Ci si dovrebbe anzitutto domandare a che serve il patronato. E si potrebbe rispondere: “Ecco voi che lo ricevete, sappiate che il vostro intercessore presso Dio ha fatto prima di voi le cose che voi fate , le ha fatte meglio di voi ed al suo esempio dovete conformarvi”. Se il patronato è questo, l’esercito italiano, accettando il patronato di san Giovanni XIII , ne deve accettare l’azione e il pensiero che la ispirava.
E questo fatto apre straordinarie opportunità di riflessione e di conversione sul modo di concepire l’esercito nella sua struttura e funzione, in attesa che esso cessi di averne una, quando la potestà della guerra sulla politica sarà annullata. Ora l’esercito italiano è stretto da due lati: da una parte la Costituzione gli preclude ogni funzione aggressiva e bellicosa: “L’Italia ripudia la guerra….”; da un’altra parte la “Pacem in terris” scritta e promulgata dal “suo” nuovo santo patrono gli toglie ogni possibilità di pensare a una possibile “guerra giusta”. Non ci sono, dunque, neppure “missioni di pace”, non sono ammissibili ne’ sul piano teorico, ne’ su quello pratico, come dimostrano i puntuali fallimenti di ciascuna di esse. L’enorme e abnorme contraddizione, che “esplode” nel momento stesso in cui la si descrive, ci dice che ad essere indignati e scandalizzati dovrebbero essere anzitutto coloro che hanno pensato, formulato , prodotto , offerto e accettato il patronato di papa Giovanni per l’Esercito. Ne hanno voluto fare un uso malizioso e insidioso contro il magistero dell’attuale Pontefice?
Hanno voluto mostrare che il Papa buono era anche buon soldato? Faranno pochi passi in questa direzione, prima di finire nel fosso? Sta anche a noi indicare l’errore e ricordare la profezia giovannea della fine di ogni guerra, ma facendolo “pacatamente e non da arrabbiati” come diceva mons. Capovilla nell’intervista di don Nandino. “Non si converte , se non chi si ama”. Si aprono per noi opportunità d’incontro e di confronto nello spirito della correzione fraterna, che abbiamo ascoltato nel Vangelo di qualche domenica fa: “Se tuo fratello… VA e ammoniscilo… se non ascolterà prendi con te… se poi non ascolterà dillo alla comunità…”.
Per questo dico e propongo che sui temi di una “formazione in uscita, itinerante, colta, conviviale” acutamente elencati da Sergio Paronetto e tutti attinenti al ruolo della guerra nel mondo attuale e ai relativi strumenti, come gli eserciti e il loro indotto militar industriale, noi dobbiamo avviare un confronto con lo stesso Ordinariato militare e con i Vescovi, consapevoli che “disarmare la Chiesa” è forse il nostro primo dovere di movimento ecclesiale che nel nome della pace è sorto settant’anni fa sulle frontiere insanguinate d’Europa. “Fare il primo passo” è stato il motto di papa Francesco nel recente viaggio in Colombia dove è in corso la ricostruzione di una convivenza pacifica dopo decenni di violenze e massacri.
Qui in un contesto meno drammatico tocca anche a noi fare il primo passo verso e non contro. E mi sembra che siamo già sulla buona strada.