Testimonianza di un partecipante
Dal 13 al 16 giugno 2024, circa 200 persone hanno partecipato a un pellegrinaggio in Terra Santa, a Gerusalemme e a Betlemme, con il card. Zuppi e il card. Pizzaballa, sulle orme della marcia dei “500 folli” con don Tonino Bello, nel dicembre del 1992 a Sarajevo.
Alfonso è uno dei partecipanti, ed è anche uno dei “500 folli”, come qualche giornalista ribattezzò i partecipanti alla marcia di Sarajevo. “Quella era più combattiva”, dice Alfonso. “Questa della settimana scorsa in Terrasanta è stata più leggera. Forse dovevamo andare a Gaza. C’era stata, prima, una proposta nata dal basso di andare a Gaza…”. Se si considera che sono passati trent’anni da allora, e sono mutati anche i rapporti di forza in senso generale, questa marcia promossa dalla diocesi di Bologna, di cui Zuppi è arcivescovo, potrebbe considerarsi una riproposizione di quella marcia di trentadue annu fa. Sicuramente c’è il coraggio di un arcivescovo, che è anche presidente della CEI, di osare l’inosabile, come direbbe don Tonino Bello, in modo incessante e instancabile, se è vero che Matteo Zuppi da diversi anni interviene come mediatore dei conflitti in diversi paesi, non ultima l’Ucraina e la Terra Santa di questi ultimi mesi e anni.
“I controlli esasperanti e le domande sfibranti dei soldati israeliani all’arrivo in Israele non sono mancati”, mi racconta Alfonso. “Le domande che ci ha fatto la polizia al chek in è un modo per darti fastidio e per farti vedere che quello è uno stato di polizia”
“Abbiamo incontrato gruppi di madri di ragazzi israeliani e palestinesi, che parlavano tra di loro in armonia e condividono un rifiuto e un’opposizione netta al conflitto armato che sta insanguinando Gaza da diversi mesi senza tregua”.
Alfonso, medico messinese in pensione da qualche anno, lo avevo incontrato alla marcia della pace Perugia-Assisi, nel novembre del 2000. Era una marcia “anomala”, perché organizzata da chi non aveva digerito la partecipazione di D’Alema, fresco di bombardamenti in Serbia, alla marcia di settembre sempre dello stesso anno. Alla marcia cosiddetta dei dissenzienti eravamo circa 2000, c’era anche padre Alex Zanotelli. Fu forse la prima volta, dalla prima marcia del 1961 organizzata da Aldo Capitini, che si creò una seconda marcia nello stesso anno, a pochi mesi da quella ufficiale, per motivi di “protesta interna”. Alfonso marciava con la bandiera con su stampato il volto di Ocalan. Alessia, di circa 25 anni, di Verona, che camminava accanto a noi, aveva detto che secondo lei c’era incongruenza tra una marcia nonviolenta e Ocalan. Alfonso aveva risposto che le parole che mi riporta anche adesso: “Quando nel 1997 incontrai Ocalan nella sua casa di Damasco – e mentre me lo dice mi fa vedere la foto di lui e altri tre amici insieme con Ocalan in un balcone – vedendo il khalashnikov accanto a lui e la pistola attaccata alla sua cintura, gli dissi ingenuamente che io credevo nella nonviolenza, e lui mi rispose così: ‘Caro Alfonso, io non vado in giro a sparare, per me è una questione di autodifesa e sopravvivenza, come lo era per i vostri partigiani negli anni Quaranta che imbracciavano le armi per non farsi ammazzare o per difendere i propri cari e le persone che venivano attaccate dai nazifascisti”. Alfonso mi ricorda poi che molti palestinesi incontrati lungo il cammino hanno manifestato una distanza dalle strategie e dalle azioni di Hamas, anche se poi ha anche ricordato le azioni provocatorie di alcuni soldati israeliani che ritardano di molto i controlli anche di automobili in cui viaggiano donne incinte in procinto di partorire. “Ne hanno parlato diversi organi di stampa, sia la TV che giornali come il manifesto”, ci tiene a precisare Alfonso. “Purtroppo, è capitato che la donna sia morta insieme al bambino. Poi se il marito di questa donna si imbottisce di esplosivo e si fa esplodere, anche se non lo facesse, di certo rimarrà imbottito di rabbia”. La questione dell’autodifesa e della nonviolenza sono state sviluppate da Paolo Dall’Oglio in un documento pubblicato anche su internet recentemente, ed è un nodo irrisolto del movimento pacifista degli ultimi trent’anni, forse dall’epoca della marcia di don Tonino Bello. Paolo Dall’Oglio diceva che basterebbe che dall’Europa partissero 30 mila persone disposte a fare da mediatori, questo non è avvenuto, né ai tempi di Sarajevo (erano 500!), né in Siria con Paolo Dall’Oglio, né in Ucraina né in Terrasanta, anche se questo pellegrinaggio al quale ha partecipato Alfonso è ancora una volta un segno per dire che si può, oltre che si deve. Alfonso, da molti anni, partecipa a diverse missioni di pace come osservatore internazionale, da volontario, in Kurdistan soprattutto ma anche in Congo nel 2001, a Bukavu. Mi dice che i carri armati dell’esercito turco che ha visto in Kurdistan sono prodotti dalla Oto Melara di La Spezia, così come le mine antiuomo che ha avuto modi di vedere in Kurdistan, Sarajevo e Congo, sono prodotto dalla Valsella di Brescia, gruppo FIAT. E qui verrebbe da citare la canzone Getta la bomba, di cui sono autore, la strofa che dice: “vende autoambulanze e mine antiuomo, così a chi stende poi lo riprende”.