Naomi De Malach, in italiano Noemi De Angelis, è figlia di genitori italiani, vive da molti anni a Haifa con suo marito David Blanc, docente universitario ed è insegnante di Letteratura ebraica e internazionale.

È stata insegnante elementare e ora insegna nei corsi di formazione all'insegnamento dei/le maestri/e. è madre di tre figli e nonna di tre nipoti. I figli, due femmine e un maschio, risiedono rispettivamente a Kiryat Bialik, a nord di Haifa, a Jaffa, e ad Haifa stessa.  

Haifa è la città in cui approdò suo padre, Giulio De Angelis, giovane fiorentino, trasferitosi a Roma da bambino, (in ebraico: Yoel De Malach), che a 15 anni compie l'aliyah (letteralmente l'ascesa a Gerusalemme, laicamente la migrazione in terra di Israele con il movimento democratico sionista), arriva per nave in Palestina, sostenuto in questa scelta dai suoi genitori. Figlio di antifascisti, deve lasciare la prima ginnasio nel 1938 a causa delle leggi razziali che si abbattono sugli ebrei italiani. Continuerà la sua vita in un kibbutz socialista di Revivim nel Neghev nel cono sud di quella terra che nel 1948 sarà parte di Israele e dedicherà le sue migliori energie all'agricoltura e alle tecniche più avanzate di irrigazione. La sua vivace autobiografia è nel libro, “Dal Campanile di Giotto ai pozzi di Abramo”, ed. Giuntina, Firenze, 2010. E proprio a Revivim nel sud di Israele nasce Naomi, la terza figlia. (Kibbutz, plurale Kibbutzim: comunità agricola ebraica a proprietà collettiva diffusa fin dai primi del Novecento nella Palestina e poi nello Stato di Israele). Naomi ha ricercato sempre una continuità con i valori democratici antifascisti, ispirati a una pratica socialista, che in alcuni kibbutzim trovava un suo centro. Un tratto costante del suo impegno è il riconoscimento dei diritti della popolazione palestinese. La città di Haifa si caratterizza per una presenza importante di arabi israeliani, un'esperienza di convivenza che, nonostante i problemi e le gravi tensioni odierne, assume grande importanza. Aderisce al gruppo internazionale “Donne in nero” che in Israele si è costituita nel 1988.

Dieci anni fa, nel 2013, il figlio Natan ha condotto una lotta importante e tenace per essere riconosciuto come obiettore di coscienza, refusenik, in opposizione all'attività dell'esercito di sostegno all'occupazione dei territori palestinesi. Anche la figlia Hamutal è impegnata e appartiene all'organizzazione “Standing togheter” (“In piedi inseme!”). 

Questa storia familiare densa di eventi traumatici, riscosse, grandi speranze e molto impegno politico per la pace attiva e per il dialogo, è comune a milioni di persone che hanno vissuto e vivono in Israele e nei Territori palestinesi.

L'intervista cominciata il 30 novembre, l'ultimo giorno della prima tregua, è proseguita anche dopo il primo dicembre, quando le trattative si sono interrotte ed è ricominciata la guerra (nda)

Tu vivi a Haifa, una delle città più multiculturali di Israele, dove vive da tempo una comunità arabo-israeliana, quindi una città che ha raggiunto molti risultati sul terreno della convivenza. Ritieni che le relazioni tra arabi ed ebrei nella tua città abbiano retto all'urto pesante del assacro del 7 ottobre e alla risposta con i bombardamenti su Gaza? Anche il quotidiano francese Le Monde ha dedicato un articolo alla vita ad Haifa in questo tempo di guerra. Nelle scuole, nelle università, al lavoro nei luoghi di incontro resiste quel patrimonio di esperienze interculturali che caratterizza la tua città?

Naomi: I gravi fatti del 7 ottobre hanno riverberato sulla vita quotidiano della nostra città che, come dici, ha una lunga storia di convivenza con gli arabi di cittadinanza israeliana e questo costituisce un tesoro importante. Ti faccio un esempio. In questi giorni alcuni bambini ebrei israeliani che abitano nel nord del paese al confine con il Libano sono arrivati ad Haifa per sottrarsi ai pericoli dei bombardamenti. Ho potuto costatare che uno di loro quando ha visto da vicino una persona in abiti tradizionali arabi ha mostrato paura. Questo non capita ai bambini che vivono nella nostra città, perché sono abituati a frequentare persone delle due comunità. Questo avviene a scuola, nella vita sociale, negli spazi comuni, negli ospedali. Anche se devo dire che anche a Haifa c'è un’evidente differenza di tenore di vita tra la componente ebrea-israeliana e quella araba.

Il movimento dei parenti degli ostaggi ha raccolto molto sostegno da parte della popolazione israeliana. Hanno organizzato una marcia a piedi fino a Gerusalemme per farsi ricevere da Netanyahu. È cominciata il 24 novembre la fragile tregua che ha visto il ritorno di decine di ostaggi israeliani e la liberazione di donne, adolescenti e giovani palestinesi. Come vedi gli sviluppi della situazione? Il movimento “Bring them all now!” (Tutti a casa subito!) dei parenti degli ostaggi insisterà sulla priorità della loro liberazione prima di tutto? Tale movimento lavora in collaborazione con gruppi importanti in Israele che si sono battuti per il dialogo tra parenti colpiti dai lutti di entrambe le parti? (La domanda è rivolta a Naomi proprio il giorno prima della rottura della tregua, il 30 novembre, nda)

Naomi: Sì! Il movimento dei parenti degli ostaggi ha raccolto un grande sostegno nel Paese ed effettivamente in molti pensano che il primo obiettivo sia il loro ritorno. Ma ci avviciniamo a un bivio. Quando sarà il momento di accettare la liberazione di palestinesi adulti e oppositori politici, in cambio della liberazione di militari israeliani ostaggi, potranno sorgere delle proteste nella popolazione di Israele. Nel Paese vi è una destra orientata ad anteporre l'obiettivo della sconfitta militare di Hamas, anche se ciò comporta uccisione di civili, come sta avvenendo, come tragica conseguenza della grande difficoltà di distinguere gli obiettivi civili da quelli che colpiscono i miliziani di Hamas e di questo pagano le spese soprattutto le donne e i bambini. Quello che è avvenuto il 7 ottobre è una strage efferata, che ha colpito e violentato donne e bambini. Inoltre, diversi kibbutzim del Sud del Neghev, razziati da Hamas, si sono distinti negli anni per un’attività notevole in difesa dei diritti dei palestinesi, per il soccorso e la cura sanitaria degli stessi palestinesi di Gaza in situazioni precarie e questo rende evidente la cecità di questa azione violenta.  Voglio ricordare che una delle fondatrici dell'importante gruppo pacifista di donne israeliane e palestinesi “Women Wage Peace” (“Le donne portano avanti la pace!”), Vivian Silver, israeliana di origine canadese, è stata una delle oltre milleduecento vittime per mano di Hamas. Lei si era distinta nelle attività di cura sanitaria di palestinesi di Gaza anche negli ospedali israeliani vicini al confine.

Personalmente appartengo al gruppo Women in black (“Donne in nero”), che in Israele è stato fondato nel 1988 proprio quando cominciava la prima “Intifada”, un'onda di protesta autonoma, spontanea e non armata della popolazione palestinese dei Territori occupati di Cisgiordania, che aveva colto di sorpresa anche l'Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP), l'organizzazione politica e militare palestinese allora maggioritaria. Judith Blanc, la madre di mio marito, è stata una delle fondatrici di questo movimento in Israele e per me è stata di grande ispirazione. (https://womeninblack.org/vigils-arround-the-world/europa/italy/)

Mi sento in sintonia con molti gruppi e movimenti, non solo della sinistra storica israeliana, che si sono sempre battuti per i diritti umani e per la convivenza. Ritengo che sia prioritaria la liberazione degli ostaggi rispetto all'obiettivo della vittoria militare su Hamas. È necessario riprendere un confronto con quelle componenti della dirigenza palestinese che sono disponibili al confronto per ritrovare un percorso che possa dare sovranità alla popolazione palestinese, come vuole il diritto internazionale, accanto e non contro Israele. E questo impone, tra le altre cose, uno stop netto e chiaro alla politica dei coloni della estrema destra israeliana e delle loro postazioni armate in Cisgiordania che colpiscono i palestinesi residenti.

 Abbiamo nominato alcuni importanti movimenti a partecipazione mista, ebrei e arabi palestinesi, che lavorano sul campo da decenni. Mi puoi dire nella situazione attuale quanto riescono a coordinarsi, a lavorare insieme e quindi a incidere in una circostanza in cui gli apparati militari vogliono il sopravvento? Sono molti questi gruppi operanti in Israele, come Parent Circle, B'tselem, Addamer, Ha Moked, Omdim Beyahad (Standing togheter!), Hand in Hand e Névé Shalom/Wahat as Salam. Aggiungo anche le reti di sostegno agli obiettori di coscienza: la rete sociale Mesarvot collegato con il Bureau Européen puor l'Objection de conscience (Beoc). Anche tuo figlio nel 2013 si è dichiarato obiettore di coscienza e, dopo diverse incarcerazioni, ha ottenuto di non svolgere il servizio militare e ha scelto di svolgere il servizio civile.

Naomi: Come dicevo prima, il gruppo Women wage peace negli anni ha concentrato i suoi sforzi per consentire alle donne di avere più agibilità nei diversi ambiti della società, nel lavoro e nell'impegno politico. Vivian Silver era una delle fondatrici del movimento, cresciuto in Israele in questi ultimi anni. Il movimento delle “Donne in Nero” aggiunge anche una chiara opposizione all'occupazione dei Territori della Cisgiordania, a Gerusalemme Est da parte di Israele, e compie azioni dirette nonviolente con presenza fisica sul campo in difesa della popolazione palestinese come, ad esempio, la protezione dei pastori che lavorano lungo il fiume Giordano. Da quest'estate ogni settimana partecipo a quest’attività in cui ebrei cittadini di Israele proteggono e testimoniano sui comportamenti dei coloni che usano la violenza contro la popolazione palestinese nei territori occupati.

Tu nomini diverse organizzazioni che svolgono un ruolo fondamentale per la documentazione e la denuncia delle violazioni dei diritti umani, un lavoro svolto da ebrei israeliani e palestinesi assieme: B'tselem, Addamer, HaMoked vanno in questo senso. Senza di loro non potremmo essere così incisivi nelle nostre lotta per il rispetto dei diritti umani. Questo è un patrimonio di esperienze che ora in questa tragica emergenza diventa fondamentale per arginare l'ondata di odio che si diffonde e per dare supporto alle agenzie internazionali, a partire dall'Onu, in difesa dei diritti umani.

Sottolineo anche il prezioso lavoro delle scuole bilingue Hand in Hand e Névé Shalom-Wahat as Salam, che hanno corsi di studi frequentati da ebrei israeliani e arabi, una pratica piuttosto rara in Israele. Ognuno impara la lingua dell'altro e si confronta con la Storia come la vede l'altro, pratica un allenamento costante di apertura e di confronto, di empatia che, dalle materie di studio, riverbera nella vita quotidiana. Anche come insegnante, ritengo queste attività una linfa vitale che alimenta il nostro impegno.

Desidero anche accennare a un'iniziativa della scorsa estate che ad Haifa, come gruppo misto di arabi ed ebrei israeliani, abbiamo messo in atto in difesa del monastero cattolico Stella Maris, che era stato bersaglio di azioni vandaliche da parte di gruppi fondamentalisti della estrema destra israeliana. Un'azione di solidarietà sostenuta dalla popolazione e che ha ricevuto il pubblico riconoscimento sia del Patriarca cattolico di Gerusalemme Pierbattista Pizzaballa, sia del Presidente dello Stato di Israele Isaac Herzog.

(https://www.fides.org/en/news/74086-ASIA_HOLY_LAND_President_of_Israel_visits_Stella_Maris_Monastery_in_Haifa_object_of_vandalistic_acts)

Sia i crimini di Hamas e l'accanimento contro donne e bambini, sia le gravi e sanguinose conseguenze dei bombardamenti dell'esercito israeliano sulla popolazione civile di Gaza, due milioni di abitanti, ci hanno scaraventati in una grave emergenza umanitaria che a Gaza raggiunge livelli insostenibili. Aggiungo anche i gruppi che difendono i giovani obiettori e le obiettrici di coscienza, come la rete Mesarvot che si rifiutano di svolgere operazioni militari nei Territori della Cisgiordania, a Gerusalemme est e a Gaza. Come mio figlio Natan 10 anni fa, oggi in una situazione ancora più difficile, ci sono giovani che si dichiarano obiettori. Come potete vedere nel sito di Mesarvot, il giovane obiettore Tal Mitnick dichiara la sua obiezione di coscienza.  Ora che le trattative si sono interrotte (il primo di dicembre, nda) e che è ricominciata la guerra, ancora di più vanno stretti i contatti di collaborazione sia qui, sia a livello internazionale affinché si giunga a un nuovo “cessate il fuoco” al più presto e alla continuazione della liberazione degli ostaggi. Per tutti questi gruppi, che si sono battuti per la difesa dei diritti umani da sempre, si tratta di uno sforzo enorme che deve essere raccolto come un tesoro dalle organizzazioni europee e mondiali che hanno gli stessi scopi per fare pressioni sulla diplomazia ufficiale.

 A proposito di lotta per la giustizia e i diritti, gran parte della popolazione israeliana ha condotto per quasi un anno una lotta tenace e democratica per la difesa dell'equilibrio dei poteri contro il disegno di “revisione giudiziaria” preparato dal governo in carica. Ci sono state ben 42 settimane di lotta aperta e democratica in Israele che finora non hanno consentito al governo di varare quel disegno di legge. Puoi descrivere gli effetti degli eventi del 7 ottobre sul movimento “pro-democrazia” in Israele?

Naomi: Sì, gran parte della società civile israeliana si è impegnata a salvaguardare l'autonomia della Corte suprema, il massimo organo della magistratura, opponendosi all'elezione dei suoi membri da parte del governo. Organizzazioni professionali, ampi settori del mondo del lavoro hanno voluto pronunciarsi contro questa revisione. Addirittura gruppi di ex -militari ed ex- membri dei servizi di sicurezza si sono pronunciati contro. C'è il gruppo Achim laneshek (Fratelli in armi!) di veterani che ha espresso il suo dissenso. È stata una crescita collettiva del livello di democrazia nel Paese. Inoltre, una Corte suprema autonoma fornisce garanzie per il blocco di leggi discriminatorie contro la minoranza palestinese che peggiorano le condizioni di vita della popolazione. Ricordo che a questa mobilitazione ha partecipato anche il gruppo Hagush neged hakibush (“Fronte contro l'occupazione”) a cui aderisco. La tragedia del 7 ottobre ha bruscamente arrestato quel movimento “Pro-democrazia”. Il braccio armato di Hamas ha paradossalmente fornito un sostegno alla tesi del primo ministro Netaniahu che sostiene che non ci siano possibilità per un accordo con i palestinesi, favorendo quindi i partiti della destra religiosa nazionalista che da tempo operano per un'annessione progressiva dei territori della Cisgiordania, di Gerusalemme Est attraverso gli insediamenti armati dei coloni.  In questa situazione ritengo che – sia qui in Israele, sia in Europa e a livello internazionale – sia fondamentale creare le condizioni affinché le parti possano condividere reciprocamente il dolore che sentono in loro e questo sia sostenuto dalle organizzazioni che finora hanno agito coraggiosamente per favorire un confronto tra le due parti. La rottura del cessate il fuoco, il blocco della liberazione degli ostaggi e il conflitto armato che sacrifica i civili va contro questa prospettiva.

L'intervista è terminata il 10 dicembre la giornata mondiale per i diritti umani, 75° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani approvata dall'Onu.

È anche il 75° anniversario della nascita dello Stato di Israele.

 Note all'intervista:

* La popolazione israeliana supera di poco i 9 milioni di abitanti. Circa il 22% essi, quasi 2 milioni, sono di origine arabo-palestinese con cittadinanza israeliana. Parlano la lingua araba ed anche la lingua ebraica. La componente religiosa musulmana è maggioritaria rispetto a una minoranza palestinese cristiana. Sono discendenti delle famiglie che abitavano la Palestina e che rimasero nelle loro case anche quando si costituì lo Stato di Israele nel 1948. Circa seicentomila arabi palestinesi invece lasciarono le loro case quando lo Stato di Israele fu proclamato e in gran parte vissero la condizione di profughi nei Paesi confinanti con Israele: prevalentemente in Giordania, Libano, Egitto.

 ** Ecco l'elenco dei gruppi misti di ebrei e arabi citati nell'intervista con i link corrispondenti.

Parent Circle (Circolo dei familiari): Ha una lunga storia di confronto tra persone e famiglie di entrambe le parti, colpite da dolorosi lutti. https://www.theparentscircle.org/en/pcff-home-page-en/

B'tselem (termine usato nella libro di Genesi, 1.27 “b'tselem Elohim” significa “a immagine del Signore”) gruppo di lavoro molto importante che fa monitoraggio sulla violazione dei diritti umani dei palestinesi nei Territori di Cisgiordania occupati. https://www.btselem.org

Adammer (Coscienza) Organizzazione palestinese che documenta le condizioni di detenzione della popolazione palestinese nelle carceri israeliane. https://www.addameer.org/

HaMoked: (Il Punto) Associazione israeliana che difende legalmente i diritti dei detenuti palestinesi in Israele e nei Territori della Cisgiordania e denuncia nelle sedi istituzionali le violazioni del diritto internazionale in materia di diritti umani in Israele, nei Territori e a Gaza. https://hamoked.org/

Omdim Beyahad (In piedi insieme!). Gruppo di base di ebrei e palestinesi che lavora per l'equità sociale, il riconoscimento reciproco contro la logica della guerra, www.standing-together.org

 Resarvot (Rifiutarsi!) Rete israeliana in supporto agli obiettori di coscienza, refusenik, giovani che si rifiutano di aderire all'esercito nelle operazioni militari nei Territori occupati di Cisgiordania, Gerusalemme Est e a Gaza, https://www.refuser.org/refuser-updates

In collegamento lo European Bureau for Consciencious objectors di Brussel, https://www.ebco-beoc.org/node/606

Hand in Hand (Mano nella mano): una scuola binazionale e bilingue frequentata da arabi ed ebrei israeliani. https://www.handinhandk12.org/ 

Névé Shalom-Wahat as Salam, (Oasi di Pace) fondata da Bruno Hussar che fin dal 1970 sì è costituita come luogo di vita in comune, scuola bilingue riconosciuta e scuola della pace, www.nswas.org

La sezione italiana degli Amici del Villaggio: https://www.oasidipace.org/

 

Lorenzo Porta è docente di scienze umane e filosofia nei licei fiorentini. Da anni svolge attività di informazione e sostegno ai gruppi misti di ebrei e arabi. Nel corso degli anni ha contribuito agli incontri di gruppi di studenti provenienti dalla scuola bilingue Névé Shalom /Wahat as Salam (“Oasi di pace” in lingua ebraica e araba) con studenti italiani. Ha pubblicato articoli su questi temi sulla Rivista “Azione nonviolenta”, “Keshet” (Arcobaleno) e “Mosaico di Pace”.  

È coordinatore del Centro di Documentazione sociale per la nonviolenza e i diritti umani (CEDAS).

L'articolo è pubblicato anche nel sito di Azione nonviolenta corredato da alcune foto significative che possono essere visionate cliccando qui


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