Silenzio assoluto del Papa sul drammatico giorno di sabato a Mosca, mentre, al contrario, il patriarca Kirill, alle ore 12,47 di quel giorno, quando l’esito del “golpe” era ancora assai incerto, ha fatto un appello di esplicito sostegno al presidente Vladimir Putin e di condanna dei rivoltosi. Due atteggiamenti assai diversi, che spingono a esaminare più da vicino la scena.

Il 24 giugno silenzio “assordante” delle fonti ufficiali vaticane. E ieri? Francesco ancora una volta, all'Angelus, ha implorato Dio di concedere il dono della pace “al martoriato popolo ucraino”, senza dire una parola sulle recentissime vicende russe. Un segnale per mostrare che il Vaticano non voleva ergersi a giudice delle travagliate vicende che hanno turbato Mosca.
Al contrario, sabato il capo della Chiesa russa non ha voluto sottrarsi dal “prendere parte” tra il capo del Cremlino ed Evgheny Prigozhin, il capo dei mercenari della brigata Wagner che la mattina di quel giorno si era pronunciato, da Rostov sul Don, contro il presidente, minacciando di marciare con venticinque mila soldati sulla capitale russa. Il gruppo ha lasciato la città e si è diretto verso nord, senza trovare nessuna opposizione. Ma quando, in serata, era a duecento chilometri da Mosca, si è fermato. “Non voglio spargere sangue russo”, ha detto il “capo”, che avrebbe accettato la mediazione del presidente bielorusso Aljaksandar Lukashenka.
Aveva detto, il patriarca: “Oggi, i nemici cercano con tutte le forze di distruggere la Russia” ma, sottolineava, “ogni tentativo di diffondere la zizzania all’interno del Paese è un grandissimo delitto, che non ha alcuna giustificazione. Come capo della Chiesa ortodossa russa sollecito a cambiare idea quanti, presa in mano un’arma, sono pronti a puntarla contro i loro compagni”. E quindi: “Sostengo gli sforzi del Capo del governo russo miranti a non permettere rivolte nel nostro Paese”. Quindi, invitava i credenti a pregare “perché Dio conceda pace e unità alla patria”; per concludere: “Il Signore custodisca la Russia, il popolo e il suo esercito”.
Questa presa di posizione di Kirill è della massima importanza; ed essa – si noti – è giunta quando non si poteva affatto prevedere l’esito della rivolta. Dunque il patriarca, correndo un rischio, ha difeso a viso aperto il presidente russo: ed ha onorato, e rafforzato, la saldatura tra i vertici dell’Ortodossia russa e il Cremlino. E finché Putin mantiene il potere (ma, dopo il fallimento – almeno per ora – della “Operazione militare speciale” in Ucraina, non è detto che vi rimanga stabile per molto tempo) quella “sacra alleanza” rimane un punto fermo. Quasi una stella polare sia per il patriarcato che per il presidente. È un dato di fatto con il quale, volente o nolente, deve fare i conti il Vaticano; e il cardinale Matteo Zuppi, semmai egli, come messaggero di buona volontà per conto di Bergoglio, voglia recarsi prossimamente a Mosca, dopo essere già stato, all’inizio di giugno, a Kiev. Ma Putin e Kirill vorranno ancora riceverlo?
[L’Adige 26-6-23]


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