Il vortice crudele e brutale che è la guerra in Ucraina, di cui il 24 febbraio segna il primo triste anniversario, non mostra spiragli di possibilità di interruzione.

Fin dall’inizio, quando questa distruttiva valanga si è messa in moto, tante voci della società civile si sono levate per fermarla, per portare alla ragionevolezza, per invocare accordi internazionali. Anche la mia piccola voce, attraverso questo quotidiano, chiedeva di proporre un’autonomia ancorata a livello Onu, per le zone contese, chiedeva che anche il nostro governo locale potesse dire: “Un’altra via è possibile, a noi è stato possibile!” Nei primi giorni si diceva che ogni giorno in più era insopportabile. Col tempo c’è stata invece una quasi incredibile assuefazione: le cronache di guerra, le poche drammatiche immagini che ci arrivano parlano di orrori che si possono in minima parte vedere, ma in gran parte intuire, della disperazione della popolazione, di una distruzione così vasta e profonda di un ampio territorio, nelle sue infrastrutture, nella sua possibilità di ipotizzare ancora lì una vita, che mi sembra ipocrita e assurdo parlare di ricostruzione. E via via si è sempre più parlato di vittoria e non di pace o di cessazione immediata delle ostilità da ambo le parti. Era chiaro fin dall’inizio che lo scontro era ed è tra le grandi potenze, sulla pelle di un popolo martoriato. Illuso, questo popolo, di essere difeso, mentre i suoi governanti non fanno che chiedere: armi, armi. E l’Europa, succube dei poteri forti, a sostenere l’illusione che con un sempre maggiore impegno militare se ne uscirà. L’Europa che tradisce le sue origini di pace, dopo l’ultima guerra mondiale, e rinuncia alla sua possibilità di un’ampia intermediazione per una soluzione diplomatica del conflitto. Una grande e feroce guerra per procura, che si basa sulla menzogna, come tutte le guerre, per ottenere il consenso della popolazione. La società civile anche in Italia, sta preparando manifestazioni in molte città, Bolzano compresa, che vedono unite trasversalmente molte associazioni, in occasione dell’anniversario. Non mancano proposte di soluzioni diplomatiche con precisi punti ,e insieme la testimonianza di chi si è prodigato in questi mesi per assistere concretamente la popolazione sul posto, in ripetuti viaggi, in luoghi pericolosi ed esposti, cercando contatti con gli obiettori alla guerra dell’una e dell’altra parte, come circa 4 mesi fa riferiva ai presenti, nella chiesa bolzanina di Tresanti il vescovo mons. Giovanni Ricchiuti, presidente di Pax Christi Italia. Il 24 febbraio ricorre anche l’anniversario di Josef Mayr Nusser, morto di stenti nel vagone ferroviario in Germania che lo trasportava a Dachau per la condanna a morte, dato il suo rifiuto di giurare fedeltà a Hitler, quindi di aderire al sistema nazista. E’ stato riconosciuto beato dalla Chiesa solo da pochi anni. Molti avranno pensato e tuttora pensano: a che cosa serve un gesto di dissenso? Ma se ci fermiamo a questo, ci chiudiamo davvero alle possibilità umane di cambiamento. Anche oggi il nostro dissenso alla violenza per contrastare violenza, alla guerra in ogni sua espressione, all’invio di armi, al riarmo del nostro Paese, all’investimento in questi strumenti di morte di risorse necessarie urgentemente alla salute, alla vita sociale delle popolazioni, e’ un modo per contrastare un delitto che passa sotto altri nomi. La luce che emana dal beato Josef Mayr Nusser sia di incoraggiamento per noi oggi.

 


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