Sono trascorsi troppo rapidamente i giorni del primo incontro ecumenico dei giovani promosso dal Segretariato Attività Ecumeniche presso il Convento di San Francesco della Vigna a Venezia. Questo tempo insieme è stato una bella opportunità per tutti e per tutte di fare esperienza di vita ecumenica.
Ci siamo confrontati sul testo della Torre di Babele (Gen 11) in un’ottica leggermente diversa dalle interpretazioni più scontate, non considerando la dispersione dei popoli come un castigo di Dio per la loro hybris ma come un dono che ha reso gli esseri umani in grado di confrontarsi con una pluralità di esperienze e di espandersi in tutto il mondo. Avvicinarci alle realtà delle nostre diverse confessioni è stato un modo arricchente per vedere, con lenti nuove, una comune prospettiva dell’essere tutti cristiani.
La società ci porta a essere molto vicini all’esperienza di Babele: spesso anche noi non riusciamo a trovare dei canali di comunicazione con l’altro perché ci sembra di utilizzare lingue differenti. Ma forse il problema del linguaggio è secondario se alla base non c’è lo sforzo dell’ascolto.
In questo week-end noi membri dell’organizzazione abbiamo voluto trasmettere proprio questo: il dialogo non è possibile senza la volontà di ascoltare le ragioni dell’altro e di accoglierle senza pregiudizi. Questo significa, tra l’altro, condividere l’esperienza dell’ascolto attivo, perché, come dice Marinella Sclavi, «un buon ascoltatore è un esploratore di mondi possibili» la cui ricchezza si può apprezzare e accrescere solo con un ascolto attento e libero.
Nel nostro incontro abbiamo cercato di trasmettere l’importanza di queste buone pratiche già fin dal momento dell’accoglienza dei partecipanti anche attraverso attività ludiche. Hanno condiviso con noi questo momento Antonella Bullo, membro del gruppo Sae di Venezia, che ha presentato l’associazione ai nuovi partecipanti, e Francesca Vingiani, nipote della fondatrice Maria Vingiani, che ci ha descritto un lato meno conosciuto e familiare della cara zia.
Le attività ci hanno permesso di approfondire la conoscenza reciproca e di porci nel giusto spirito per affrontare al meglio l’intera esperienza. Ci siamo riconosciuti come una comunità volenterosa nell’impegnarsi a convivere nel modo migliore possibile. Così come la Torre di Babele è stata distrutta e ha creato lingue diverse, ora noi, con lingue diverse, e grazie a esse, vogliamo provare a impiegare queste diversità a nostro vantaggio, per costruire qualcosa di grande insieme.
In quest’ottica abbiamo redatto insieme e ci siamo impegnati a vivere il nostro “patto di comunità”, costellato di buone pratiche come il rispetto dei tempi, degli spazi, dei turni di parola e la sospensione del giudizio.
Le attività del sabato, concluse con la preghiera ecumenica nella Chiesa valdese, si sono concentrate sul testo della Torre di Babele, che è stata smontata e ricostruita - a parole e con l’argilla - in modalità sempre diverse in linea con le regole e con gli obiettivi che ci eravamo dati.
I partecipanti hanno così avuto la possibilità di discutere, con metodologie forse un po’ insolite ma apprezzate, sui temi della diversità, della pluralità e della scoperta dell’altro. Ci ha guidati in questo processo don Marco Campedelli che ci ha presentato una sua personale interpretazione dell’episodio biblico concentrandosi soprattutto sui temi del linguaggio e della marginalità.
Domenica mattina abbiamo riflettuto su come vorremmo che fosse la nostra città ideale. Prendendo a spunto brani di Italo Calvino, Arthur C. Clarke e Adriano Olivetti, i partecipanti hanno potuto descrivere nel dettaglio il loro comune ideale di città, trasmettendo una ricchezza di contenuti e una profondità di pensieri che ha portato la discussione su tematiche pregne di significato.
Questo tempo trascorso insieme ci ha fatto capire come lo spirito ecumenico possa essere posto a fondamento nella costruzione di una città ideale a cui contribuire con i nostri talenti e peculiarità.