Nel 2022 sono andati perduti 10,5 milioni quadrati di foresta: il livello più alto da 15 anni a questa parte.
L'Amazzonia in un anno ha perso l'equivalente di 3mila campi di calcio al giorno. L'immagine della distruzione del polmone verde del mondo viene fuori da un report dell'Istituto Amazon che dal 2008 si dedica alla conservazione della foresta pluviale, basato essenzialmente sulle immagini satellitari. Secondo l'organizzazione il 2022 è stato un anno record, il peggiore dal 2007, quanto a distruzione di chilometri quadrati di foresta, segnando peraltro un aumento per il quinto anno di fila. L’Amazzonia potrà riprendere il suo protagonismo contro la deforestazione e la distruzione del suo bioma dopo la vittoria elettorale di Ignazio Lula da Silva, il gia’ presidente del Brasile, adesso di nuovo in sella dopo una incandescente campagna elettorale contro Jair Messia Bolsonaro, responsabile della tragica situazione del Brasile e della polarizzazione ideologica di estrema destra golpista.
Il Brasile e il pianeta hanno bisogno di un’Amazzonia viva.
Nelle su parole Lula esprime: “Un albero in piedi vale più di tonnellate di legname estratto illegalmente da quelli che pensano nell’arricchimento facile, a costa della distruzione della vita sulla terra. Un fiume di acqua limpida vale più di tutto l’oro estratto dai letti dei fiumi a discapito del mercurio che uccide la fauna e la flora e mette a rischio la vita umana. A partire dall’anno trascorso ho lavorato e lavorerò sei mesi all’anno nell’Amazzonia brasiliana, Santarem, dove ero gia’ stato da giovane missionario del Pime, per collaborare nell’archidiocesi alla formazione teologica, filosofica, antropologica del clero, dei laici e dei futuri presbiteri locali. Non e’ l’Amazzonia che avevo conosciuto quasi venticinque anni fa quando sono stato ordinato diacono nello stato dell’Amapa’, a Laranjal do Jari, famosa favela fluviale dalle mille contraddizioni. Ho trovato dal punto di vista della conformazione fisica una foresta dissanguata dalle continue “queimadas” (incendi dolosi), inesorabili deforestazioni e manipolazioni del suolo per la coltivazione della soia che, secondo l’ex presidente populista Bolsonaro, avrebbero dovuto arricchire le popolazioni indigene locali. Dal punto di vista sociale ho trovato un popolo polarizzato nel conflitto tra quanti sostengono l’ideologia del capitalismo estrattivista violento e quanti, invece, vogliono giustamente difendere il bioma amazzonico secondo le indicazioni che ha dato il Sinodo di tre anni fa e papa Francesco con l’esortazione apostolica “Querida Amazonia” che propugna l’insegnamento dell’ecologia integrale già presente nell’enciclica Laudato Si (2015).
Come giustamente ha detto Raniero La Valle in un suo ultimo libro, Leviatani dov’è la vittoria? dove analizza la tragica situazione del conflitto russo-ucraino e propone la necessità di porre fine a questa guerra, il sistema economico sociale della globalizzazione escludente e’ diventato adesso un sistema di rapina estrattivista delle materie prime e appannaggio di élite sempre più ristrette e arrampicatrici. L’analisi del Sinodo e la relativa terapia di salvaguardia dell’Amazzonia erano corrette in quanto si metteva in luce la necessità che le popolazioni locali formate da popoli originari, caboclos e contadini ridiventassero i veri custodi della Pachamama come viene chiamata la terra madre presso i popoli andini. Ma le politiche portate avanti, prima con Lula e Roussef, poi con Bolsonaro non hanno posto limiti alla devastazione. Anzi, negli ultimi quattro anni del governo “ biocida e etnocida” bolsonarista sono state portate avanti campagne di vera e propria occupazione ed estrazione di ingenti territori abitati da garimpeiros che hanno inquinato le falde acquifere di molti affluenti del lussureggiante rio delle Amazzoni. La regione amazzonica è detentrice della più grande biodiversità con varie ricchezze vegetali, idrografiche, minerali, animali e umane che quando vengono inserite nelle attività economiche prendono forma predatoria, generando passivi di differenti magnitudini e difficilmente reversibili, oltre a provocare un enorme interesse geopolitico.
Davanti a questo scenario, come pensare all’Amazzonia con la sua enorme diversità in un progetto di sviluppo sostenibile, non solo nella sua dimensione economica, ma in tutte le altre dimensioni, anche quella geopolitica? Che ricchezze sono queste che si trasformano in avidità economica senza regole? Qual è il ruolo che deve giocare lo Stato come induttore, regolatore e ispettore? Come deve interagire lo Stato con gli attori coinvolti in modo attivo o passivo e quali sono gli strumenti che devono utilizzati per l’esercizio di questa funzione? Ci troviamo ad una svolta critica nella storia del Pianeta, in un momento in cui l'umanità deve scegliere il suo futuro. A mano a mano che il mondo diventa sempre più interdipendente e fragile, il futuro riserva allo stesso tempo grandi pericoli e grandi opportunità. Per progredire dobbiamo riconoscere che, pur tra tanta magnifica diversità di culture e di forme di vita, siamo un'unica famiglia umana e un'unica comunità terrestre con un destino comune.
Dobbiamo unirci per costruire una società globale sostenibile, fondata sul rispetto per la natura, sui diritti umani universali, sulla giustizia economica e sulla cultura della pace. Per questo fine è imperativo che noi, i popoli della Terra, dichiariamo la nostra responsabilità gli uni verso gli altri, verso la grande comunità della vita, e verso le generazioni future. L’Amazzonia è stata sempre considerata come una terra di conquista in primo luogo alla fine del XIX secolo con le opportunità che offriva “l’oro nero” della gomma e l’incentivazione del governo: 300 mila nordestini furono stimolati a migrare in questo bioma. Durante l’epoca di Getulio Vargas con la cosiddetta “marcia all’ovest”; in seguito, al tempo della dittatura, con il motto “integrare per non consegnare” il potere militare ed economico fomentò l’occupazione di tutta questa regione (l’inaugurazione della Transamazzonica avvenne nel 1972, stesso anno in cui si incontrarono i vescovi dell’Amazzonia a Santarem e in cui fu fondato il CIMI (Consiglio indigenista missionario). In tutte queste occasioni l’Amazzonia fu pensata dall’esterno per l’interno con grandi progetti faraonici di sviluppo insostenibile, tutti caratterizzati dal modello estrattivista predatorio: prelevare materie prime (lattice, legname, oro, minerali, petrolio, gas, acqua). Avevano bisogno di grandi infrastrutture per il trasporto dei prodotti e di mano d’opera a basso costo, molte volte letteralmente sacrificata per “esplorare” le regioni meno accessibili e, in seguito, cedere a prezzo di banana le terre a latifondisti “grileiros”(accaparratori di terre con la falsificazione dei contratti) o alle grandi imprese multinazionali. L’indotto della Cargill presente a Santarem dove lavoro o la Jari Celulosa, al confine tra lo stato del Parà e l’Amapa’ dove ho vissuto alcuni anni’, sono due grandi imprese a capitale straniero che ininterrottamente producono la prima soia da esportare al mercato cinese e la seconda cellulosa di eucalipti che dovrebbe produrre prodotti di carta ma che stanno impoverendo il suolo amazzonico rendendolo improduttivo. Posso dire, perché’ ho visto con i miei occhi visitando le comunità indigene dell’interno della foresta, che sono tre i grandi progetti in Amazzonia: estrattivismo di materie prime, monocolture e energia. I megaprogetti forse più emblematici sono quelli dell’estrazione del ferro a cielo aperto nel Carajas, Stato del Parà.
L’organizzazione per i diritti umani “Giustizia sulle rotaie si fa voce ormai da 15 anni di circa cento comunità colpite dal flusso dell’estrazione, trasporto e esportazione del minerale per mani della multinazionale Vale S.A. Tra i progetti di monocultura menzioniamo i grandi pascoli e l’allevamento di bestiame, la produzione della soia o eucalipto, etc. Quando diciamo che esiste anche un tipo di estrattivismo predatorio di acqua, ci riferiamo per esempio alla “ impronta idrica” della carne bovina (la quantità di acqua necessaria per ottenere un chilo di prodotto; nel caso della carne di bue , sono 15.400 litri per chilo!); allo stesso modo, il Brasile è competitivo nel mercato internazionale della soia perché esporta senza fiscalizzazione per l’enorme quantità di acqua necessaria per produrla, e per gli agrotossici sempre più pericolosi che sono utilizzati nelle sue coltivazioni.
Infine, ci sono enormi impatti ambientali provocati per la produzione di energia elettrica in Amazzonia. Il caso più emblematico, contro il quale sono stati istituiti più di venti processi giudiziari da parte del Ministero pubblico federale, è quello della centrale idroelettrica di Belo Monte, che gli abitanti militanti delle comunità di Altamira chiamano “Bel mostro”. C’è un’enorme sproporzione tra l’energia prodotta per questa centrale e l’irreparabile impatto ambientale contro le persone e la natura della regione, senza contare il disequilibro sociale provocato dall’arrivo di migliaia operai per la costruzione del mostro, poi abbandonati a loro stessi. Nel 2017 la città di Altamira è stata la più violenta del Brasile. Il Sinodo dell’Amazzonia che si e’ svolto a Roma alla presenza di papa Francesco, di molti vescovi, sacerdoti, teologi e rappresentanti di etnie indigene ha voluto rilanciare la proposta dell’ecologia integrale che papa Francesco aveva espresso nell’enciclica Laudato si: grido della terra, grido dei poveri, con i quattro sogni della Querida Amazonia, sogno ecologico, pastorale, sociale, culturale. Come ha detto il gesuita, padre Adelson Araujo dos Santos e professore di spiritualità all’Università gregoriana di Roma che ha partecipato al Sinodo: “Il Papa è stato ispirato nel guardare a questa regione del mondo, proprio oggi. E non ne aveva motivo, perché’ come argentino è più europeo che non amazzonico”. Padre Araujo, invece, proviene proprio da Manaus, il grande porto alla confluenza tra il Rio delle Amazzoni e il Rio Negro, dove anche il PIME lavora, conosce bene questa zona che ha visitato in lungo e in largo come superiore dei gesuiti ed ha partecipato al movimento da cui è nata la REPAM (rete panamazzonica) nel 2014 su indicazione dei vescovi dell’Amazzonia riuniti nella CEAMA (conferenza dei vescovi dell’Amazzonia). “La parola chiave è conversione”, dice. “Ci chiede un cambio di stile di vita sia personale che comunitario, dalle città fino agli stati, affinché la politica e lo sviluppo economico scongiurino la distruzione dell’ambiente. E ci indica “il buon vivere, sumak kawsay” (espressione tratta dalle popolazioni indigene quechua e aimara’ delle Ande boliviane) lo stile di vita delle popolazioni indigene, come esempio di rapporto armonico e di mutuo rispetto con la natura (anche io ho sperimentato questo stile alternativo nelle comunità indigene mixteche del Messico!). Lo indica soprattutto a noi, schiavi del bisogno di possedere, lo indica a noi che viviamo senza pensare al domani, come se le risorse fossero inesauribili”. Davanti all’ingiustizia non possiamo rimanere neutrali o indifferenti, è necessario scegliere, “bisogna indignarsi” come Mosè e Gesù (paragrafo 15 di Querida Amazonia), dice papa Francesco, oppure ci si abitua al male e se ne diventa complici”. L’ingiustizia assume in Amazzonia il volto di una nuova colonizzazione, con lo sfruttamento delle risorse minerarie e di legname, con violenze e sopraffazioni a discapito dei popoli originari e dei caboclos.
Come missionari al servizio delle Chiese locali cerchiamo di essere segni inequivocabili di giustizia e pace per queste popolazioni, assumendo i progetti delle commissioni diocesane e della Repam e camminando umilmente con tutti gli operatori pastorali e gli attivisti che hanno a cuore il futuro dell’Amazzonia. Personalmente ho fatto mio il progetto di formazione dei giovani della PJ (la pastorale dei giovani) perché’ sono convinto che il presente e il futuro del mondo dipenda da loro se diventano i protagonisti del cambiamento. Tra le sfide pastorali poste dal vastissimo bacino amazzonico vi sono le distanze e la difficoltà di raggiungere alcune zone della foresta. La proposta dei “viri probati” avanzata dal Sinodo non e’ stata ripresa da papa Francesco, che ha invece invitato i vescovi locali ad essere più generosi nell’invio di missionari (n.90) e nell’istituzioni di ministri laici e diaconi permanenti. I viri probati rappresenterebbero una soluzione solo per l’1-2% delle nostre comunità, quelle in zone più remote. Ma ormai la popolazione amazzonica si accentra intorno alle città e alle sue periferie dove si coagulano le molte contraddizioni di una globalizzazione escludente. Ho potuto constatare come nella periferia nord di Santarem, dove collaboro nell’evangelizzazione inculturata e liberatrice, si addensano migliaia di contadini provenienti dall’interno del fiume Tapajos costretti a vivere nelle famose “invasoes” senza servizi igienici essenziali e senza scuole di qualità.
Per questo motivo papa Francesco ha coniato la frase “tutto si tiene” per dire che la questione ecologica non è un lusso per sognatori, ma è intimamente vincolata all’ecologia umana e al destino di milioni di esseri umani. Il Brasile riparte con l’insediamento del presidente Lula da Silva. I suoi sostenitori in tutto il paese sono espressione di una nuova speranza per il Brasile dopo quattro anni di governo disastroso sotto il suo predecessore di estrema destra, Jair Bolsonaro, fuggito in Florida alla vigilia dell’insediamento di Lula. Bolsonaro si è lasciato alle spalle una massa di facinorosi che hanno preso d’assalto le sedi delle istituzioni prima di venire arrestati in gran numero dalla polizia. E’ una strategia che non fermerà Lula, ne’ avrà impatto a lungo termine negli Stati Uniti, dove manovre del genere da parte di Donald Trump il 6 gennaio 2021, sono state bloccate. In entrambi i casi, politici demagoghi hanno usato i social media per aizzare la folla, che in entrambi i casi, e’ stata sedata in giornata.
Nel mondo multipolare in cui siamo entrati, il Brasile sarà centrale nella lotta per l’ambiente e nelle nuove tecnologie e ogni regione ha problemi propri e un proprio ruolo nella politica globale. Nessun Paese e nessuna regione possono più determinare, da soli, il destino degli altri. Uno dei motivi per cui il ritorno di Lula alla presidenza riveste tanta importanza è che il Brasile sarà un territorio chiave a livello regionale e globale nei prossimi anni (il prossimo incontro della COP sarà in Amazzonia nel 2025) e nel 2024 la presidenza del G20 andrà al Brasile nell’ambito di un quadriennio in cui saranno le principali economie emergenti a rivestirla. Come ha detto il noto economista Jeffrey D. Sachs: “Il Brasile è l’epicentro della sfida ambientale. È possibile salvare l’Amazzonia, che costituisce la metà delle foreste pluviali del mondo? …Il Brasile e’ anche un epicentro della disuguaglianza, frutto dell’imperialismo europeo, che ha soppresso le popolazioni indigene e ridotto in schiavitù milioni di africani. I loro discendenti continuano a pagarne il prezzo. La giustizia sociale è la missione di Lula e la nostra missione globale, dopo secoli di ingiustizia razziale e sociale”. Questo non è il tempo della rassegnazione e del cinismo, ma del sogno condiviso con milioni di persone che vogliono costruire un mondo di giustizia e pace. La guerra e la violenza non possono essere l’ultima parola, “impariamo a fare il bene, ricerchiamo la giustizia” (Is 1,17) e con un senso di grande responsabilità prepariamo un mondo più umano e giusto per le generazioni future.
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