Nel mese di febbraio 2013 il Punto Pace di Pax Christi di Ferentino ha presentato alla Direzione della Casa Circondariale di Frosinone un progetto rivolto ai detenuti per la Mediazione dei conflitti all’interno del carcere. Mossi dall’idea che fosse necessario uscire dalle nostre comodità, sicurezze e anche da qualche pregiudizio; che forse era giunto il momento di contribuire a combattere un fenomeno che papa Francesco definisce “cultura dello scarto”, abbiamo ritenuto opportuno preparare i detenuti al loro reinserimento nella società, al termine della pena, realizzando ciò che è previsto nella nostra Carta Costituzionale.

Obiettivi specifici

Questi gli obiettivi specifici contenuti nel progetto:

  • sviluppare le conoscenze e le abilità per una comunicazione verbale, non verbale e paraverbale;
  • aiutare a riconoscere e a gestire le proprie emozioni e quelle degli altri;
  • far conoscere le tecniche dell’ascolto attivo e del comunicare in prima persona;
  • promuovere la conoscenza dei metodi per la regolazione costruttiva dei conflitti;
  • ridurre le tensioni interne sia tra i detenuti sia con gli operatori della Casa circondariale e favorire un clima di maggior benessere, fra tutti;
  • favorire la costruzione di relazioni interpersonali basate sul rispetto di sé e degli altri;
  • aiutare alla scoperta del mondo interiore anche attraverso momenti di meditazione;

L’ambizione era anche quella di formare i detenuti a svolgere il ruolo di Mediatori dei conflitti, secondo i Metodi della Sociologia Clinica, nella consapevolezza che i conflitti - come ci insegnano i più noti sociologi come Simmel, Coser, Weber, Daharendorf – non sono qualcosa di negativo, da evitare, ma un’opportunità di cambiamento capace di sviluppare funzioni positive per il mantenimento e lo sviluppo sociale, soprattutto nel senso di una maggiore integrazione sociale. Il progetto, accolto favorevolmente dalla Direzione della Casa Circondariale, è iniziato il 21 settembre 2013 con un gruppo di tredici detenuti che hanno aderito liberamente. Tra questi, tre provenivano da altri Paesi con culture diverse. L’età dei detenuti era tra i 40 e i 45 anni. La maggior parte di loro era in possesso del titolo della scuola primaria e secondaria di  primo grado, mentre uno frequentava con successo la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università “La Sapienza” di Roma.

La metodologia da noi utilizzata nel corso degli incontri di formazione è stata quella di coinvolgere tutti i detenuti del gruppo nelle attività, lasciando loro la possibilità di esprimersi in modo libero anche facendo ricorso a una delle tecniche creative più interessanti scoperte da A. Osborn negli anni Trenta, quella del Brainstorming. Sono stati utilizzati giochi di ruolo per sviluppare la capacità di discutere problemi concreti, per trovare insieme soluzioni condivise. Per facilitare una comunicazione verbale più efficace e relazioni interpersonali più amichevoli, è stato utilizzato il pronome “tu”. Inoltre, nel tentativo di far comprendere l’importanza della relazione tra individuo e gruppo, si è fatto ricorso all’abbraccio sociologico sia all’inizio che al termine di ogni incontro. Il progetto è terminato alla fine di gennaio 2015, dopo 42 incontri che si sono tenuti ogni sabato mattina per un totale di 168 ore.

Quali sono stati i risultati raggiunti?

Siamo convinti che ci siano stati progressi significativi nella gestione dei conflitti in virtù della nuova competenza comunicativa e linguistica appresa. Queste nuove conoscenze e abilità hanno consentito ai detenuti di reggere il confronto con un contesto istituzionale caratterizzato perlopiù da una comunicazione autoritaria e repressiva. Tuttavia, nonostante che i nostri detenuti siano diventati più consapevoli di come si comunica negli scambi verbali in maniera assertiva ed empatica  per avere buone relazioni interpersonali, è rimasta in loro la paura di incorrere in sanzioni disciplinari rinunciavano a esprimere il proprio punto di vista ed evitare conflitti, vanificando così uno dei diritti fondamentali sanciti dalla nostra Carta Costituzionale che è quello della libertà di manifestare il proprio pensiero. Con questi limiti oggettivi non siamo riusciti a formare il gruppo dei detenuti alla Mediazione, a parte qualche caso di simulazione. Tenuto conto che molti operatori, nonostante la loro buona volontà nell’esercizio dell’impegno professionale, hanno poco sviluppato la competenza comunicativa, ho presentato alla Direzione del carcere un progetto per la formazione sia degli Educatori professionali che degli Agenti di Polizia Penitenziaria per favorire un clima più libero, rispettoso, fiducioso e costruttivo nelle relazioni interpersonali con i detenuti a cui ci si deve rivolgere non con il “tu,” ma con il “lei” così come si pretende dagli stessi detenuti. Ma fin’ora il progetto è fermo. Anche la nostra proposta di realizzare uno sportello di ascolto per la regolazione dei conflitti tra detenuti non è andata a buon fine, essendo venuto meno l’impegno da parte dell’istituto penitenziario. La nostra proposta di tenere gli incontri con i detenuti fuori dall’aula ma all’aperto a contatto con la natura, non ha avuto buon esito, nonostante le aperture iniziali.

Le valutazioni sul nostro lavoro espresse sia da parte dei detenuti che dagli educatori professionali, oltreché dalla Direzione del carcere, sono state tutte positive. Per questo confermiamo l’impegno verso i detenuti di alta sicurezza. Con loro ci siamo incontrati tre volte. A novembre riprenderemo il corso di formazione alla comunicazione, alle relazioni interpersonali e alla gestione dei conflitti. Questa fiducia ci conferma nella convinzione che quando l’attività di volontariato èe svolta senza denaro e con competenza, amore, solidarietà e  passione produce  frutti di qualità. Guidato da questi valori, il volontario ha un solo obiettivo: quello di alleviare con i gesti e non con parole le sofferenze dei nostri fratelli detenuti. Il volontario non riceve alcun premio per questo tipo di impegno nel tempo libero. L’unica ricompensa è quella, secondo Gesù, di entrare nel Regno dei cieli. A proposito delle valutazioni favorevoli espresse, può essere utile far conoscere la valutazione scritta espressa da uno dei detenuti del gruppo che ha partecipato con molto interesse agli incontri.

“Credo che l’esperienza vissuta nell’ambito intramurario del carcere di Frosinone inerente al corso sulla Mediazione dei conflitti, sia stata una delle più stimolanti e interessanti in quanto mi ha consentito di riflettere su alcuni aspetti del mio carattere, spesso troppo impulsivo. Sotto la guida del Prof. Luigi Tribioli e dei suoi collaboratori, abbiamo vissuto un’esperienza unica e irripetibile nel contesto intramurario (almeno per quello che mi riguarda). Confrontarsi con altre persone circa il modo di interagire con il prossimo, ti da’ modo di riflettere su quali siano i comportamenti errati o quelli idonei al fine di poter instaurare dei rapporti di civile convivenza senza trascendere nell’arroganza. Il punto cardine della struttura portante per una mediazione dei conflitti ragionevole, è saper stabilire, con il soggetto che si ha dinanzi, quel grado di empatia necessario a poter far si che il dialogo non trascenda e trovare i modi e la forma idonea per poter dialogare in modo sereno e costruttivo. In ogni caso, credo che prima di poter interagire con altre persone in modo sereno e costruttivo, bisogna conoscere se stessi, cioè riflettere in modo adeguato sui valori in cui credere profondamente e soprattutto aver fiducia e rispetto di se stessi, altrimenti non si possono rispettare i valori degli altri. Oggi, credo che sia molto difficile per poter instaurare rapporti costruttivi in quanto sta prevalendo l’egoismo e con l’egoismo non ci può essere dialogo”.

Alcuni diritti negati

Durante i nostri incontri, i detenuti ci hanno raccontato che sono costretti a vivere in celle di tre metri quadrati e novanta centimetri con poca luce e servizi igienici in spazi ridottissimi e angusti; che il servizio sanitario nazionale intervenga con notevole ritardo  nelle cure sanitarie (come è accaduto ad un detenuto del nostro gruppo quando aveva un urgente bisogno di ricevere le cure odontoiatriche per forti dolori ai denti e per questo non riusciva a dormire durante la notte); che l’istituzione penitenziaria non sia sensibile di fronte a una necessità elementare, quale quella di garantire a chi ha voglia di leggere e studiare nella cella di stare seduti su sedie normali e non su sgabelli senza appoggi come avviene ora. Più in generale, c’è da tener conto del grave fenomeno dei suicidi, che segnala il non senso della vita carceraria, e del sovraffollamento delle carceri (questo c’è anche nel carcere di Frosinone) per il quale la Corte Europea per i diritti dell’uomo ha denunciato l’Italia. Riteniamo, dunque, legittime le denuncie e le lotte che vengono condotte dai detenuti per rendere più vivibili e umane le carceri, per la difesa dei diritti umani, per avere una sanità pubblica più efficiente. Eppure questo, dal nostro punto di vista non basta. Tante volte, nel corso degli incontri, ho detto ai detenuti che c’era  bisogno anche di impegnarsi per un cambiamento personale (detto senza alcuna enfasi di tipo moralistico) nella ricerca di nuovi valori di riferimenti e nuovi stili di vita: il rispetto delle regole sociali e della legalità; sviluppo di una cultura fondata sulla solidarietà e sull’etica della responsabilità da vivere anche all’interno delle rispettive famiglie verso cui  i detenuti hanno dichiarato spesso di avere un bene primario.

Conclusioni

Mi sembra del tutto evidente che questa istituzione carceraria va superata per evitare sofferenze psicologiche e fisiche per il rispetto della dignità umana e che si assumano nei confronti dei detenuti che hanno commesso dei reati misure alternative al carcere, così come viene proposto al riguardo da studiosi e esperti del nostro Paese. In attesa che ciò avvenga, noi continueremo a offrire il nostro tempo libero ai nostri amici-detenuti finché loro desiderano avere la nostra amicizia e ci sia la fiducia della Direzione della Casa Circondariale di Frosinone. Speriamo anche di poter accedere alle loro celle e vivere qualche momento della vita quotidiana. Riproporremo alla Casa Circondariale di istituire il servizio di Mediazione sociale all’interno del carcere per dirimere i conflitti a livello interpersonale e di gruppo perché, secondo le nostre conoscenze, ha dato buoni risultati. È un metodo che consente di diventare autonomi nella regolazione dei conflitti e che può evitare l’intervento degli operatori e dei responsabili dell’ordine interno del carcere. Come è noto, la Mediazione sociale è un processo in cui due o più persone coinvolte in un conflitto giungono insieme a cercare di elaborare una soluzione al loro problema con l’aiuto di una terza persona, neutrale e imparziale, chiamata Mediatore. Proprio perché è un processo, la Mediazione richiede un tempo necessario affinché le parti, con la guida del Mediatore, raggiungano un’intesa che sia equa e condivisa.

Riproporremo alla Direzione del carcere di tenere gli incontri con i detenuti fuori dall’aula ma all’aperto, ogni qual volta  le condizioni atmosferiche lo permetteranno. Non ci arrendiamo nell’andare verso i detenuti anche quando ci assalgono tanti interrogativi, come ad esempio: “Quando i nostri detenuti usciranno dal carcere continueranno ad essere seguiti dai servizi sociali dei comuni di appartenenza per l’integrazione sociale? Verranno aiutati a frequentare corsi di formazione professionale o altri tipi di studio per potersi inserire nel mondo del lavoro? Il mondo del lavoro saprà accoglierli o li rifiuterà confermando lo stigma di detenuto – per usare un termine del sociologo Goffman – che in quanto tale va emarginato ed escluso dal resto della vita sociale? Chi di loro è sposato e ha anche figli, verrà seguito dai servizi sociali – ora sempre più in crisi in seguito ai tagli nei bilanci comunali  – per poter svolgere il ruolo di partner responsabile nei confronti del proprio coniuge ed esercitare nello stesso tempo il ruolo genitoriale? Verranno aiutati a ricostruire la loro autostima? In definitiva, ci sarà verso di loro un investimento delle istituzioni, delle associazioni, delle cooperative perché non tornino a delinquere? Il futuro dei nostri detenuti dipenderà dalle risposte che sapremo dare a queste domande e dall’impegno a promuovere condizioni di vita più umane nei confronti dei più svantaggiati considerando che tutti dobbiamo essere pronti a superare ogni divisione e lottare insieme per costruire ponti, con il dialogo e il confronto senza pregiudizi.

 


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