La festa del “Corpus Domini”, celebrata ieri, non ha più (salvo eccezioni) la solennità e la partecipazione popolare di una volta – diciamo fino a mezzo secolo fa – e tuttavia essa rimane un momento capitale per verificare, almeno in modo empirico, se le persone che si dicono cristiane sanno la responsabilità che si assumono dando pubblicamente testimonianza della loro fede nell’Eucaristia.
Narrano le antiche cronache che un presbìtero boemo, tale Pietro, nel 1263 pellegrino verso Roma, si fermò a Bolsena, nell’Alto Lazio, per celebrar messa. Egli però aveva molti dubbi sulla misteriosa “presenza” di Cristo nell’ostia: e, quando, esitante la consacrò e la elevò, ecco che essa – raccontò poi – si intrise di sangue, e alcune gocce caddero sul corporale (la piccola tovaglia sulla quale il calice è posto). La voce di quello che la gente considerò un prodigio giunse a papa Urbano IV, che allora si trovava nella vicina Orvieto. E, per ricordare la vicenda, egli stabilì che la festa del Corpus Domini, che già si celebrava in Belgio, diventasse da allora in poi obbligatoria in tutta la Chiesa. E trent’anni dopo si iniziò la costruzione del meraviglioso duomo di Orvieto che custodisce quel corporale.
La celebrazione servì a rafforzare nella gente la convinzione che nell’Eucaristia – presieduta da un sacerdote – avvenisse la “transustanziazione”: e cioè, che tutta la sostanza del pane e del vino consacrati si trasformasse nella sostanza del corpo e del sangue di Cristo. Nel 1551 il dogma della “transustanziazione” fu ribadito dal Concilio di Trento. Ma i “padri” della Riforma protestante – il tedesco Martin Lutero, il francese Giovanni Calvino, e lo svizzero Hulrich Zwingli – negarono il dogma cattolico e diedero ciascuno una diversa spiegazione di quel mistero; però non si accordarono tra loro. Dopo secoli di divisione su quel punto, sarà solo nel 1973 che Luterani e Riformati si riconosceranno anche nei rispettivi ministeri, pur mantenendo ogni Chiesa la sua propria spiegazione sulla misteriosa “presenza” di Cristo nel pane e nel vino eucaristici.
“Fede e costituzione” – la commissione del Consiglio ecumenico delle Chiese che esamina i problemi teologici, proponendo le sue conclusioni alle 349 Chiese aderenti (tra essa non vi è la cattolica romana) – nel suo documento su Battesimo, Eucaristia, Ministeri, pubblicato a Lima, in Perù, nel 1982, affermava: tutte le Chiese riconoscono che nell’Eucaristia Cristo è veramente presente, perché Lui lo ha detto (“Questo è il mio corpo”); ma aggiungeva: il Signore non ha spiegato il “come” lo sia; dunque, nessuna Confessione può imporre la sua spiegazione alle altre.
Divise sulla spiegazione del “come”, le Chiese sono però concordi nel ricordare che l’apostolo Paolo affermava: mangia e beve la sua condanna chi celebra indegnamente la “Cena del Signore”. Cioè: chi si accontenta di un rito vuoto, ma non dedica la sua vita agli altri, e soprattutto ai più emarginati. Un principio valido da duemila anni; ma dimenticato da molti fedeli.
L'articolo è stato pubblicato in "L’Adige", 12-6-23