A 100 anni dalla nascita di Danilo Dolci pubblichiamo alcuni articoli che lo ricordano e ne traggono insegnamento anche per l'oggi, perché la nonviolenza, di cui Dolci è stato attento studioso e testimone, è l'unica strada percorribile. Dopo questo editoriale di Goffredo Fofi, invitiamo alla lettura di una riflessione di Daniele Novara, di un articolo che lo stesso Danilo Dolci ha pubblicato nel primo numero di Mosaico di pace e di un Dossier che la nostra rivista ha dedicato a lui nel numero di febbraio 1998.
La Redazione
Sull’ultimo numero della rivista “Il ponte” è stato riproposto un breve bellissimo articolo di Aldo Capitini dell’estate del 1967 di “commento sulla guerra” che era appena passata alla storia come “dei sei giorni”, tra Israele ed Egitto-Siria-Giordania, vinta da Israele e le cui conseguenze sono oggi più critiche che mai con il conflitto in corso per il controllo israeliano sulla striscia di Gaza.
Non sappiamo come esso possa finire, ma è lecito essere molto pessimisti, di fronte all’aggressività del governo israeliano presieduto da Netyanahu. Con molta saggezza Capitini sostiene le analisi di due importanti giornalisti come Giorgio Bocca e Nicola Adelfi, Il pacifista, il nonviolento, il gandhiano Capitini cerca di capire per poter meglio invitare alla pace.
L’attualità del pensiero nonviolento viene anche dalla constatazione del dominio della violenza in tante parti del mondo, perfino nell’India che fu di Gandhi e che Gandhi aveva portato alla liberazione dal giogo coloniale senza colpo ferire.
Ho conosciuto bene Capitini, uomo mite e tuttavia deciso nelle sue convinzioni, frutto di lungo studio e lunga meditazione. Ho conosciuto altrettanto bene Danilo Dolci, prendendo parte ancora prima dei vent’anni alle sue iniziative in una Sicilia miserabile dove era più la mafia che non i partiti a dettare legge. Fu Capitini a farsi vivo con Dolci quando seppe del suo lavoro, tra Partinico e Trappeto, che era insieme di denuncia e di intervento, attraverso scioperi a rovescia, digiuni, sit-in, inchieste ma anche attraverso iniziative pedagogiche – che, oggi, ci sembrano sempre più attuali, poiché si trattava anzitutto di “educazione alla pace” e però, insieme, al controllo “dal basso” dell’iniziativa pubblica, delle riforme ideate a Roma dai governi nati dalla caduta del fascismo. Ricordo che il “metodo della lotta nonviolenta” seguito da Dolci e teorizzato e studiato da Capitini (e penso alle sue “marce della pace” in anni di pericolo atomico) era giudicato a quel tempo, in Sicilia, come attuale e benvenuto da un grande scrittore dell’isola, Elio Vittorini, e invece inattuale da un altro grande scrittore siciliano, Leonardo Sciascia…
Dolci, quando fu lo Stato a intervenire e quando lo sviluppo (il “miracolo economico”) travolse il vecchio ordine e quando l’abbandono delle campagne si fece massiccio, ripiegò sull’intervento pedagogico e tornando a scrivere poesie (belle e importanti!). Oggi, dopo le grandi esperienze pacifiste degli anni della guerra inter-jugoslava, dopo esperienze che aggiungevano agli insegnamenti di Dolci e Capitini quelli della ricerca ostinata del dialogo tra le parti praticato soprattutto dal giovane leader dei Verdi Alexander Langer (allievo di don Milani), sembra come se si dovesse ricominciare ogni volta daccapo, e per questo gli insegnamenti di Capitini e Dolci ci sembrano così necessari, soprattutto oggi di fronte alla nostra – sbagliata – dichiarazione di impotenza...
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