Sandro Bellassai, L'invenzione della virilità, Carocci editore, 2011
Una citazione dai primi capitoli del libro di Sandro Bellassai - bel libro, importante per capire l'oggi - mi è sembrata aprire un particolare punto di vista: riportando il parere di un giornale del ventennio si diceva come i giovani dovessero imparassero a "parlare fascista con la stessa naturalezza con cui parlano la lingua materna".

La coppia di opposti "fascista/materna", come termini distanti, ma che si vuole diventino contigui dice molto sul punto di vista "virile", così come è stato costruito nell'immaginario maschile italiano fin dall'800. Reciprocità zero. Dice qualcosa anche sul tentativo ancora "nostro" di insegnare solo l'italiano ai migranti, senza imparare nulla delle loro lingue madri, ad esempio. Come tra "maschi" e "donne", così tra "noi" e "loro". È l'eterno ritorno del colonialismo culturale, che ha le sue basi anche in una visione di genere. L'excursus documentatissimo e anche spesso piacevolissimo di Bellassai sul virilismo come termine fondante l'ideologia politica fascista nella sua gerarchizzazione dei ruoli, lo coniuga con il moderno ingresso delle masse (femmine) nell'agone politico, come insieme eterodiretto (il libro cita spesso Mosse). L'analisi mi ha particolarmente intrigata vista la mia tesi di laurea sull'organizzazione del consenso al regime fascista attraverso la gestione del tempo libero delle masse e l'attenzione che porto alle analisi di genere.
Il nostro autore chiarisce bene il nesso tra virilismo e violenza: dal colonialismo alle guerre di conquista imperialistiche, ricercando sempre all'interno dei fatti le dinamiche di genere, ecco sovrapporsi il rito di passaggio dall'infanzia alla virilità con l'aggressione squadrista degli avversari e la sottomissione delle donne dei Paesi conquistati, due volte inferiori. La "tradizione guerriera della nostra razza” si sposava allora con la rigenerazione della virilità perduta a causa della modernità e si definiva come principio "astorico" di origine superiore, non soggetto a verifica.
Nel fascismo l'esaltazione della famiglia patriarcale mezzadrile difendeva dalla promiscuità fra i sessi, dall'esigenza di emancipazione delle donne (e dalla denatalità). La città e l'urbanizzazione apparivano come fattori impedenti la mascolinità, da cui i miti dell'avventura, del contatto con la natura (Tarzan), oppure del ruralismo. Fin qui la bella analisi storica che ci dà le coordinate per venire ad oggi.
L'autore descrive il cambiamento sopravvenuto nella società italiana con le lotte degli anni Settanta: anche le donne hanno iniziato a prendere coscienza di sé e a difendersi dalla prevaricazione maschile. Anche il corpo maschile, come quello femminile, è divenuto "oggetto" della fabbrica dei consumi, portando con sé l'ossessione della fitness o quella salutistica. Potere e virilismo però restano la coppia vincente nell'immaginario maschile contemporaneo italiano.
La paura maschile della libertà femminile resta. Il "funerale" del virilismo non è stato ancora celebrato e il lutto per la perdita della supremazia maschile non è stato ancora elaborato. Anzi le angosce maschili restano fondante orizzonte di senso attorno a cui aggregare politicamente le masse (vedi gli slogan della lega lombarda). L'ossessione dei Lumbard per le fiere delle armi a cui presenziano sempre è indicativa. È ancora "la tradizione guerriera della nostra razza" con il corredo di profitti enormi che porta.
La pubblicità esalta la super-woman nei suoi attributi (genitalizzati) femminili come "protesi erotica" maschile. Lì in basso le donne sono relegate. Il film "Il corpo delle donne" rivela la spudorata misoginia della televisione italiana, minimizzata dagli intellettuali organici al consensus, non percepita come violazione dei diritti umani (femminili) da parte della cultura dei media e di massa. La potente pedagogia di una pessima maestra televisione ha sottoposto anche bambine/i a prodotti culturali carichi di stereotipi di genere. Ma, nei tempi che cambiano, gli stessi uomini si ribellano a questo obbligo al ruolo del padrone: il re è nudo, ma per quanto nudo è ancora re. Può essere un re autoritario, repressivo, contiguo alla criminalità organizzata, un sultano che se la fa con le minorenni, "malato"... però fa sognare gli uomini italiani (9 milioni le prestazioni sessuali richieste dagli italiani a prostitute, anche bambine).
La dimensione "virtuale" della mascolinità trionfa sul reale: il virilismo non è vero, ma vince...
Forse perché è troppo diffusa la convinzione che altra scelta non ci sia, che così va il mondo. E dal sonno del pensiero ipotetico non nascono altro che mostri di autoritarismo. Ringraziamo Sandro Bellassai per il suo lavoro che ci impegna a immaginare e praticare rapporti di genere "diversi".