Nella nostra casa il tempo del Natale è vissuto con grande entusiasmo, con uno stagliarsi di tradizioni affiancate a elementi innovativi: un alternarsi di ninnoli logori ma dal valore affettivo inestimabile, di lucine abbaglianti, di musichette gioiose.

Si comincia proprio dal presepe perché richiede un approccio ingegneristico alla sua realizzazione. Il componente più bizzarro della nostra famiglia, la prima settimana di novembre ci comunica il suo cronoprogramma per l’allestimento natalizio.

Guai se non lo si rispetta! Lui, dal pensiero autistico, organizza il tutto nei minimi dettagli. Anima ciascun personaggio intessendo una trama tutta sua; posiziona per primo il bambinello nella mangiatoia affiancato da Maria e Giuseppe e dà inizio al suo spettacolo. Seguono il bue e l’asinello per riscaldare sin da subito l’ambiente, il panettiere, adiacente alla grotta che inforna e offre un pasto caldo ai visitatori, la mungitrice per garantire latte fresco, lo zampognaro per allietare l’atmosfera, le papere e le galline starnazzanti prossime alla culla. Può apparire uno stravagante modo di giocare, di manifestare le proprie emozioni attraverso i personaggi francescani; eppure, se ci si ferma un attimo in più a riflettere, non si può non pensare a quanto abbiamo dimenticato cosa significhi davvero essere persona. Ci imbattiamo in diverse tipologie di testi, nelle più disparate teorie, perdendo di vista la singolarità che noi esseri appartenenti alla specie umana possediamo. Una singolarità che va espressa nella genuinità dei nostri gesti, nella ricchezza che l’animo può accumulare, nelle imprese che ciascuno, secondo le proprie possibilità, rende eroiche.

Nostro figlio che, senza filtri sociali, bada alla sostanza piuttosto che alla forma, evoca momenti di vita quotidiana sottolineando come per vivere bene siano sufficienti la presenza e il sostegno della famiglia, del cibo caldo e dolce, della musica che accompagni e delle voci forse stonate, stridenti, fuori dal coro che per lui rappresentano il suo concetto di normalità.

Quante volte abbiamo pensato al disturbo che quelle voci potessero arrecare a noi soggetti “normotipici” nei rituali che si perpetuano ogni giorno? Quante volte nei giochi della vita le persone diversamente abili non hanno avuta parti o hanno ricevuto rifiuti, allontanamenti, ruoli poco visibili perché “guastavano” l’insieme? San Francesco a Greccio, nel lontano 1.223 allestiva, con l’aiuto dell’intero paese che contribuiva come poteva, un villaggio nel quale includeva tutti: nessuno escluso.

Credo che la genialità di San Francesco sia stata nel riconoscere ad ogni personaggio del presepe la dignità che ogni persona merita, celebrando il Natale e la luce che su ogni volto deve risplendere con pari bellezza.

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