguire con colpi di stato in ogni Continente, orchestrati dall’Occidente a traino statunitense e rimasti impuniti: Iran, Vietnam, Filippine, Brasile, Congo, Grecia, Centro America.
Spesso giustificati come argine all’avanzata comunista in un lungo periodo di guerra che tanto fredda non era, caratterizzata da prime prove di guerre per procura, mai denunciate e sanzionate come tali.
Progressivamente poi si cominciò a prescindere dalle risoluzioni dell’Onu, talora inesistenti, talaltra impunemente disattese, o pretese adducendo pretestuose denunce di violazioni di diritti umani. Casi clamorosi sono stati quelli dell’ex Jugoslavia, dell’Afghanistan, dell’Iraq, della Siria, della Libia, dello Yemen: ogni volta vittime, macerie, devastazioni, profughi, cui seguono repentini abbandoni con lasciti di crisi umanitarie e arsenali lasciati a bande armate.
Alla caduta del Muro, che pose fine alla cosiddetta “guerra fredda” non si seppe fare di meglio che proclamare la “fine della storia” e l’instaurazione di una sorta di “pax romana” sotto un unico impero, mantenuto con il diritto della forza ben rappresentata dalle sette flotte che controllano tuttora i mari del mondo, vie commerciali della globalizzazione costruita su un ordine ingiusto dove vige il diritto del più forte. Niente doveva turbare il nuovo” ordine”, si disse il nuovo “secolo americano”. Neppure le legittime aspirazioni degli stessi popoli europei di costituire un’unità economica e politica sulla base di culture affini e di consolidate esperienze democratiche, potevano essere ammesse.
La Nato sopravvisse a se stessa e per trovare giustificazione si reiventò come strumento di “esportazione della democrazia” prima e poi come strumento di “guerra al terrore”, foriero di nuove aggressioni dove la repressione del terrorismo, spesso alimentato da invadenti ed evidenti soprusi proprio da chi poi si proponeva di sconfiggerlo, finiva per reprimere anche le legittime aspirazioni dei popoli all’autodeterminazione, che è un altro dei capisaldi della Carta dell’Onu. Con simili precedenti a questo punto ciascuno dei potenti si sente legittimato a coltivare piani di predominio e a giustificare, in nome della propria “sicurezza”, guerre di conquista, sapendo di riuscirne impunito.
Ed eccoci alla dolorosa cronaca quotidiana che vede la guerra alle soglie di casa nostra. D’altra parte come pensare che, a forza di esportare conflitti non ne dovessimo prima o poi ricevere gli effetti di riflusso verso di noi come una sorta di catastrofico tsunami?
A chi ama la pace e ha instancabilmente denunciato il crescente accumulo di fattori di rischio di nuovi smisurati conflitti a livello mondiale, tocca ora di subire il ricatto morale di chi ci domanda dov’è finita la nonviolenza e di essere irrisi per averla praticata e predicata.
Lo stesso papa Francesco è oggi messo in stato d’accusa per aver detto la verità su questo ordine ingiusto, obbediente alle ferree leggi di un’“economia che uccide”. Sono tempi durissimi, ma a noi non resta altro che ripetere con il profeta: “Per amore del mio popolo non tacerò”. Non possiamo oggi tradire noi stessi, dopo essere stati traditi da altri. Sappiamo infatti che la verità, precede la giustizia e questa sola porta alla pace.
Vale dunque l’appello che il nostro Presidente mons. Ricchiuti ha gridato anche a nome nostro, col dire “tacciano le armi “e si torni al dialogo, si rifondi il diritto delle Nazioni Unite, si completi anzi la riforma di quel diritto per tornare a camminare insieme da “fratelli tutti” sulla via della pace.