L’Onu non ha avuto la sapienza del re Salomone.
E’ famoso l’apologo narrato nella Bibbia, in cui compaiono due prostitute dinanzi al re per ottenere giustizia (1° Re, 3. 16-28). Entrambe avevano partorito quasi contemporaneamente un figlio, ma poi uno dei due era morto, perché la madre gli si era coricata sopra soffocandolo. Ma costei allora – secondo l’accusa dell’altra madre- aveva scambiato i neonati, ponendo il figlio morto al seno dell’altra e prendendo con sé il figlio vivo. Così altercavano rivendicando ognuna che quello vivo era il proprio e chiedevano al re di giudicare secondo giustizia. Il re allora si fece portare una spada, ordinando che il bambino vivo fosse diviso e ne fosse data una metà all’una e una metà all’altra. A questo punto la madre che aveva accusato l’altra di averle sostituito il figlio, disse al re di dare all’altra il neonato vivo per non farlo uccidere. Il re sapiente capì da queste parole che questa era la vera madre e ordinò che ad essa fosse ridato il figlio.
Proviamo ora a fare un salto ai nostri giorni: al posto del re Salomone poniamo l’Onu; a quello delle due madri, i palestinesi e gli israeliani; e al posto del figlio vivo la terra, così detta santa, in realtà lacerata, perché contesa e rivendicata come propria da entrambi i popoli. Qual’è stato –possiamo chiederci- l’errore originario dell’ONU, che non si è comportato secondo la sapienza del re Salomone? Quello di dividere l’unica terra dandone una metà a ognuno dei contendenti. Giustamente uno dei due popoli non ha voluto accettare questo responso, dato in maniera autoritaria dal consesso mondiale di Stati, che in quanto tali, cioè con la caratteristica modalità della sovranità, pretendono assoluta obbedienza, come quella che ogni Stato pretende al suo interno dai cittadini, in realtà resi sudditi dall’indiscutibile dominio del monopolio della forza violenta, che autorizza anche di mandarli a morire in guerra.
Ecco perché credo che la soluzione dei due Stati, già di per sé divenuta ora molto difficile, non è né giusta né saggia, perché resterebbero due entità tra loro nemiche, ognuna rivendicando l’unica terra come propria, sempre pronte a farsi guerra. L’unica possibilità per evitare il perpetuarsi del conflitto, potrebbe essere quello di un nuovo statuto che permetta alle due popolazioni di vivere in autonomia e in pace (secondo l’intuizione originaria dei kibbutz) sotto l’egida e la protezione dell’ONU, unica entità dotata di forze di polizia per garantire la forza del diritto, delle leggi, la sicurezza e ordine interno nel rispetto democratico delle autonomie locali.
Utopia? Forse ‘eu-topia’, cioè il sogno di un’umanità che vive in pace in un ‘bel luogo’. Ma gli Stati sapranno rinunciare alla loro sovranità riformando l’Onu? E i cittadini del mondo capiranno che sono membri di un’unica Patria universale, per affermare la quale devono farsi riconoscere il fondamentale diritto alla pace, col quale negare ogni diritto di guerra? Questa è la rivoluzione culturale, prima che politica, auspicata e anticipata dalla nonviolenza. A quando? Sperando di essere ispirati dalla sapienza di Salomone, lasciamo ai posteri l’ardua sentenza.