Il Nicaragua continua a preoccupare il Papa perché il suo Presidente, Daniel Ortega, insiste nel mantenere un atteggiamento di sfida alla Chiesa cattolica dopo che una decina di giorni fa nel Paese centro-americano era stato condannato alla galera un vescovo, colpevole solo di aver difeso i diritti umani e il rispetto per l’opposizione politica.
Aveva detto Francesco, il 12 febbraio: “Le notizie che giungono dal Nicaragua mi hanno addolorato non poco e non posso qui non ricordare con preoccupazione il vescovo di Matagalpa, mons. Rolando Álvarez, a cui voglio tanto bene, condannato a ventisei anni di carcere, e anche le persone che sono state deportate negli Stati Uniti”. Ortega aveva così raggiunto, forse, il punto di non ritorno nel suo crescente e irriducibile contrasto con la Chiesa cattolica.
Quando, nel 1979, la rivoluzione guidata dal Movimento Sandinista rovesciò la dittatura dei Somoza, anche diversi esponenti cattolici appoggiarono la svolta che riportava la libertà nel Paese: tra essi, il monaco poeta Ernesto Cardenal che accettò di fare il ministro della cultura nel nuovo governo. Una scelta inammissibile per il Vaticano, tanto che nel marzo 1983, quando papa Wojtyla giunse all’aeroporto di Managua, sgridò pubblicamente il religioso.
Nel 1990 i Sandinisti hanno perso le elezioni; però nel 2006 Ortega tornò ad essere presidente del Paese, ed è stato poi rieletto. A partire soprattutto dal 2018, ha iniziato a fare una politica antipopolare, ed a stroncare con la violenza le proteste della gente. Anche Cardenal – che è poi morto nel 2020, pochi giorni dopo aver ricevuto da Francesco la cancellazione della “sospensione a divinis” che pesava su di lui dal 1983 – è intervenuto più volte, denunciando il presidente come un traditore della causa sandinista, e un infausto dittatore.
Denunce che non hanno piegato Ortega, il quale ha definito “terroriste” le iniziative di molti parroci che hanno ospitato nelle chiese persone che scappavano dalla polizia, o che erano rimaste ferite nelle manifestazioni anti-regime.
Per reazione il governo nicaraguense ha deciso una serie di misure contro le istituzioni cattoliche; ha costretto anche le Suore di Madre Teresa, sempre dedite ai poveri, a lasciare il Paese; e, un anno fa, ha obbligato perfino il nunzio a Managua, Waldemar Sommertag, ad andarsene: uno smacco per la diplomazia vaticana. Infine, adesso la Corte d’Appello di Managua, con il beneplacito di Ortega, senza prove evidenti ha condannato monsignor Álvarez per essere un “terrorista” che ha “cospirato per minare l’integrità nazionale”.
Lo scontro, dunque, è aspro. Francesco, in questi mesi, aveva sollecitato un dialogo per sanare i contrasti tra Stato e Chiesa a Managua. Ortega però ha calcato ancor più la mano, con una politica persecutoria verso il clero cattolico, e denigratoria contro il pontefice, affermando: “Il Vaticano è una perfetta dittatura, una perfetta tirannia. Chi elegge i cardinali? Chi elegge il papa?». Ironia amara, per nascondere la sua tirannia.
[L’Adige, 20-2-23]