Ricordare Gianni significa rievocare prima di tutto la sua creatura: il Cipax

La storia quarantennale del Cipax è contenuta, oltre che nella memoria di tanti che l’hanno vissuta con Lui, in tanti scritti e immagini, che egli con estrema cura ha catalogato e archiviato. Desidero solo ritornare all’origine per riuscire a spiegare la sua denominazione, che in certo senso ha segnato la particolare e profetica vocazione di Gianni alla pace. Mi diceva che forse gli era spuntata fin da bambino come una spontanea e positiva reazione alla guerra, sofferta nella paura ai bombardamenti su Roma e Frascati del 1943/4, subiti con la sua numerosa famiglia, che lo custodiva amorevolmente con cristiana e francescana premura. Sempre cara gli fu la preghiera c.d. di Francesco che inizia con quel versetto: “Fa di me uno strumento della tua Pace”, che si può dire racchiude il senso della sua vita. E lui si sentì e operò sempre come un umile, servizievole, ma indispensabile strumento, Certo la sua aspirazione alla pace iniziò a rafforzarsi alla fine degli anni ’60 grazie agli studi teologici compiuti nella vita religiosa, che gli mostravano come la pace vada considerata il fondamentale messaggio evangelico del Regno di Gesù Cristo, nostra pace; ma anche grazie alla frequentazione dell’università di Trento, pervasa in quegli anni dalle grida delle rivolte studentesche contro la guerra in Vietnam, ma anche contro le repressioni dell’Urss.
Il nuovo clima culturale lo indusse ad allontanarsi da pratiche ecclesiastiche, da una vita religiosa asfittica, incapace ormai di nutrire la sua spiritualità. Ed ecco che tornato a Roma, scoprì la comunità dell’abate Franzoni, dalla quale non si staccò più. E don Giovanni, che già nel 1972 predicava dalla cattedra di san Paolo contro la guerra, in difesa dell’obiezione di coscienza al servizio militare sulla scia di Mazzolari, Milani, Balducci, mentre scriveva al Presidente della Repubblica perché fosse soppressa la parata militare, divenne il suo grande fraterno amico. E insieme trovò una comunità di fratelli e sorelle che con la guida di Giovanni cercavano nuove vie per vivere nel mondo un’esistenza umana e cristiana più vera e povera, più sana ed evangelica. Partecipò sempre a tutte le iniziative della comunità, ai diversi gruppi, in particolare a quello biblico e a quello di preparazione all’eucarestia, che ormai veniva celebrata dall’intera comunità e in seguito presieduta dalle donne, con lui sempre discreto accanto alla mensa della cena del Signore invocando lo Spirito di Dio.
Non passano 10 anni ed ecco un nuovo balzo. Aveva lavorato con passione alla nascita e alla diffusione del settimanale Com- girò l’Italia per farlo conoscere- divenuto poi grazie all’unione con quello protestante Com-Nuovi Tempi. Ciò gli permise di apprezzare l’attività di pace del Consiglio Ecumenico delle Chiese, quasi sconosciuta dalla Chiesa cattolica. Divenne per così dire il ministro degli esteri di CNT, viaggiando prima in Germania, ma poi in America Latina dove scoprì le lotte e la teologia di liberazione delle comunità di base, ma anche negli Stati Uniti dove frequentò gli ambienti pacifisti, protagonisti della lotta per il disarmo, soprattutto quello nucleare. Da qui la sua determinazione di divulgare e di diffondere la conoscenza di quanto di nuovo in ambito cristiano stava maturando nel mondo della pace, certo in primo luogo nella comunità, ma perché attraverso essa servisse come missione profetica per la Chiesa e la società italiana, ormai povera di impulsi creativi, stretta dal moderatismo conservatore. Bisognava tentare nuove strade. E non bastava più neppure Pax Christi, seppur guidata con profezia dall’impareggiabile Presidente mons, Bettazzi, perché costretta all’obbedienza di una miope, paurosa Conferenza Episcopale Italiana, retta dal ferreo tradizionalista card. Ruini.
Un giorno, sapendo quanto mi stava a cuore la cultura della pace e della nonviolenza, mi chiamò proponendomi di collaborare al progetto di istituire un Centro per la Pace. Ne fui entusiasta, anche perché il termine di Centro era quello preferito dal mio amato Capitini, il fondatore laico-religioso del Movimento Nonviolento, che voleva che ogni persona diventasse centro, nel duplice senso centripeto e centrifugo, cioè si accentrasse ricevendo da tutta la circonferenza e operasse verso essa. Ed ecco, anche raccogliendo tale impulso interculturale si decise di chiamarlo Interconfessionale, e non solo interreligioso, perché la confessione rimanda alla fede, che è l’anima delle religioni, ma può essere anche laica, impulso amorevole di ogni persona, che mira al bene proprio e di tutti. Ecco che dovevamo aprirci al mondo non solo cristiano, ma in prospettiva tendere a quello mussulmano ed ebraico e anche non credente.
Pregare e operare per la pace divenne il fine e il modo di vita del Centro Interconfessionale della Pace. Ebbero così inizio da una parte le preghiere mensili al centro di Roma nella chiesa di San Marco a piazza Venezia, (poi anche a san Marcello al Corso e ai SS. Apostoli) grazie all’aiuto di mons. Luigi di Liegro, che ci difendeva dai fulmini della curia retrograda, dove erano chiamati/e a dare la loro testimonianza di pace religiosi e laici, uomini e donne protestanti e di altre religioni. Le assemblee venivano animate da cori e canti, spesso latino-americani e da danze coinvolgenti. La pace dà gioia: da allora il saluto di Gianni divenne: “Pace e gioia”. Sono così quaranta anni che a Roma si è pregato per la pace ed esiste una ricca documentazione in merito. Impossibile ricordare tutte le veglie, ma non va dimenticato che moltissime e molto partecipate dai cristiani critici, furono quelle in ricordo di mons. Romero. In particolare ricordo quelle con le testimonianze di tre statunitensi e di un argentino. Gianni una volta invitò l’arcivescovo di Milwaukee, ispiratore di una famosa e controversa (dal Vaticano e dal Pentagono) lettera dei vescovi sulla pace. Quando lo salutammo egli ci confessò che altri in America erano i profeti della pace, quali i religiosi, come il francescano P. Louis Vitale e le religiose per esempio benedettine, che andavano nella baia di Pearl Harbor a prendere a martellate i sommergibili atomici. Così Gianni qualche mese dopo chiamò P. Vitale, che dette la sua testimonianza di vero martire, più volte imprigionato per le sue proteste e manifestazioni contro la guerra. Ma lui ci rivelò che la sua dedizione e determinazione pacifista gli derivava da una donna. E questa altra non era che la francescana suor Rosemary Lynch, venuta a Roma a pregare con noi e divenuta poi una grande amica di Gianni. Da lei ricevemmo il dono della sua fede pacifista che il Cipax raccolse nel saggio: Il deserto fiorirà, quel deserto che l’aveva vista manifestare davanti a Los Alamos contro le armi nucleari. Ormai tre martiri della fede pacifista che hanno raggiunto in Cristo Gesù la pace di Dio. Da ultimo vorrei ricordare tra noi la presenza di Pérez Esquivel, il famoso premio Nobel per la pace argentino, che venne il 12 marzo 2013, il giorno prima dell’elezione a papa del suo connazionale card. Bergoglio, che così andò a salutare.
Ma poi il Cipax operava fattivamente in una duplice modalità: organizzando anche con altre gruppi e associazioni, come la Caritas, le Acli e l’Agesci, significative marce e sit-in per la pace. Tra le prime ricordo solo quelle del 1983: il 1° gennaio, giornata della pace, la marcia che dal Colosseo, anzi dalla chiesetta di san Massimiliano, ucciso nel 295 sotto l’imperatore Diocleziano perché non voleva servire nell’esercito, fino all’Altare della Patria a piazza Venezia, dove andammo a deporre per tutte le vittime della guerra una corona, non di alloro, ma di ulivo, come segno di pace e non certo di eroismo guerriero; e quella grandiosa del 24 ottobre, indetta da forze politiche e sindacali, ma partecipata anche da una significativa presenza di cristiani, in particolare di suore e frati, chiamate/i dal Cipax, che ricevettero applausi scroscianti dalla folla che ai lati gridava: “Era ora”, e che forse anche per questo ricevette l’onore della prima pagina del laico e conservatore Corriere della Sera. Infine non vanno dimenticati i sit-in di protesta contro l’Ordinariato militare per l’abolizione dei Cappellani con le stellette, e più in generale quelli contro il Concordato per la difesa dell’art. 11 della Costituzione che “ripudia la guerra”.
Ma l’altra attività del Cipax è stata quella dell’ informazione: pubblicò per esempio tutti i documenti del Consiglio Ecumenico delle Chiese e delle Assemblee mondiali, alle quali qualche nostro rappresentante prese anche parte. Ricordo quella europea di Basilea del 1989, vera primavera dello Spirito, su Pace, Giustizia e salvaguardia del creato, a cui partecipò Gianni con me e con Luigi Sandri, braccio destro e amicissimo di Gianni, il quale poi presenziò a tutte le altre da Graz, a Kingston, a Seul. Un cammino come si vede di grande sofferta testimonianza cristiana per la pace nel mondo. Ma su tutto ciò esiste una ricchissima documentazione.
Da ultimo vorrei ricordare che senza l’opera concreta di Gianni e del Cipax non poteva svolgersi in modo efficace l’organizzazione delle quattro Assemblee nazionali, ispirate da Raniero La Valle sulla “Chiesa di tutti, Chiesa dei poveri” per ricordare dal 2012 al 2015, il Concilio Vaticano II e l’enciclica Pacem in terris di Giovanni XXIII, per la cui attuazione aveva sempre lottato Gianni con la comunità di san Paolo e il Centro Interconfessionale per la pace.
Per me Gianni, sempre sorridente, sempre disponibile, sempre attivissimo, amico carissimo di tutti, un vero dono di Dio, è stato un grande uomo e profeta di pace.


Mosaico di pace, rivista promossa da Pax Christi Italia e fondata da don Tonino Bello, si mantiene in vita solo grazie agli abbonamenti e alle donazioni.
Se non sei abbonato, ti invitiamo a valutare una delle nostre proposte:
https://www.mosaicodipace.it/index.php/abbonamenti
e, in ogni caso, ogni piccola donazione è un respiro in più per il nostro lavoro:
https://www.mosaicodipace.it/index.php/altri-acquisti-e-donazioni