PEREGRINO ULTREYA Y SUSEYA!! BUEN CAMINO DE VIDA ….
Turista è chi passa senza carico né direzione. Camminatore chi ha preso lo zaino e marcia.
Pellegrino chi, oltre a cercare, sa inginocchiarsi quando è necessario!
(San Riccardo)

Castiglione Olona, 9 Luglio 2017
6° Anniversario di Indipendenza del Sud Sudan

Carissima amica e carissimo amico! Pace a te!

Come stai? Ti spero bene e comunque sempre in cammino per le strade della vita anche se a volte si sentono i pesi. Ma anche questo è salutare se c’è lo Spirito giusto!!

IN QUESTI ULTIMI MESI…
Ti riscrivo dopo diversi mesi dalla mia ultima lettera agli amici dal Sud Sudan alla fine dell’anno scorso 2016 dove salutavo i miei confratelli e la gente della missione della più giovane nazione al mondo ancora in guerra per rientrare in Italia. Sapevo che dopo aver vissuto la mia missione anche come superiore provinciale dei Comboniani mi avrebbero chiesto una rotazione di qualche anno in un altro nuovo servizio/apostolato/missione e anche eventualmente in altra provincia. E questo è avvenuto. Ma ve ne parlerò più avanti nella mia lettera agli amici.
Dagli inizi dell’anno 2017 sono rimasto a casa mia con mia madre per starle vicina e riposarmi un po' dopo i tanti impegni, lotte e responsabilità difficili vissute durante gli ultimi anni della missione in Sud Sudan, specialmente negli ultimi tre anni della guerra civile ancora in atto. È stato un tempo di riposo, riflessione e contatto con la mia famiglia, amici, parrocchiani e tanta lettura. Poi dal mese di Marzo ho girato un po' l’Italia per tre settimane facendo molti incontri organizzati da amici cercando di far conoscere il dramma del Sud Sudan e delle lotte che questo popolo sta facendo nonostante i loro leader politici e militari che li hanno fatti sprofondare in una guerra fratricida e assurda. Sono stati momenti intensi e importanti di condivisione e informazione con gli amici e la gente del pubblico e di parrocchie e tanto altro che erano desiderose di conoscere e di impegnarsi perché anche loro possano contribuire ad alleviare le grandi sofferenze e morti che questo popolo crocifisso sta portando da decenni e non solo da questa guerra civile ultima. Voglio ringraziare ancora tutti gli amici che hanno organizzato e portato avanti tante iniziative per sostenere gente e progetti in Sud Sudan e incontri di sensibilizzazione su questa realtà. Shukran! Asante sana! Grazie mille! Gracias!
Poi se ricordate, agli inizi di Aprile 2017 vi avevo anche mandato una lettera e messaggio di posta elettronico dove vi salutavo fraternamente perché stavo partendo per il pellegrinaggio a piedi per Santiago di Compostela in Spagna (camino Francese). Ti informavo che avrei camminato per oltre 1000 km da St. Jean Pied de Port (non lontano da Lourdes dove sono andato per un paio di giorni) passando dai Pirenei per arrivare a Santiago verso metà Maggio. E poi proseguire sempre a piedi per il Capo di Finisterre sull’Oceano Atlantico e alla “fine del mondo”. Sono poi sceso verso Lisbona per visitare i miei confratelli in Portogallo e vissuto una stupenda settimana di confessioni ai pellegrini a Fatima per tornare poi alla fine del mese di Maggio.

1100 km per la PACE in SUD SUDAN
Ho desiderato profondamente vivere questo tempo di pellegrinaggio camminando per una causa importante e delicata: 1000 km per la Pace in Sud Sudan! Fino ad oggi c’è una dura e atroce guerra civile che ha già messo in ginocchio tutto il paese e soprattutto la gente è allo stremo per la guerra, per la fame e il colera che uccide già a migliaia e per l’ottusità politica e militare dei leaders delle varie etnie che si preoccupano più dei loro interessi che quello di dar una vita decente e civile alla propria popolazione. Ho pregato molto anche per te e tanti amici e persone vicine e lontane che portano le loro croci quotidianamente. Poi tornato da un mesetto sono rimasto ancora un po' a casa mia aspettando la nuova destinazione e ora preparandomi per questa nuova tappa della mia vita e missione. Ma di tutto questo vi parlerò nel dovuto modo più avanti nella lettera.


Se il tuo Dio è Ebreo,
la tua macchina è Giapponese,
la tua pizza è Italiana,
il tuo gas è Algerino,
il tuo caffé è Brasiliano,
le tue vacanze sono Marocchine,
le tue cifre sono Arabe,
le tue lettere sono Latine...
Come puoi dire
che il tuo vicino è straniero?

COME STA IL SUD SUDAN?
Qualche giorno fa Amnesty International che si occupa di monitorare i diritti umani in giro per il mondo, ha rilasciato un report sulle atrocità che il conflitto in Sud Sudan ha causato a milioni di persone del più giovane stato al mondo. Il 9 Luglio 2017 abbiamo celebrato il 6° anniversario della nascita dell’ultima nazione nata. Ma quasi 4 anni sono passati nella guerra civile che ha visto milioni di rifugiati all’estero, quasi la totalità nei paesi vicini, e migliaia di morti dei quali non si saprà mai il numero preciso. Fame, colera e tanti gruppi ribelli di varie etnie sono solo il frutto di continue divisioni interne al paese e nell’esercito governativo e anche dei ribelli che lottano contro il presidente Salva Kiir. Prendo spunto esattamente da questo report per informarvi e cercare di condividere con voi questo dramma di un popolo sempre più alla deriva e abbandonato da tutti, anche dalla comunità internazionale è molto confusa e che invece di intervenire con precise decisioni, tergiversa perché ha i loro interessi politici, economici e di strategie regionali e di alleanze geopolitiche.
Amnesty International ha denunciato che un nuovo fronte del conflitto del Sud Sudan ha causato atrocità, terrore e fame e costretto nell’ultimo anno centinaia di migliaia di persone ad abbandonare la fertile regione dell’ Equatoria.

Le ricercatrici di Amnesty International hanno visitato la zona nel mese di giugno 2017, documentando come soprattutto le forze governative ma anche quelle di opposizione abbiano commesso crimini di diritto internazionale, compresi crimini di guerra, contro la popolazione civile.

Queste atrocità hanno costretto alla fuga verso l’Uganda quasi un milione di persone. Ma a questo numero dobbiamo aggiungere i milioni di persone che sono già scappati negli anni precedenti verso il Sudan, Kenya e Etiopia. Dopo aver combattuto negli stati del Nord del Sud Sudan tra i Nuer, ora il conflitto si è trasferito verso sud ovest nelle regioni più ricche di acqua, terreno fertile e foreste, cioè l’Equatoria.

“L’aumento delle ostilità nella regione di Equatoria ha significato brutalità ancora più diffuse contro i civili. Uomini, donne e bambini sono stati uccisi, pugnalati a morte coi machete e bruciati vivi nelle loro abitazioni. Donne e bambine sono state rapite e sottoposte a stupri di gruppo”, ha dichiarato Donatella Rovera, Alta consulente di Amnesty International per le risposte alle crisi, appena rientrata dal Sud Sudan.

“Abitazioni, scuole, ambulatori e sedi delle organizzazioni umanitarie… tutto è stato razziato, vandalizzato e raso al suolo. Il cibo è usato come arma di guerra”, ha accusato Rovera. E continua:

“Queste atrocità sono ancora in corso. Centinaia di migliaia di persone che solo un anno fa si sentivano al riparo dal conflitto, ora sono sfollate”. Per quasi tre anni la regione dell’ Equatoria, nella parte meridionale del Sud Sudan, era stata prevalentemente risparmiata dal conflitto esploso nel 2013 tra le forze dell’Esercito popolare di liberazione del Sudan fedeli al presidente Salva Kiir e quelle legate all’allora vicepresidente Riek Machar.

Intorno alla metà del 2016 sia le forze governative che quelle di opposizione si sono dirette verso Yei, un centro strategico di 300.000 abitanti 150 chilometri a sud-ovest della capitale Juba, lungo un’importante arteria commerciale verso l’Uganda e la Repubblica Democratica del Congo.

Le forze governative, appoggiate da milizie locali tra cui la famigerata e impunita “Mathian Anyoor” (composta per lo più da giovani combattenti di etnia dinka), si sono rese responsabili di una lunga serie di violazioni dei diritti umani. Sebbene su scala minore, anche i gruppi armati di opposizione hanno compiuto gravi abusi.
Numerosi testimoni oculari dei villaggi intorno a Yei hanno raccontato ad Amnesty International come le forze governative e le milizie loro alleate abbiano ucciso numerosi civili in modo deliberato e con accanimento.

In uno di questi casi, la sera del 16 maggio i soldati hanno arrestato 11 uomini del villaggio di Kudupi, nei pressi del confine ugandese. Hanno costretto otto di loro a entrare in una capanna, ne hanno chiuso la porta, hanno appiccato il fuoco e sparato alla cieca. Secondo quattro dei sopravvissuti incontrati da Amnesty International, due dei prigionieri sono arsi vivi e altri quattro sono stati uccisi dai proiettili.

Joyce, una madre di sei figli del villaggio di Payawa, ha raccontato quanto accaduto il 18 maggio, quando suo marito e altri cinque uomini sono stati uccisi dai soldati:
“Era la quinta volta che l’esercito attaccava il villaggio. Le volte precedenti si erano presi delle cose, avevano portato via degli uomini per torturarli e delle ragazze per stuprarle, poi le avevano liberate. Lo hanno fatto anche a Susie, la nipote di mio marito, di 18 anni. Era il 18 dicembre scorso”.

Il 21 maggio 2017 nove abitanti del villaggio di Gimuni sono stati rapiti dai soldati. La polizia locale ha ritrovato i loro corpi, segnati dai colpi di machete, intorno alla metà di giugno. Com’è normale quando i soldati uccidono dei civili, nessuno è stato chiamato a risponderne.

Gli attacchi contro i villaggi da parte delle forze governative paiono spesso motivati dal desidero di rappresaglia contro le forze armate di opposizione attive nella zona. I combattenti dell’opposizione hanno a loro volta compiuto uccisioni deliberate di civili sospettati di parteggiare per il governo o per il solo fatto di essere di etnia dinka o rifugiati provenienti dai monti Nuba, ritenuti dalla parte del governo.

Con l’intensificazione dei combattimenti, il numero dei rapimenti e degli stupri di donne e bambine è cresciuto vertiginosamente.
“Il solo modo di essere al sicuro per donne e ragazze è quello di essere morte. Non c’è modo di esserlo fino a quando sei viva. È brutto da dire ma la situazione è questa…”, ha detto Mary, 23 anni, madre di cinque figli.

Nell’aprile 2017 tre soldati hanno fatto irruzione nella sua abitazione in piena notte e due di loro l’hanno stuprata. Lei si è trasferita in un’altra abitazione abbandonata ma una notte uno sconosciuto ha appiccato il fuoco, costringendo la famiglia a fuggire ancora una volta.

Le donne rischiano di essere stuprate soprattutto quando, a causa della scarsità del cibo e dei continui saccheggi, vanno a cercare qualcosa da mangiare nei campi intorno ai villaggi.

Sofia, 29 anni, ha raccontato di essere stata rapita due volte dai gruppi armati di opposizione. L’hanno tenuta prigioniera insieme ad altre donne per un mese la prima volta e per una settimana la seconda volta, stuprandola ripetutamente in entrambe le occasioni, sebbene supplicasse di essere risparmiata in quanto madre di tre figli e vedova di un uomo ucciso dalle forze governative. In seguito, Sofia è fuggita a Yei dove ha grande difficoltà a procurare da mangiare alla sua famiglia.
L’accesso della popolazione civile al cibo è estremamente limitato. Sia il governo che i gruppi di opposizione hanno bloccato le forniture in determinate zone, si dedicano a saccheggiare i mercati e le abitazioni private e prendono di mira chi prova a passare lungo la linea del fronte anche con una minima quantità di cibo. Ognuna delle parti accusa i civili di passare cibo a quella avversa o di essere sfamata da questa.

A Yei, dove la maggior parte degli abitanti è fuggita nel corso dell’ultimo anno, i pochi civili rimasti sono praticamente sotto assedio. Non potendo più andare in cerca di cibo nei campi, soffrono per la grave penuria di prodotti alimentari.

Il 22 giugno le Nazioni Unite hanno ammonito che l’insicurezza alimentare ha raggiunto livelli senza precedenti in Sud Sudan.
“È crudelmente tragico che questa guerra ha trasformato il granaio del Sud Sudan, che un anno fa poteva sfamare milioni di persone, in un campo di morte che ha costretto quasi un milione di persone alla fuga in cerca di salvezza”, ha commentato Joanne Mariner, Alta consulente di Amnesty International per le risposte alle crisi.

“Tutte le parti in conflitto devono riprendere il controllo dei loro combattenti e cessare immediatamente gli attacchi contro i civili che sono protetti dalle leggi di guerra. I responsabili delle atrocità, in qualsiasi parte militino, devono essere sottoposti alla giustizia. Nel frattempo è fondamentale che i peacekeeper delle Nazioni Unite eseguano il loro mandato che è quello di proteggere i civili dalla carneficina in corso”, ha concluso Mariner.

MA NOI SAPPIAMO…..
Ma noi missionari e la gente sappiamo benissimo che molto spesso queste sono solo parole che non vengono ascoltate, nemmeno dai soldati e chi ha il dovere di mettere in pratica questo mandato fondamentale per la sicurezza e protezione dei civili in Sud Sudan. Abbiamo troppi esempi durante questi 4 anni di superficialità e mancato intervento di soldati delle Nazioni Unite e anche del governo per proteggere i propri cittadini da assalti sia dei loro stessi soldati o ribelli. E ciò che abbiamo appena letto come testimonianza in queste righe è la prova di tutto ciò.
E noi Comboniani, dopo la mia partenza agli inizi di Gennaio, qualche giorno dopo abbiamo perso un’altra missione, Lomin Kajo Keji, caduta nelle mani dei ribelli prima e dei governativi poi. Saccheggiata e totalmente lasciata senza nulla. Una delle migliori missioni organizzate della nostra provincia sud sudanese. È come riporta questo report di Amnesty International nella zona più fertile e più pacifica degli ultimi anni. Ma ora messa a fuoco e fiamme. I nostri confratelli e sorelle Comboniane hanno deciso di seguire la gente che si è trasferita in massa nei campi di rifugiati in Uganda. Ora sono in Uganda anche loro e cercando di aiutare e accompagnare questi nostri fratelli e sorelle nei campi dei rifugiati dove la vita è veramente dura e non ci sono i servizi necessari per poter vivere, ma soprattutto sopravvivere. Quando si hanno milioni di rifugiati da gestire è davvero un grande problema umanitario per tutti. La speranza non è morta ma continua a vivere in queste persone che lottano quotidianamente per sopravvivere veramente ma con la voglia di riscatto e di ripartire ritornando un giorno alla loro terra.


E ALLORA QUALE FUTURO?
È troppo semplice descrivere il conflitto nel Sud Sudan come esclusivamente etnico. La lotta per il potere, la corruzione, la pessima gestione della leadership militare, politica e delle risorse e la mancanza di libertà di base sono situazioni reali che complicano fortemente il conflitto. Ma le divisioni etniche sono rimaste una caratteristica costante della società sud sudanese da molti decenni. In passato ha indebolito la loro lotta di liberazione ed è un fattore importante nell'attuale guerra civile del paese. La ricca diversità etnica di questo bellissimo paese dovrebbe essere causa di celebrazione e non di sofferenza come vediamo oggi.

La gente ha una profonda necessità in questo conflitto civile così violento: la sicurezza. Il conflitto civile - qualunque sia la sua origine politica originaria - è spesso guidato da questa necessità di sicurezza, in quanto gruppi o leaders tentano di assicurarla attraverso forze dirette e violente contro gruppi e leader dai quali si sentono minacciati.

La necessità di sentirsi sicura è una necessità primaria - tanto quanto la necessità di acqua, cibo e un posto per poter vivere in pace. Esso comprende non solo la sicurezza fisica, ma anche la sicurezza dei loro interessi economici (terre), politici (potere), legali (diritti e titoli) e della loro identità (appartenenza e status). Questi aspetti "diversi" della sicurezza spesso si combinano insieme, rendendo più difficile risolvere le controversie o il conflitto come sta avvenendo in questi ultimi anni.

Quando un gruppo percepisce che è minacciato, la sua risposta è quella di riunirsi come "gruppo" e di ritrarsi dall’altro gruppo percepito come minaccioso. L'evidenza è che una volta che la gente si vede minacciata dagli altri, influisce negativamente sul modo in cui pensano, come si sentono e come agiscono verso gli altri. Questo, a sua volta, influenza come gli altri percepiscono, creando così divisione tra le persone e salendo anche il livello di minaccia tra quelle persone di un più alto livello. Riduce i sentimenti di identità condivisa, rafforza l'identità di sottogruppi basati sui clan e sull'etnia, scompare la fiducia tra le persone e apre la strada alla violenza. Tutto questo, perché la gente cerca di trovare la sicurezza che non riesce a trovare se non dentro e attraverso il proprio sottogruppo.

In Sud Sudan, alcuni politici sfruttano le divisioni etniche per aumentare le loro ambizioni e ricchezze. Alcuni leader della comunità, personaggi notevoli e capi di famiglie hanno anche un ruolo importante per diffondere messaggi divisivi. Le comunità opposte rileggono e riportano fatti e narrazioni differenti e contrastanti del passato. Abbiamo storie concorrenti del Sud Sudan dove la colpa è attribuita ad alcune comunità mentre altri sono assolti da qualsiasi colpa.
Bisogna utilizzare questo bisogno e desiderio della gente della sua profonda necessità per la sicurezza e l'identità di essere una causa di divisione e violento conflitto e trasformarlo in una spirale positiva che porta ad unità e stabilità. Bisogna cercare di individuare e comunicare un'alternativa alla sicurezza tribale o clanica, al fine di vincere il sostegno pubblico e politico generale e allo stesso tempo esporre le contraddizioni e le insufficienze intrinseche dell'approccio clanico o tribale alla creazione della sicurezza. Nel fare questo si cerca di costruire la forza continua dell'identità nazionale, degli interessi reciproci e della comunione reciproca. Bisogna educare e creare una cultura nazionale che promuove invece uno stato che difenda l'identità e gli interessi di tutti, creando una identità nazionale.

Bisogna usare un linguaggio di pace e di solidarietà per chi fa da mediatore e aiuta a ricostruire il tessuto sociale nazionale e locale e ripristinare fiducia tra i leader politici e militari senza i quali non si può fare un accordo politico. Certamente deve entrare nelle menti e nei cuori dei politici, militari e cittadini che io sono sicuro e posso vivere meglio se e quando anche l’altro mio vicino o lontano è sicuro.
Questa sensazione e anelito ha lo scopo di informare e modellare il pensiero di politici, militari, formatori, leader civici, capi di famiglie, giovani e vecchi. Può essere usato dai mezzi di comunicazione e dal passa parola attraverso le organizzazioni della società civile e i leader civili, i politici - governo e opposizione - e dalle comunità. Può essere comunicato non solo attraverso parole, ma attraverso i simboli e con le azioni di cittadini di ogni livello: quartiere / comunità, locale, stato e governo nazionale, società civile, chiese e moschee. Comprende tutti perché necessita tutti e per rassicurare tutti di avere un futuro comune e non solo per pochi.
Certamente bisogna lavorare molto sul concetto da far accettare da tutti che soltanto quando tutti si occupano di sicurezza/rispetto reciproco e cadono i livelli di minaccia, c'è una maggiore sicurezza per tutti e lo spazio e gli incentivi per l'estremismo si restringono mentre quelli per la cooperazione si alzano. Ciò offre una reale speranza di una fine all'insicurezza e alla divisione e al ritorno alla stabilità e all'unità. Tutto il resto dipende da questo: posti di lavoro e prosperità, educazione e sanità, cessazione della corruzione, trasformazione di servizi pubblici fornendo un governo e una giustizia efficaci.

E’ un lavoro paziente, snervante, difficile e continuo ma che potrebbe offrire un futuro determinato dalla mutua preoccupazione e dal rispetto, non dal conflitto e dall'instabilità. Non richiede che alcun sud sudanese ceda i propri diritti o rinunci a lottare per ciò che è giusto. Al contrario, può contribuire a creare un'atmosfera politica che favorisca l'effettiva risoluzione delle controversie.
Dopo tutto, in conflitto, la verità normalmente diventa distorta rendendo il conflitto e la risoluzione delle controversie più intrattabili. preziose vite di giovani, scarse risorse e preziose opportunità di sviluppo sono sprecate. Tutti si sentono impotenti davanti all’insicurezza anche gli avversari. Ma cercando di lavorare sulla realtà di una sicurezza che è importante per il singolo quanto per la comunità dando così un raro strumento per trovare nuovi modi per trovare la pace. Quindi se uno si sente al sicuro anche l’altro si sente al sicuro come lui e si costruisce la pace. Sarà fattibile e ci sarà la giusta fiducia tra i militari, politici, etnie diverse, giovani e adulti? Non lo sappiamo ancora ma c’è speranza. La strategia può essere buona ma ci vogliono i cambiamenti dei cuori e delle menti. E su questo cammino è ancora lungo le guarigioni dai traumi e dei ricordi di milioni di persone che hanno vissuto guerre negli ultimi 40 anni. E ora questa più atroce degli ultimi 4 anni. Ma tutto è possibile e dobbiamo crederci mettendoci al servizio in vari modi e a vari livelli. Il governo ha lanciato qualche mese fa un’iniziativa chiamata National Dialogue (dialogo nazionale) dove si vuole coinvolgere anche i ribelli ma non sta funzionando perché è tutto nelle mani del governo stesso e del presidente Kiir. Ci vuole un gruppo più neutro e non di parte perché si possa davvero mettere attorno a un tavolo le molte controparti che hanno tanti interessi diversi, interne ed esterne. E anche che sia davvero una iniziativa globale e capillare dove tutti sono veramente coinvolti in questo cambiamento di cuore, mente e sentimenti.
Tutti insieme per un cammino comune verso la Pace, Giustizia e Dignità!

Il Pellegrino, il pellegrinaggio e il cammino:
nient’altro che me verso me stesso
(Farid Addin Attar, sufi persiano del XII secolo)

E LE CHIESE COSA FANNO?

In questa situazione difficile e di divisione la Chiesa cattolica e altre chiese cristiane sono molto attive sia sul territorio che anche al livello internazionale. Il 27 ottobre 2016, Papa Francesco ha voluto ricevere in Udienza in Vaticano, i tre principali Capi cristiani del Sud Sudan (Chiesa Cattolica, Chiesa Episcopaliana e Chiesa Presbiteriana), che costituiscono il South Sudan Council of Churches (SSCC) che opera insieme per iniziative di pace e formazione umana e spirituale. Nell'incontro il Papa ha confermato la buona e proficua collaborazione fra le Chiese cristiane, che ha di mira prioritariamente il bene comune, la dignità della persona, la protezione degli indifesi, la promozione di iniziative di dialogo e di riconciliazione, nonché la diffusione della cultura dell'incontro per superare tutto ciò che divide e distrugge la pacifica convivenza. Aveva sottolineato molto l'importante esperienza del perdono e dell'accoglienza dell'altro, via maestra per la costruzione della concordia e dello sviluppo umano e sociale. In quell'occasione il Papa aveva accettato con gioia l'invito della delegazione ecumenica sud sudanese a visitare il Paese per ribadire la reciproca disponibilità a camminare e a lavorare con rinnovata speranza e mutua fiducia, per mostrare i valori positivi inerenti alle proprie tradizioni religiose, per dare risposte effettive al grido di dolore di tanti nostri fratelli e sorelle che soffrono per le violenze, e corrispondere con sollecitudine al loro anelito di una vita più dignitosa e giusta.
Da quell'incontro è emerso con chiarezza che il Paese ha bisogno della collaborazione di tutti, ma soprattutto dell'impegno delle parti coinvolte nel conflitto, in collaborazione con la Comunità regionale e internazionale, per l'immediato cessate il fuoco, il ripristino della sicurezza, la protezione dei civili e degli operatori umanitari, l'accesso agli aiuti umanitari e il sostegno ad uno sviluppo equo.
Il 26 febbraio scorso, durante la sua visita alla chiesa anglicana di Roma "All Saints Church", è stato lo stesso Papa Francesco personalmente a rivelare il desiderio di recarsi insieme con l’Arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, primate della Comunione anglicana, in Sud Sudan. L'annuncio, come era da immaginarsi, ha suscitato molta speranza in Sud Sudan e nella Comunità Internazionale anche perché sarebbe stato un viaggio storico vissuto insieme dai due primati delle due Chiese.
Purtroppo, in questi mesi gli scontri armati non sono cessati, e ciò ha aggravato la crisi umanitaria e ha reso impraticabile l'auspicato viaggio apostolico. A peggiorare la situazione si è aggiunta la crisi alimentare, causata dall'impossibilità dei contadini di coltivare la terra a motivo dell'insicurezza e dei cambiamenti climatici.
Il 30 maggio scorso il Direttore della Sala Stampa Vaticana, Greg Burke, ha fatto sapere ai media che il viaggio di Papa Francesco in Sud Sudan, programmato per il prossimo ottobre, ha dovuto essere rimandato per ragioni logistiche e di sicurezza. Naturalmente, questo rinvio è stato un motivo di grande rammarico per Papa Francesco, il quale resta comunque fermo nelle sue intenzioni di visitare quanto prima il tormentato Paese. Nel frattempo che la situazione migliori, Egli nonostante tutto, ha voluto ardentemente assicurare la Sua attenzione e la Sua vicinanza alle Chiese, ai sud sudanesi, come anche ribadire l'urgenza di vincere la barriera dell'indifferenza e della ottusa fiducia nel potere delle armi come principale possibilità di soluzione dei problemi. Recentemente, ha voluto anche fare un gesto importante con l’iniziativa “il Papa per il Sud Sudan”, finanziando tre progetti umanitari del valore di 500 mila dollari: uno in ambito sanitario, un altro in quello dell'educazione ed un altro nell’ambito del lavoro agricolo.
Questo incontro è stata anche l’occasione per Papa Francesco e i leaders delle altre Chiese di verificare la loro preziosa collaborazione e segno di comunione in un paese diviso dove le Chiese devono portare unità, riconciliazione e voglia di Pace vera. Uno Spirito e clima di fiducia per mettere in atto le misure necessarie per fermare la guerra insieme a tutte le componenti della società civile, governative e dei ribelli. Necessitano uomini di buona volontà, mossi dalla loro fede ferma, che donano speranza alla popolazione e testimoniano che è possibile convivere pacificamente e costruire insieme un futuro migliore, in cui le differenze non sono motivo di conflitto ma di arricchimento reciproco. Agli assordanti rumori delle armi, che provocano invece distruzione, odio, spirito di vendetta e divisioni sempre più profonde, si contrappone il miracoloso e fruttuoso silenzio di molte persone che nel Paese già costruiscono luoghi di pace, salvano vite e fanno maturare impossibili frutti di bene.
In particolare, vi sono già alcune iniziative che stanno dando viva speranza al Paese: il "Centro per la pace Buon Pastore" (Good Shepherd Peace Centre) a Kit, nei pressi di Juba, inaugurato il 15 ottobre 2016, voluto e costruito grazie all'impegno di tutte le congregazioni dei religiosi cattolici (RSASS) con l'appoggio della Chiesa locale per la formazione umana e di laici, clero locale e religiosi per la pace, guarigione dai traumi e per la riconciliazione; l'organizzazione Solidarity with South Sudan che unisce diverse congregazioni religiose femminili e maschili, appartenenti all'Unione dei Superiori Generali (USG) e all'Unione Internazionale dei Superiori Generali (UISG), e che da diversi anni lavora in sintonia con la Chiesa locale sud sudanese e sotto la direzione della Conferenza Episcopale (Sudan Catholic Bishops’ Conference - SCBC); il Villaggio della Pace Kuron, in Equatoria Orientale, fondato da Mons. Paride Taban, Vescovo emerito di Torit, che dal 2005 ha iniziato a costruire un luogo in cui le famiglie di diverse etnie potessero vivere insieme, senza divisioni e in amicizia. Anche il CUAMM, che sostiene più di 90 centri per la salute e sono presenti in diversi ospedali del Paese; come anche la Loreto Girls Secondary School, aperta A Rumbek nel 2008 e diretta dalle Loreto Sisters, che accoglie ragazze dinka soprattutto per studiare e crescere insieme. E non dimentico certamente i miei confratelli e consorelle Comboniane che operano da 150 anni in questo paese dai tempi di San Daniele Comboni che con i loro sacrifici e lavoro di evangelizzazione e promozione umana sono sempre stati fedeli e grandi servi del Signore in questo Paese martoriato dalle guerre e dalla morte specialmente negli ultimi 50 anni. Non voglio certamente dimenticare anche le tante iniziative degli altri istituti religiosi sparsi in giro per il Sud Sudan e anche delle altre Chiese. Ma questo è un grande segno e Luce che tanti operatori di Pace stanno già vivendo e portando segni di cambiamento e futuro dentro questa realtà assurda di guerra fratricida.
Il Papa ha più volte sottolineato che il bene e la pace non si ottengono con le armi! Infatti afferma: "È un'assurda contraddizione parlare di pace, negoziare la pace e, allo stesso tempo, promuovere o consentire il commercio di armi che causa tante vittime innocenti". Tra l'altro, l'insicurezza e l'instabilità si aggravano laddove è maggiore la diffusione delle armi. Non è umano rimanere inerti mentre tanti nostri fratelli e sorelle, per l’egoismo di pochi, soffrono indicibili violenze. Occorre, quindi, il coinvolgimento di tutti avendo come obiettivo il bene comune. Non è facile, ma non è impossibile!!


UN LIBRO SUL SUD SUDAN DA PUBBLICARE: VUOI DARMI UNA MANO?
In questo ultimo mese di Giugno 2017, da quando sono tornato dal Camino de Santiago, ho cominciato a preparare un prossimo libro che pubblicherò con l’amico Gianluca Ferrara dell’Editrice CREATIVA/DISSENSI. Sono praticamente la raccolta di tutte le mie lettere agli amici e tanti altri articoli che ho scritto sul Sud Sudan e altre realtà limitrofi durante questi miei 7 anni di permanenza nel nuovo Paese. Sono arrivato nel 2009 quando c’erano tante speranze e aspettative e sono ripartito alla fine del 2016 in piena guerra civile da oltre tre anni.
Il titolo del libro sarà SUD SUDAN: IL LUNGO E SOFFERTO CAMMINO VERSO PACE, GIUSTIZIA E DIGNITA’
Come tutte le altre mie pubblicazioni le offerte raccolte dalla vendita dei libri sarà devoluta a progetti sostenuti da noi Comboniani o altri organismi presenti in Sud Sudan come segno di solidarietà vera e fraterna alla gente di questo popolo crocifisso, uno dei tanti nella storia di questa umanità. Anche nella mia prossima missione continuerò a sostenere i miei confratelli del Sud Sudan perché conosco i bisogni e le sfide che la gente e i missionari stanno vivendo in questo particolare contesto.
Ti chiedo se è possibile di darmi una mano nel diffondere la notizia e magari anche il libro nelle vostre parrocchie, gruppi e associazioni, scuole e università e tanto altro. Sono disponibile dalla fine di Settembre fino a fine Ottobre 2017 a venire a presentare il libro in una iniziativa che potete organizzare voi stessi dove se possibile oltre al libro si possa parlare della realtà del Sud Sudan che come sapete non è quasi mai coperta dai media se non quando ci sono situazioni ancora più scabrose della guerra, fame e carestia che purtroppo fanno parte della storia di questo popolo di questi tempi. Potrei venire anche accompagnato da alcuni amici che hanno scritto le prefazioni al libro così che sarebbe anche un dialogo e una riflessione più ampia sul tema e su ciò che si sta muovendo in Sud Sudan e in Africa. Diamoci una mano a mantenere almeno una finestra aperta su questo dramma che si sta consumando nell’indifferenza di molti.
A chi fosse interessato ad organizzare un evento/presentazione e dibattito sul Sud Sudan chiedo di contattarmi presto visto che già diversi gruppi e associazioni hanno già fatto la loro prenotazione per un incontro serale, o pomeridiano, o in scuole superiori o università, o per aprire mostre e convegni e tanto altro. Il tempo sarà un mese e sono disponibile a viaggiare per l’Italia e venirvi a trovare, incontrarci e aver l’opportunità di poterci salutare e condividere molte cose. Il mio numero di telefono e indirizzo email lo trovate alla fine della lettera.

Il cammino non ti dà l’orizzonte
ma molti punti di vista


IN CAMMINO VERSO SANTIAGO DE COMPOSTELA… BUEN CAMINO!!
Se ricordate amici carissimi, vi ho mandato qualche mese fa con una mia lettera ed email la notizia che partivo per un pellegrinaggio a piedi verso il santuario di Santiago de Compostela. Il mio obiettivo era di raggiungere Santiago e poi Finisterre, sempre nella Galizia spagnola e sull’Oceano Atlantico. Finisterre, cioè fino ai confini della terra dove i vecchi pellegrini del Medioevo giungevano dopo Santiago perché era considerato la fine del mondo conosciuto di quel tempo. Infatti agli inizi del secondo millennio non si conoscevano ancore le Americhe e l’Asia. Mondi lontani e sconosciuti così pure le loro popolazioni, lingue, colori, tradizioni e religioni. Poi vennero le “scoperte” o le “conquiste”, dipende sempre da che angolo si legge la storia dell’umanità. E logicamente queste due nazioni che ho visitato la Spagna e il Portogallo sono state molto presenti con i loro Regni nei secoli successivi e dato un’impronta fondamentale alla storia e a ciò che tuttora sono i paesi Latino Americani con le loro conquiste e legami che sopravvivono tuttora con questo importante continente.
Nel Medioevo, infatti, questo fenomeno religioso sorprendente del pellegrinaggio creò una base comune di tipo culturale a quell’unità di popoli che oggi noi chiamiamo Europa. Il grande scrittore tedesco Johann Wolfgang von Goethe scriveva agli inizi del 18° secolo: “L’Europa è nata in pellegrinaggio e la sua lingua materna è il Cristianesimo.”


SANTIAGO DE COMPOSTELA: UN LUOGO, UNA STORIA, UNA TRADIZIONE SPIRITUALE
Ci sono sicuramente molti tra noi, i nostri amici e parenti che ne avranno sentito parlare del Camino de Santiago almeno una volta. E allora le domande e curiosità che mi ponevo erano tante e che tanti altri si sono posti in questi secoli passati. Ma anche ora che sta diventando ancora più frequentato. Perché questo luogo è divenuto così importante da trasformarsi a partire dal IX secolo della nostra era, in una delle mete di peregrinazione più importanti della storia della cristianità e attualmente anche a livello mondiale? Perché milioni di pellegrini nella storia hanno percorso le vie che conducono fino a questa città della Galizia, regione all’estremo nord-ovest della Spagna e della penisola Iberica? Cosa li spinge a incamminarsi fin là, antico confine occidentale del mondo, dove la costa rocciosa sprofonda nel tenebroso oceano Atlantico? Da dove e perché nasce questa devozione verso un luogo così semplice e rurale, situato in una regione periferica dell’Europa, dove la natura florida è protagonista più di grandi e importanti città? E soprattutto cosa vuol dire essere pellegrino nel passato e soprattutto oggi? Perché si va là, con che stile e che motivazioni?


E TUTTO PARTI’ DA UNA STORIA DI VITA: SAN GIACOMO L’APOSTOLO (Sant’Iago)
Giacomo, figlio di Zebedeo, pescatore, era uno dei 12 apostoli di Gesù, come il fratello Giovanni l’Evangelista. Dopo la resurrezione di Gesù Cristo per molti anni girò la penisola iberica per compiere l’opera di evangelizzazione. Tornato in Palestina fu fatto decapitare dal re Erode Agrippa, che temeva che l’apostolo acquisisse un eccessivo potere; i suoi discepoli Attanasio e Teodoro ne raccolsero il corpo e lo trasportarono segretamente con una nave nei luoghi della predicazione. Sbarcati nei pressi di Finisterre si addentrarono in Galicia e gli diedero sepoltura.
Nei secoli successivi si perse traccia del sepolcro. Nell’anno 813 l’eremita Pelayo vide, per molti giorni successivi, una pioggia di stelle cadere sopra un colle. Una notte gli apparve in sogno San Giacomo che gli svelò che il luogo delle luci indicava la sua tomba. L’abate rimosse la terra che nei secoli si era depositata e scoprì il sepolcro. Ne diede notizia al Vescovo locale Teodomiro che confermò la veridicità dell’accaduto. La notizia giunse presto al papa ed ai principali sovrani cattolici dell’epoca. Di qui iniziò il culto di Santiago (il nome è la contrazione di San Giacomo). Fu costruita una piccola chiesa sul luogo del sepolcro; ben presto sorse intorno una città che fu denominata Santiago de Compostela (da campus stellae, il campo delle stelle).


GLI ANTICHI PELLEGRINAGGI
Da alcuni secoli gli arabi si erano insediati e dominavano la Spagna del Sud e quella Centrale: San Giacomo divenne il simbolo ed il protettore della reconquista, il processo di riappropriazione da parte dei principi spagnoli della parte della penisola occupata dai “Mori”. San Giacomo fu quindi raffigurato come santo-guerriero (e denominato matamoro = uccisore dei mori). La leggenda di questo sogno, dice che numerose volte il santo sia intervenuto in modo decisivo per aiutare i cristiani a sconfiggere i mori nelle tante battaglie combattute nei secoli successivi (la reconquista si compì nel 1492 con la definitiva sconfitta degli arabi da parte del re Ferdinando e della Regina Isabella “la cattolica”)
Subito dopo la scoperta del sepolcro iniziarono i pellegrinaggi. I pellegrini confluivano qui da ogni parte d’Europa: la via lattea indicava la direzione da seguire. Il flusso in alcune epoche divenne imponente.
E’ interessante oggi leggere e scoprire come questo tipo di iniziativa era preparata con tanto di riti e segni particolari. Alla partenza veniva compiuto il rito della vestizione con la consegna della bisaccia e bordone (bastone). Il pellegrino alla partenza si spogliava degli averi e spesso doveva vendere o ipotecare i beni per potersi finanziare il viaggio. Faceva testamento e dava disposizioni per il governo del patrimonio in sua assenza. Spesso la Chiesa interveniva attivamente in questa funzione di tutela. Questo stato particolare conferiva al pellegrino un particolare prestigio.
La scelta di fare un pellegrinaggio era generalmente una libera decisione personale: per chiedere una grazia, per adempiere ad un voto oppure per una ricerca religiosa personale.
Tuttavia in molti casi, il pellegrinaggio era imposto come pena dal giudice o come penitenza dal confessore per colpe o peccati di particolare gravità. Chi era ricco poteva mandare una persona a fare il pellegrinaggio per proprio conto. Anche qui il potere dei soldi……!!
I pellegrini viaggiavano solitamente in gruppo, per sostentarsi e proteggersi reciprocamente: i pericoli erano rappresentati dallo stato spesso precario delle strade, dalle catastrofi naturali e soprattutto dai banditi che infestavano le strade.
Lungo il percorso si sviluppò una rete di servizi per il sostentamento dei pellegrini: chiese, monasteri, alloggi, ospizi, ospedali, locande, molti dei quali ancora visibili ai nostri giorni. Lungo il cammino nacquero paesi e città, furono costruite strade, ponti. Della protezione dei pellegrini dagli assalti dei briganti si occuparono per un lungo periodo molti ordini ospitaleri: tra essi principalmente i Templari (fino al loro scioglimento – secolo XIII). Molti re e personaggi noti effettuarono il pellegrinaggio: San Francesco fu uno di questi.
Il pellegrinaggio a Santiago de Compostela ebbe una rapida diffusione nel mondo cristiano, nel quadro del rifiorire della spiritualità che caratterizzò l’inizio del secondo millennio. Dante Alighieri (Vita Nova, XL, XXIV) parla di tre grandi vie di pellegrinaggio:
– una diretta a Gerusalemme – i pellegrini erano detti “palmieri” (le palme d’oltremare); la palma era anche il simbolo del pellegrinaggio.
– una diretta a Roma – i pellegrini erano detti “romei” (da Roma); il simbolo era la croce.
– una diretta a Santiago – erano i “pellegrini” propriamente detti (il luogo più lontano, più peregrino); il simbolo era la conchiglia.
Le grandi direttrici dei tre grandi pellegrinaggi del mondo cristiano erano costituite da:
– un insieme di vie che, attraversando la Francia su più tracciati, confluivano a Roncisvalle e a Puente la Reina, per dirigersi a Santiago de Compostela
– un altro insieme di vie che, provenendo da diverse località europee, confluiva nella Via Francigena fino a Roma; chi andava in Terrasanta proseguiva lungo l’antica via Appia fino ai porti pugliesi. Questa stessa via era utilizzata, in direzione opposta, dai pellegrini che, partiti dall’Italia diretti a Santiago, valicavano le Alpi e si immettevano nella Via Tolosana.
Il pellegrinaggio verso Santiago ebbe periodi di maggiore o minore partecipazione. Fu sostenuto e promosso soprattutto dalla componente più illuminata ed evangelica della Chiesa.
Nel secolo XVIII iniziò un progressivo declino. La maggior parte delle strutture di accoglienza cadde in abbandono; altre cambiarono destinazione d’uso. Una ripresa è iniziata negli anni ’80. Un decisivo contributo è stato dato dalla visita del papa Giovanni Paolo II a Santiago nell’anno 1989, in concomitanza con l’incontro mondiale della gioventù: mezzo milioni di giovani convennero a Santiago da ogni parte del mondo, e fu la maggior concentrazione di pellegrini mai registrata. Da allora il flusso dei pellegrini è aumentato progressivamente e in modo inarrestabile. Il 23 ottobre 1987 il Consiglio d’Europa ha dichiarato i percorsi che portano a Santiago “itinerario culturale europeo”, mettendo a disposizione risorse economiche per segnalare convenientemente il cammino, ristrutturare e costruire i rifugi per alloggiare i pellegrini; nel 1993 l’UNESCO li ha dichiarati “patrimonio dell’Umanità”.

Non correre, pellegrino
la felicità, ciò che dopo ricorderai,
non sta nell’alloggio ma nel cammino 


COSA VUOL DIRE ESSERE PELLEGRINI?
La parola pellegrino vuol dire etimologicamente “colui che lascia la sua terra, la sua patria, per farsi straniero recandosi verso un luogo sacro o di devozione religiosa”. Deriva infatti dal latino peregrinus (straniero), composto da per (al di là) e da ager (campo); il termine identifica quindi un viaggiatore umile, che attraversa terre sconosciute e da “oltre i campi” giunge di volta in volta presso altri luoghi dove è forestiero.
Il pellegrino non è un viandante errante o vagabondo; viaggia verso la sua meta irresistibilmente attratto da qualcosa; è una persona che rompe con la vita ordinaria caratterizzata dal ritmo lavorativo, le sue certezze e sicurezze familiari e si espone fiducioso nella Provvidenza, alle sorprese, alle novità, agli incontri. Un pellegrino è un viaggiatore dell’anima, aperto all’incontro rispettoso con l’umanità, capace di fraternizzare oltre le differenze, arricchendosi sempre più nello spirito. Egli sa ascoltare chi è nel bisogno, ha lui stesso l’umiltà di chiedere quando sente qualche necessità e scopre che veramente c’è più gioia nel donare che nel ricevere come i Vangeli ci testimoniano in maniera chiara e stupenda.
Lo spirito di abbandono e di disponibilità con il quale ho camminato era ispirato da questo testo del Vangelo che mi ha accompagnato durante tutto il Camino di Santiago. Un testo stupendo che conosco e conosciamo a memoria da sempre ma che se viviamo quotidianamente ti penetra dentro e di tona tanta pace e serenità. E questo sulle strade del Camino è realtà vissuta e condivisa con la natura e Creazione di fronte a noi e l’Umanità che il Signore ci fa incontrare da tutte le parti del mondo.
Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un'ora sola alla sua vita? E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede? Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in più. Matteo 6,25-33

PERCHE’ UN PELLEGRINAGGIO? RELIGIOSO O LAICO…?
Per molti che ho incontrato e ascoltato il pellegrinaggio a Compostela è un evento che segna la propria esistenza: qualcosa che determina un “prima” e un “dopo”. Lungo il Cammino può capitare di incontrare compagni di viaggio il cui ricordo ci accompagnerà per tutta la vita o si rimane in contatto con loro a lungo. Così come è accaduto a me lo è già stato per molti altri in passato. Oppure può capitare di incontrare se stessi. Di certo più che l’arrivo, il protagonista è il Cammino in sé, un itinerario che è molto più di una sequenza di chilometri percorsi e da percorrere. Il Cammino è proprio la metafora della vita quotidiana che viviamo con i suoi alti e bassi, speranze e sofferenze, gioie e lotte, fallimenti e successi. Il Cammino è tanto e molto altro…….
Infatti la Peregrinatio ad limina Sancti Jacobi, come era chiamata nel Medioevo, o Cammino di Santiago de Compostela, come si usa dire adesso, è un percorso di passaggio e rinascita, di attesa, sofferenza e ricompensa finale. Ogni anno più di 300.000 persone, di ogni età provenienti da ogni parte del mondo, si mettono in marcia per coprire centinaia e centinaia di chilometri. In Spagna ci sono più di dieci cammini diversi che portano a Santiago: il Francese, il Portoghese, del Nord, Primitivo, de la Plata ecc…….
Io ho camminato su quello Francese, un percorso di circa 800 chilometri in un viaggio che si compie innanzi tutto all’interno di se stessi, qualunque siano le motivazioni che spingono a partire. Questa è forse la chiave del Cammino: partire, non arrivare; viaggiare, non spostarsi; in un’epoca come la nostra in cui la stessa distanza viene coperta in aereo poco più di un’ora, può sembrare incomprensibile la scelta di impiegare settimane di fatica fisica, sotto il sole o pioggia, con le scarpe nel fango o i piedi pieni di vesciche, a piedi o in bicicletta o anche a cavallo…. Eppure il fascino del Cammino rappresenta un’attrattiva ancora irresistibilmente attuale forse proprio perché in qualche modo “diversa” dall’esistenza quotidiana di molti di noi. Di fatto compiere il pellegrinaggio è un’esperienza che continua anche dopo l’arrivo e dopo il ritorno a casa. Se la partenza è vissuta a volte come un fatto più intimo, il racconto, una volta tornati, diventa per molti un’esigenza quasi inevitabile del dover condividere e contagiare altri.
I diari di viaggio che si trovano in libreria o su internet sono testimonianza della voglia di raccontare, condividere e in qualche modo rivivere un’esperienza irripetibile. Ho incontrato molti che il Cammino lo hanno percorso più di una volta, e non sono pochi. Raccontano che ciascun pellegrinaggio è diverso, non solo per la geografia o difficoltà, perché diverso è lo spirito con il quale lo si compie.
L’esperienza del Cammino è certamente influenzata dalla compagnia con cui lo si affronta. Il percorso in solitaria come l’ho vissuto io permette di regolare a piacimento tempi e modi del viaggio, e di ritagliarsi momenti di riflessione, silenzio, preghiera, riposo e visite a ciò che più piace sul percorso. Ma soprattutto il fatto di essere soli nel cammino ti apre naturalmente all’incontro con tante persone sconosciute all’inizio ma che nel durare del pellegrinaggio diventano tuoi amici e compagni di viaggio condividendo molto delle nostre vite, speranze e lotte, aspettative e delusioni. Ma anche accompagnati da un amico fidato, dalla persona con la quale si condivide l’esistenza, da un padre o madre, o da un figlio, si ha la possibilità di riscoprire dialoghi che sembravano dimenticati. Ho visto persone interessanti e belle dentro con le quali si è condiviso pezzi di strada e di spiritualità. Ma anche dolori e sofferenze che vivono nella loro vita che ha già avuto tante croci e dolori. Visto bambini piccoli camminare per centinaia di chilometri insieme alle loro mamme. Oppure disabili che con le loro carrozzine o stampelle si facevano con grande impegno e intensità il percorso come tutti noi. Grandi esempi di determinazione e forza di volontà e di abnegazione.

ULTREYA Y SUSEYA! BUEN CAMINO PEREGRINO……!!
La responsabilità di avere una persona al fianco sprona nei momenti di stanchezza e conforta in quelli di emotività. Viaggiare in gruppo pone di fronte a tutte altre dinamiche: a volte il gruppo è saldamente costituto anche prima di partire, altre volte si costituisce spontaneamente lungo il percorso quando durante una sosta, nel corso di una salita, sotto un temporale improvviso o di fronte a un pezzo di pane si scoprono sentimenti e ideali comuni, forze e debolezze, attese e motivazioni e speranze condivise.
Percorrere il Cammino non è necessariamente un’esperienza religiosa, ma in qualche modo lo diventa.
Sul Cammino ci sono migliaia di persone ogni giorno. C’è il mondo su quelle strade. Gente che proviene da tantissime nazioni del Nord del mondo ma anche America Latina, Asia, Oceania e qualcuno ….dall’Africa. Purtroppo ancora lungo a venire….ma anche l’Africa era rappresentata da qualche numero minore.
Su questo Cammino verso Santiago, non pochi sono infatti i non cristiani, o addirittura i non religiosi o atei, che si avventurano lungo queste strade, per scoprire poi di aver trovato qualcosa che non cercavano, di aver scoperto ciò di cui non pensavano di aver bisogno. E questo è forse il dono più grande del Cammino di Santiago. Infatti non a caso molto spesso, ci sono molti che sono partiti da turista e sono arrivati come “pellegrini”. Son convinto che per tutti coloro che partono per questi percorsi per motivi vari come dimagrire, sport, turismo, arte ecc… in fondo in fondo esiste una profonda ricerca di senso e motivazione di vita. Che si dia una risposta religiosa o meno ma certamente di una umanità in grande ricerca. È mia piena convinzione che per tutti, il Signore, ha già messo dentro questa smania e desiderio di vivere questo tempo di cammino per scavare e vivere più sobriamente e intensamente la propria vita e farsi le domande essenziali per il presente e il futuro.
Ultreya y Suseya era il saluto che si rivolgevano i pellegrini un tempo quando si incontravano. Ora molto più usato è Buen Camino! Buon cammino….fisico ma anche di vita!! È un augurio importante e di incoraggiamento che apre il cuore e la mente di chi ti sta davanti nel camminare o che ha bisogno di un aiuto. Ci sono grandi testimonianze di aiuto reciproco e di solidarietà gratuita durante tutto il cammino e nei semplici ostelli dove ci si ferma la notte per riposarsi, rinfrescarsi, rifocillarsi e dormire. E ripartire…..con più entusiasmo ed energia!
Le parole latine, Ultreya y Suseya derivano da un antico canto riportato nel quinto libro del Codex Calixtinus (libro di San Giacomo cioè le prime descrizione del pellegrinaggio a Santiago di molti secoli fa) in latino: “Herru Santiagu, grot Santiagu. E ultreia e suseia Deus adiuva nos”. Che significava “San Giacomo, Signore, buon San Giacomo, più avanti, più in alto. Dio ci protegga”.
Quindi caro amico e cara amica! ULTREYA Y SUSEYA!! BUEN CAMINO DE VIDA A TI!!! Un grande augurio a te di una vita piena e di coraggio per i tanti sali e scendi che la vita ci riserva. Ma anche tanti bellissimi panorami e incontri che ci toccano il cuore….anche nella nostra vita quotidiana!
Soprattutto sempre avanti ma anche guardando in Su, verso l’alto, perché è là dove Lui ci guarda e ci sostiene, ci aiuta e ci protegge! Saggezza dei nostri vecchi e antichi pellegrini!
Prima di partire per il Camino de Santiago avevo trovato una bella frase di un vescovo indimenticato profeta e testimone del Vangelo, Don Tonino Bello. Questa frase provocatoria era ed è ancora molto attuale perché poi in effetti se ci guardiamo dentro e fuori di noi e soprattutto intorno a noi in questo mondo queste parole sono pesanti come…macigni! Ma straordinariamente vere da vivere in pienezza! Una sfida che rimane comunque aperta e in agguato tutti i giorni della nostra vita…..

“Il pellegrinaggio più lungo non è quello verso Santiago de Compostela, ma quello che va dall’uscio di casa nostra a quello di fronte!”
Don Tonino Bello

Il “caso” ha voluto che facendo una tappa di montagna, precisamente a O’Cebreiro a 1300 mt. d’altitudine, visitando e pregando nel piccolo santuario del posto, ho trovato questa preghiera/riflessione che ho gradito e ho fatto mia. Ed è da stimolo a molti pellegrini o camminatori…ma è molto vera!! In continuità a quella di don Tonino Bello…

E DOVE SEI ARRIVATO PELLEGRINO ???
Anche se avessi percorso tutte le strade, montagne e valli,
dall’Oriente all’Occidente, ma non ho scoperto la libertà di essere me stesso,
non sono arrivato da nessuna parte.

Anche se avessi condiviso tutti i miei beni con gente di altre lingue e culture,
fatto amicizia con pellegrini di tutte le parti del mondo,
condiviso rifugi con santi e nobili,
ma non sono capace di perdonare subito a chi mi sta accanto,
non sono arrivato da nessuna parte.

Anche se avessi portato sempre il mio zaino, dall’inizio alla fine,
e curato qualche pellegrino nel bisogno, o ceduto il letto a chi è arrivato dopo di me,
e donato la mia borraccia senza chiedere nulla in cambio,
però tornato a casa e al mio lavoro non costruisco fraternità e non dono gioia, pace e unità,
non sono arrivato da nessuna parte.

Anche se ho avuto cibo e acqua tutti i giorni, e goduto sempre di un tetto e di una doccia
E ricevuto cure per le mie ferite, ma non ho scoperto che tutto era per amore di Dio,
non sono arrivato da nessuna parte.

Anche se avessi visto tutti i monumenti e contemplato i migliori tramonti,
anche se avessi imparato un saluto in ogni lingua, e bevuto l’acqua limpida di tutte le fonti,
ma non ho scoperto chi è l’autore di tanta bellezza e di tanta pace,
non sono arrivato da nessuna parte.

Se da oggi non cammino sulla tua strada cercando di vivere come qui ho imparato;
se da oggi non vedo in ogni persona amico e nemico un compagno di viaggio;
se da oggi non riconosco che Dio, Dio Padre di Gesù di Nazareth, è l’unico Dio della mia vita,
non sono arrivato da nessuna parte……

Preghiera di Fraydino

LOURDES, FINISTERRE, FATIMA E LISBONA…
Agli inizi di Aprile, prima di prendere la via verso St. Jean Pied de Port (Francia) località ai piedi dei Pirenei e prima tappa del Camino, mi sono fermato a Lourdes al santuario di nostra Signora per prepararmi spiritualmente per affrontare non solo fisicamente bene il pellegrinaggio ma anche spiritualmente. E così ho fatto. Ci sono rimasto due giorni e sono stati molto belli, pieni di preghiera e di incontri con malati e pellegrini che veniva anche qui da tutto il mondo cercando pace interiore e guarigione anche fisica ma soprattutto spirituale. È sempre molto utile e ricco accostarsi ai malati quando ci si cala alla scoperta di un Cristo che è misericordioso, solidale e amorevole dentro quelle cure che molti volontari e parenti dei malati e i malati stessi cercano di condividere in quel luogo di silenzio e preghiera. È stato salutare questa tappa spirituale prima di affrontare il viaggio fisico con energie più grandi e poderose affidando a Maria nostra Madre questo pellegrinaggio e la mia vita. Ma anche pregato per tante persone precise, malati, coppie, famiglie e tanti eventi e situazioni vissute e ancora in atto come la Pace in Sud Sudan. Da lì ho cominciato a portare questo desiderio e preghiera per la Pace offrendola a Maria durante tutto il Camino fino ad arrivare a Lisbona, ultima tappa di questo lungo pellegrinaggio che passava da Santiago ma che toccava luoghi significativi come Finisterre e Fatima in Portogallo.
È stata un’esperienza molto bella e profonda. Nel cammino ero solo ma in realtà non sono mai stato solo. Quel Qualcuno c’era sempre ad accompagnarmi ma anche tanti altri pellegrini, fratelli e sorelle che provenivano da questo immenso e stupendo mondo, anche loro in cammino di ricerca di se stessi, di vita e di fede per i credenti ma anche per chi non crede di nuove motivazioni per la propria storia personale. Magari un giorno lo farai anche tu. E te lo auguro di cuore! Ne vale la pena…ma…preparati interiormente e fisicamente. E magari qualcuno lo ha già vissuto in pienezza e capisce i sentimenti, desideri e voglia di vivere fortemente questa esperienza di vita. Il Signore fa sempre bene le cose……prima e dopo. Il mio amico ed hermano Angelo Di Napoli ne sa qualcosa. Lui lo ha già fatto due volte e se potesse lo farebbe ancora subito…ma come Angelo ci sono molte altre persone che bruciano dal desiderio di vivere la spiritualità della strada. Ma tutti i pellegrini sanno che ciò che conta è….il ritorno a casa! È lì dove ci si ritrova per vivere i valori scoperti o riscoperti durante il Camino. Ma l’importante è lasciarsi provocare dallo Spirito del Camino!!
In questi due mesi di pellegrinaggio, ho avuto veramente tempo di pregare, far silenzio, osservare e godermi la natura, i panorami, la storia, l’arte e la bella gente che ho incontrato e insieme condiviso pezzi di cammino anche di vita. Mi sono sentito molto accompagnato da tanti amici, parenti e persone che mi vogliono bene e che mi hanno trasmesso la loro preghiera, spirito e forza. Anche io ho pregato molto per te e per quelle persone che ne avevano bisogno come i malati, persone a rischio, situazioni famigliari difficili, giovani sbandati o delusi e depressi, per ciò che sentiamo sempre nei nostri cuori e non riusciamo mai a dargli un nome e un senso per poterlo trasformare in creatività per costruire un mondo migliore e più umano con una spiritualità intensa e incarnata nella realtà e nella storia dell’oggi di questo mondo.
Anche l’uso di Facebook comunicandovi ogni due o tre giorni ciò che vivevo e mettendo anche qualche foto è diventato fonte e sorgente di bellissime condivisioni vostre che mi hanno toccato il cuore e portato nel cammino e nella preghiera. C’era Dio dentro in tutto questo…!! Sentivo che camminavate con me!!
Sono passato anche da due nostre comunità Comboniane sul Cammino a Santiago stesso e a Palas de Rey dove accolgono i pellegrini nella loro parrocchia. Sono stati momenti belli anche con i miei confratelli e condiviso davvero le gioie della missione di un mondo che cammina sulle strade verso Santiago! Per noi missionari è come se la Missione viene in casa….!
Arrivato a Santiago e vissuto tre giorni intensi di spiritualità in mezzo a tanta confusione di migliaia di pellegrini sono ripartito per Finisterre, verso la “fine del mondo”. Nel giorno del mio arrivo sotto la pioggia e in compagnia di due anziani amici trentini, come tutti i pellegrini abbiamo ritirato la nostra Compostela cioè il documento strettamente in latino che certifica che il pellegrino ha veramente fatto il Camino de Santiago e rimarrà per sempre un pezzo di carta che ci ricorderà momenti belli e stupendi, compagni e preghiera e tante Grazie vissute. Nella messa del pellegrino di quel giorno il Vangelo mi e ci dava ancora una volta un messaggio chiaro e preciso con un invito a seguirlo sempre con radicalità nella vita quotidiana. I testi delle letture del giorno e del Vangelo erano molto belli ed erano delle letture del giorno e non scelte appositamente: “Io sono la Via, la Verità e la Vita” e in spagnolo suonavano ancora meglio: “Yo soy el Camino, la Verdad y la Vida!! Davvero il caso non esiste….
Successivamente, ho deciso di passare da Muxia sulla punta della Galizia, posto stupendo e ancora vergine da un punto di vista turistico. Camminavo per altri 120 km in mezzo a boschi e verde stupendi ma anche con tanta pioggia che mi ha accompagnato fino alla fine così come ero arrivato a Santiago sotto una pioggia torrenziale. Finisterre è un paese oggi molto turistico alla punta estrema dell’Europa e della Galizia. Un luogo dove tanti pellegrini ma anche molti turisti visitano per vedere il luogo estremo dell’Europa e godere dei tramonti bellissimi verso le 10 di sera perché appunto all’estremo occidentale europeo il sole tramonta tardi. Qui i pellegrini di un tempo venivano a cercare le cape santa, cioe le conchiglie, che sono il simbolo del pellegrinaggio di Santiago. Un segno che erano veramente arrivati fino in fondo al pellegrinaggio e riportavano quasi come lasciapassare tornando verso le loro case. Anche io ho cercato le cape sante sulle bellissime spiagge di Finisterre e Muxia. Le ho trovate ma ciò che più mi premeva era portare alla fine di questo cammino a piedi per 1100 chilometri un segno e simbolo di un paese e popolo che ho servito negli ultimi 7 anni della mia vita, il Sud Sudan.
Al Faro costruito proprio sulla punta del promotorio che con le sue rocce che cadono a strapiombo proprio dentro l’Oceano, ci sono vari monumenti e uno di questi è un palo a forma di freccia che guarda verso l’alto. In varie lingue c’è scritto: “Che la Pace prevalga sulla terra”. Proprio qui l’ultimo giorno del mio pellegrinaggio a piedi ho deposto e la bandiera del Sud Sudan che avevo portato con me come simbolo del Popolo Sud Sudanese e che avevo offerto alla Madonna a Lourdes e a San Giacomo a Santiago e in tanti posti e chiese toccate durante il pellegrinaggio. Poi lo avrei fatto anche a Fatima perché non abbiamo tante Madonne ma una sola e unica Maria, nostra Mamma nella fede e nella vita. Di nuovo mi tornavano in mente le parole latine che avevo incontrato anche diverse volte nel cammino: ULTREYA E SUSEYA! Più avanti e più SU!
Proprio così, più avanti e più su guardando il Signore che può ciò che noi umani non riusciamo a fare anche con tutte le potenzialità e talenti che abbiamo. E quella punta di quel palo e i tanti segni lasciati attaccati ad esso dai pellegrini che erano venuti qui, mi mostravano ancora una volta quanto desiderio di Oltre c’è in ogni uomo, credente e non credente. In ognuno di noi c’è una profonda ricerca della Verità e della Pace vera! Quindi sono stato felice di offrire questa bandiera di un popolo crocifisso e sono certo che questo cammino lungo 1100 chilometri abbia avuto un senso se non agli occhi degli uomini ma a quelli di Dio. Ne sono certo perché Dio non vuole sacrifici ma gioia e desiderio di servire i fratelli e sorelle dovunque Lui ci mandi!
E in effetti, non lo sapevo ancora, ma proprio quel punto che credevo fosse davvero “la fine del mondo” di quel tempo e dell’Europa di oggi, sarebbe diventato invece un punto di ripartenza per la mia vita missionaria: ULTREYA Y SUSEYA! Avanti sempre avanti, e sempre più Su!! E infatti vi spiegherò poi questo …andare più avanti!!
L’esperienza di una settimana a Fatima, al servizio dei pellegrini anche qui da tutto il mondo è stata davvero edificante e intensa. Sono sceso da Santiago con il bus presso il Santuario di Fatima che visitavo per la prima volta. Un momento bello di spiritualità e incontro con tanti pellegrini e gruppi che venivano a pregare in questo posto molto silenzioso e che permette di vivere un tempo intenso di incontro con Dio e con se stessi.
Per tutta la settimana sono rimasto a disposizione dei pellegrini per le confessioni in inglese e italiano e qualche volta anche in spagnolo. Circa 6-7 ore al giorno nel confessionale e vi confesso che è stato davvero un tempo di Grazia. Ho ascoltato, ascoltato, ascoltato molto. Ho pregato e cercato di essere mediatore della Grazie e Misericordia del Padre in quel tempo che i pellegrini hanno voluto dedicare a questo delicato e importante sacramento della Riconciliazione. E ho trovato tanta docilità e desiderio di riconciliarsi veramente. Gente, giovani e adulti, anziani e gruppi. Alcuni che non si confessavano da 20-30 anni o condividere situazioni personali o famigliari davvero toccanti e difficili. Sentivo che aprivano il loro cuore in maniera molto sincera e vera senza mettersi maschere e paure. Ma che alla fine di questo tempo donato e abbondante per ciò che desideravano tirar fuori dal loro cuore e vita, uscivano dal confessionale con il sorriso e con gioia. Per me era un segno grande che il Signore gli voleva bene e anche a me donava questi sorrisi e conferme che ogni uomo nonostante tutto è buono dentro perché siamo davvero Creature di Dio!
Tempo di Grazia e di testimonianza di tante persone semplici e umili ma anche con le loro difficoltà che mi rappresentavano davvero l’Umanità ferita e bisognosa della grande Misericordia di Dio!
Dopo aver vissuto questo tempo di Grazia e di Perdono, sono partito per Lisbona per andare a trovare padre Joe Vieira, Comboniano, provinciale superiore del Portogallo che era con me nella missione di Juba per qualche anno. Andavo anche per visitare i confratelli della comunità dove mi sono trovato molto bene e goduto della bella città antica e nuova di Lisbona che vedevo per la prima volta. Ne vale la pena.
L’ultimo giorno della mia permanenza a Lisbona prima di ripartire, ho ricevuto la notizia che il Papa ha dovuto posporre il viaggio che era previsto per il Sud Sudan nel mese di Ottobre 2017. In quel momento sono diventato un po' triste perché avevo pregato molto per quel viaggio che so Papa Francesco vuole fare e vivere insieme alla gente ferita e sofferta del Sud Sudan. Motivi di sicurezza hanno fatto spostare questa visita ma sappiamo da fonti certe che Francesco vuole andarci presto se le condizioni lo permetteranno ma è fortemente nel suo cuore perché questo popolo è uno dei popoli più crocifissi della storia e del mondo da diverse decine d’anni! Il Signore ha i suoi tempi e sono certo che questo avverrà perché sarà un grande segno per la gente stessa che era delusa quando ha ricevuto questa notizia in mezzo a tante notizie negative di guerra, fame, malattie e tanto altro. Ma chi semina nel pianto, miete nella gioia dice il salmo. Quindi metto e mettiamo la nostra fiducia e speranza nel Signore che cambierà la tristezza in gioia piena!

IL FUTURO: UNA NUOVA MISSIONE ALL’ORIZZONTE…..
E dopo questo tempo di riposo di qualche mese, incontro con tante e varie realtà, certamente un tempo di grande Grazia e Rinnovamento, sono pronto a ripartire.
Tanti parenti, amici, confratelli, altri religiosi e parrocchiani mi hanno continuato a chiedere durante questi mesi, dove sarei andato dopo questo tempo sabbatico e soprattutto dopo il Camino de Santiago. Sapevo già che non sarei ritornato in Sud Sudan dopo il mio periodo di sei anni come superiore provinciale perché come Istituto abbiamo una giusta “regola” di rimanere fuori la tua provincia per qualche anno in rotazione per facilitare chi ci sostituisce a entrare in maniera libera e piena nel nuovo ministero che li aspetta senza nessuna influenza e presenza. Ma ritornerò in Africa prima o poi!
Prima della partenza dall’Italia per il Camino avevo ricevuto diverse proposte da parte della mia Direzione Generale Comboniana e anche dalla Provincia Italiana per vari servizi importanti quali gli immigrati, laici, giovani, animazione missionaria ecc. da vivere qui in Italia per qualche anno in rotazione dalla missione africana.
Ma il nostro Padre Generale e il suo consiglio avevano anche loro un paio di proposte tra Roma e gli Stati Uniti d’America.
Ho chiesto a tutti loro di aver pazienza, un po' di tempo per pregarci, meditarci sopra e chiedere consiglio al Signore, a Santiago e alla Madonna e a persone sagge. E così è stato. Mentre camminavo e meditavo e condividevo con tante persone durante il cammino, ho sentito che dovevo ancora una volta fidarmi pienamente del Signore e che qualsiasi destinazione mi avrebbero donato e offerto sarebbe comunque stata quella che il Signore ha già pensato per me da tempo.
Quando sono tornato in Italia, dopo qualche giorno sono andato a Roma alla Direzione Generale, per comunicare la mia totale disponibilità nel prossimo impegno missionario senza dare nessuna preferenza come avrei potuto invece indicare come Padre Tesfaye Tadesse, generale dei Comboniani, mi aveva detto sin dal mio ritorno dal Sud Sudan. Certo avevano dei loro desiderata ma mi lasciavano libero di discernere e scegliere. Ma ho sentito forte che era bene lasciar fare al Signore.
Così mi hanno assegnato alla provincia degli Stati Uniti d’America che certamente non era nei miei orizzonti di missione fino a poco tempo fa. Certo ci ero già stato nel 2014 per una quarantina di giorni direttamente dal Sud Sudan per fare delle giornate missionarie negli States e visto la bellezza e anche le grandi contraddizioni di questo paese che molti considerano il paese della democrazia e delle libertà ma che nasconde tanti volti e storie di persone povere e in continua decadenza sotto vari aspetti.
La Direzione Generale mi manda a Newark, una città dove c’è una parrocchia comboniana, vicino a New York per un lavoro molto delicato, complesso e difficile nonostante tutto. Con altri missionari di altre congregazioni residenti nella zona, continuare il lavoro portato avanti in questi anni da altri come VIVAT (nome dell’organizzazione missionaria) che opera all’interno dell’ONU, al palazzo di vetro delle Nazioni Unite.
Certo un lavoro che sembra così freddo e lontano dalla gente e dalla frontiera che ho sempre vissuto negli ultimi 20 anni della mia vita. Ma chi mi manda ha fiducia che questa esperienza accumulata e anche tanti anni di lavoro e conoscenza in Mani Tese tanti anni fa e questi anni di lavoro mi hanno portato a conoscere profondamente situazioni e meccanismi perversi che condannano miliardi di persone in Africa e in tutto il Sud del mondo. Un lavoro che vuole essere di advocacy o lobby, cercando di coinvolgere e informare e premere su temi e scelte e decisioni dei rappresentati all’ONU nelle loro deliberazioni nei confronti del mondo e soprattutto della gente più vulnerabile e povera dei continenti del Sud del mondo. Un simile lavoro mi è chiesto anche a nome dei Comboniani nell’organizzazione AFJN, Africa Faith and Justice network, a Washington che lavora esclusivamente per il continente Africano presso il Parlamento Americano insieme ad altre organizzazione della società civile americana. Gli States hanno grossi interessi in Africa e queste organizzazioni cercano di prevenire situazioni ed eventi negativi che possono incorre i popoli Africani cercando di proporre iniziative positive e di coinvolgimento nel rispetto della dignità umana e dei popoli che già portano enormi croci.
Certo un lavoro molto diverso da ciò che ho sempre fatto e vissuto a Korogocho e Sud Sudan. Ma che in effetti mi mostra come la missione è diventata a 360 gradi e che non possiamo più considerare pienamente missione solo il Sud del mondo ma anche realtà del Nord e istituzioni dove si decidono davvero le sorti, il presente e soprattutto il futuro di chi non può far sentire la propria voce calpestata e lontana da questi centri di potere politico ed economico.
Avrò anche tempo di incontrare tanta gente e comunque cercherà un impegno con la gente meno fortunata ed emarginata in un contesto di sperequazioni grandi che esistono negli States. I poveri, gli emarginati, i piccoli e tanta sofferenza esiste anche là e ci chiama ad ascoltare e soprattutto condividere dei sogni anche con loro aprendosi a ciò che sono le grida dei poveri di tutto questo mondo, vicini e lontano. È importante per me e per l’essere missionario e sacerdote vivere con le “pecore” e sentirne sempre il loro “odore” per poter crescere nella fede e nell’Amore di Dio e della gente. Lavorerò per la mia provincia americana anche per nel campo della Giustizia, Pace, Riconciliazione e Salvaguardia del Creato e potete capire come sia difficile oggi farlo con una amministrazione politica americana di Trump che va totalmente all’opposto di molti valori umani e di rispetto della vita, dei popoli e dell’ambiente. Sarà una bella e grande sfida da affrontare!
Stranamente quando sono arrivato a Finisterre, all’ultima tappa del mio Camino de Santiago, e scrutando oltre l’orizzonte di questa “fine della terra” al tempo del Medio Evo, non mi era mai balenata l’idea che avrei dovuto varcare i mari e andare esattamente oltre l’orizzonte di questo continente Europeo per incontrare un’altra terra e un altro continente: quello Americano. La mia nuova missione era là!
Quando dopo esser stato assegnato là, riflettendoci mi è venuto di sorridere perché davvero il destino sembra nelle nostre mani ma poi…..il Signore ha i suoi piani e tempi. E te li prepara nel tempo e al momento giusto ti fa assaporare un po' per volta cosa sarà il prossimo passo di vita e di missione futura. Non so come sarà e chi incontrerò. E come andrà veramente in un altro continente e totalmente diverso mondo, cultura, stile e modo di vita e pensare. Ma ci vado con fiducia e fede nel Signore perché so che Lui mi ha sempre aperto strade e posto sulla mia strada persone preziose e sante, capaci di orientarmi e testimoniarmi che Lui mi ama e ci ama. E continua ad amare questo mondo, questa Creazione che è stupenda e tutti i popoli hanno una parte della Sua immagine. Quindi…..andiamo e ascoltiamo…..poi si vedrà! Ma sempre con lo stesso spirito di pellegrino che ho vissuto in Africa e ovunque!
Io partirò il 18 Luglio per Madrid (Spagna) per due mesi di studio della lingua spagnola (castellano) perché in USA ci sono milioni di Latino americani e nelle varie Chiese e nella vita comune lo spagnolo è moltissimo usato. E poi mi servirà per il mio lavoro comunque. Poi tornerò in Italia alla fine di Settembre per presentare il libro che pubblicheremo fra poche settimane e farò un giro d’Italia per un mesetto facendo incontri e presentando il libro sul Sud Sudan che ho presentato in questa lettera. Spero magari di rivederci in qualche incontro organizzato per salutarci. Alla fine di Ottobre o inizi di Novembre partirò per gli USA.


NEL CUORE DELLA BESTIA…
Ora ti saluto con grande amore e calore. Ti ho raccontato molto di me e di tante cose scoperte in questi ultimi mesi. Son certo che mi porterai ancora una volta nella tua preghiera e amicizia e ricordo. Ti lascio come al solito i miei indirizzi e riferimenti nel nuovo continente. Magari ci si vedrà là! I primi sei mesi li vivrò a Washington con l’organizzazione AFJN che mi aiuterà ad introdurmi nel mondo americano sociale, politico, culturale ed economico e tanto altro. E soprattutto della vita sociale della gente comune e dei poveri e anche della Chiesa Americana. Poi ti scriverò di là come sarà iniziata la mia nuova missione nel “cuore della bestia” come dice il mio grande amico e confratello Alex Zanotelli. Ha pienamente ragione perché tante decisioni e strategie politiche e finanziarie per il mondo vengono decise e attuate proprio lì nel disumanizzare il mondo e i suoi stupendi popoli.
Quindi forza e coraggio! La missione continua per me ma anche per te…..non ti preoccupare! Lui ci darà la forza di lavorare e servire come Lui vuole!
Mungu akubariki (Dio ti benedica) e davvero che sia un MONDO DI AMANI (Pace vera)!

Padre Daniele Moschetti


Il mio nuovo indirizzo sarà:
P. DANIELE MOSCHETTI
Comboni Missionaries
St. Lucy Church - 118 7th Avenue
NEWARK, NJ 07104-1803 (USA)
tel. +1-973/803 4200 (telefono comunità)
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+39 345 8710005 numero italiano


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