Mario Lancisi ha scritto, per le edizioni Terrasanta, un libro con passione e con scienza (Don Milani. Vita di un profeta disobbediente. A cento anni dalla nascita). L'abbiamo ascoltato per presentarlo, con chiarezza e senza retorica, a Milano.
A me spiace solo per la copertina del libro, da cui ci guarda un don Lorenzo segnato dalla malattia, ancora in croce; avrei preferito il Lorenzo giovane, risorto, che insegna ai suoi ragazzi. Lancisi ha incontrato in verità l'opera d'arte di don Milani, nella fattispecie Lettera a una professoressa, che gli ha permesso di uscire da una situazione difficile della sua vita. Ha rimasticato a lungo la vita del sacerdote, su cui ha già scritto tre testi, ha recepito la lezione di stile del priore e ha scritto di lui “andando al cuore delle cose”.
Gli otto capitoli del libro sono scanditi cronologicamente dalla nascita alla morte, al tradimento e alla riabilitazione, con l'aggiunta di una nona parte che raccoglie due testimonianze inedite di Adele Corradi e Francuccio Gesualdi. Si comincia dalle "Radici", intervistando la mamma Alice Weiss e recuperando con filologica acrimonia le storie e la genealogia di una famiglia colta, transnazionale e poliglotta, per arrivare di nuovo alla relazione di profonda fiducia (dialettica) con la madre. Poi la relazione con la (quasi) fidanzata, che ritorna sul letto di morte.
Nel libro ho notato un'attenzione particolare alle donne che hanno incrociato la vita del profeta disobbediente, uno dei "folli di Dio" di cui Lancisi ha scritto in un altro testo importante, trovando i rimandi e le assonanze tra La Pira, Balducci (e Turoldo) "nella libertà interiore e nel pensiero".
Una notevole ricchezza di documentazione sottende il lavoro per darci un ritratto vivo, oserei dire sorridente e sanguinante, di un cristiano vero, che ha segnato profondamente le nostre coscienze e ancora oggi grida con le sue opere delle verità che pochi vogliono sentire. La verità di una scuola classista e inadeguata alle esigenze di crescita morale e intellettuale dei ragazz*, in una società ormai compiutamente multietnica, di un concetto di patria legato a miti nazionalistici e guerrafondai che ci riportano indietro nella Storia a prima della nostra Costituzione repubblicana. Documentare storicamente la difesa dell'articolo 11 della Costituzione, contestando il concetto di “guerra giusta”, è una lezione indimenticabile. Come il rimando a una democrazia reale, partecipativa, di un popolo che ama le leggi e perciò le cambia quando sono ingiuste, ne crea di nuove e più giuste, come quella sull'obiezione di coscienza, attraverso la presentazione del ruolo irrinunciabile del maestro, quello di educare al senso critico e perciò alla libertà.
Dopo la morte del priore, il suo ultimo insegnamento, l'ottavo capitolo, Il cristiano del futuro (dal 1967 al 2017) dà conto della riabilitazione di Lorenzo Milani nella Chiesa, dai tempi di Paolo VI fino alla visita e alle parole di papa Francesco, a Barbiana nel 2017. Ma il risorgere nella società della scuola del merito, “l'ideologia della selezione classista e del solipsismo sociale”, ci riporta alle scelte della Lettera, irriducibile alle strumentalizzazioni di parte e pietra d'inciampo per molti. Ancora oggi quindi don Milani è scomodo, anche se il motto I care è strumentalmente usato in molte sedi istituzionali, perfino europee.
Se la cultura di questo Paese non cambia e non si rimettono al centro le persone, soprattutto gli ultimi rendendoli protagonisti della scena sociale e politica, dando loro la parola, come forgiando "le stecche del busto" di una massa cosciente, corriamo tutti verso un precipizio, senza possibilità di risalita. Più di chiunque altro i cristiani e la Chiesa tutta hanno bisogno dell'esempio di don Lorenzo Milani.