Venerdì mattina, 4 ottobre, festa di San Francesco di Assisi, don Antonio mi invita a recitare la preghiera delle 7,00. Sono allenato, vengo dall’Eremo Le Stinche dove ho trascorso un mese, quasi sempre puntuale alla preghiera delle 7,00. Don Antonio a un certo punto recita a memoria il Vangelo di Marco, il passo in cui si dice che “l’uomo non separi ciò che Dio ha unito” e poi “Chi non accoglie il Regno di Dio come un bambino, non entrerà nel Regno dei cieli”.

Non per fare quello che nota certe coincidenze, ma la notte precedente, avevo mandato un messaggio su whatsapp a due o tre amici, in cui citavo questo passo del Vangelo, senza sapere che era quello della domenica successiva. Ed è nella messa di domenica 6 ottobre che don Antonio spiega questi due passi del Vangelo, spiazzandomi: pensavo che potesse scivolare nella interpretazione “facile” e conservatrice adagiandosi sulla colpevolizzazione di chi si separa o divorzia dalla moglie o dal marito. Invece parte da Adamo ed Eva, la traduzione ufficiale dice che “Dio fece addormentare Adamo e da una sua costola creò la donna”, ma “Questa è una barzelletta”, dice don Antonio facendo sorridere alcuni di noi partecipanti. Poi precisa: “in ebraico il termine ‘costola’ vuol dire anche ‘l’altro lato’, la parte femminile, l’altro di sé, la potenzialità che deve attualizzare”. C’è forse un richiamo al Vangelo di Maria di Magdala, in cui Maria dice che bisogna essere andròs, cioè uomo e donna insieme, acquisire una dignità di umani e non “da uomini”. Don Antonio sottolinea: “In ebraico, la parola maschio vuol dire anche ricordare, e noi dobbiamo ricordare questa unità maschio-femmina, nell’immagine Divina”. Essere uniti e in armonia con la donna che è in noi, con la nostra parte femminile, vuol dire aprirci a indefinite possibilità, spiega don Antonio. E poi aggiunge, a proposito dei bambini: “Così come l’armonia con la nostra parte femminile ci apre a possibilità indefinite, ci apre al Divino, anche i bambini sono tante energie e sono dentro di noi, così come le energie degli animali che abbiamo dentro e a cui Adamo ha dato un nome, noi dobbiamo imparare a innalzarle e a valorizzarle orientandole verso l’alto, non nel vizio ma nella virtù”.
Don Antonio l’ho incontrato per la prima volta nel 2021, in pieno periodo di green pass, a dicembre. Ero venuto nella sua casa canonica adiacente alla Chiesa di San Michele, sopra Castelfrancopiandi scò, in Valdarno. Avevo portato la chitarra per presentare informalmente, cioè per quattro persone (in linea con le disposizioni sanitarie di quel periodo?!), le letture e le canzoni che confluirono in uno spettacolo dal titolo “Nel nome di Maria (mia madre)”, presentato ufficialmente a Perugia in quel periodo. Con lui abitava la madre, la signora Maria, che quest’anno, a giugno, quasi centenaria, è morta. Don Antonio infatti ha l’età di chi ha attraversato il Concilio Vaticano II da adolescente. Ma non è sacerdote dai tempi del Concilio o poco dopo, lo è diventato in età adulta. Io l’ho incontrato tramite Mirella, un’amica comune incontrata nella prima estate dopo il Covid, all’Eremo Le Stinche. E’ lì che don Antonio, da laico, ha abitato per circa cinque anni, all’inizio degli anni Ottanta, fino a poco dopo la morte di padre Giovanni Vannucci, che aveva fondato quell’Eremo nel 1967. Recitare e cantare Donna di Paradiso, di Jacopone da Todi, attorno a un tavolo di legno e accanto a un camino, diede un senso intenso a quel mio primo incontro con don Antonio, sua madre e due amici venuti da Poggibonsi. Don Antonio ha un cenacolo di amici con i quali si incontravano una volta alla settimana per una lettura biblica, amici che venivano anche da lontano; dal covid in poi gli incontri continuano via zoom, qualcuno dei “vicini”, come Roberta e Alessandro, continuano a venire a trovarlo spesso, come alla fine di settembre per la Festa “degli Arcangeli”, come da nuovo calendario, festa che si svolge qui a San Michele, e poi si fa merenda nella spaziosa stanza del “circolino”. Uscendo dall’ingresso principale della canonica si trova l’uliveta, con gli ulivi che don Antonio cura e a breve raccoglierà le olive, ma negli ultimi tre anni, mi dice, il raccolto è stato scarso. A destra, adiacente alla Canonica, ci sono i locali di quello che fino a un po' di decenni or sono era il Circolo ACLI. Nel ripartire, don Antonio mi aveva pagato i miei libri che gli avevo lasciato, spiazzandomi, perché non solo mi aveva ospitato per una o due notti, ma anche perché, devo ammetterlo con rammarico, non sono molti i sacerdoti che sostengono monetariamente gli artisti, essendo abituati a ricevere in dono molte opere o piccole produzioni. Forse don Antonio, avendo vissuto da operaio della vigna, nel vero senso della parola, nel Chianti, dopo il periodo trascorso all’Eremo Le Stinche, conosce il valore del lavoro di ognuno, soprattutto se con questo lavoro e con le proprie produzioni, come nel mio caso, si vive senza altri introiti Statali o di rendite varie ed eventuali. Se è per questo, la sua “irregolarità”, è anche architettonica, nella disposizione dell’altare e, di conseguenza, dello spazio interno della Chiesa di San Michele, dove lui celebra ogni domenica mattina e ogni primo venerdì sera. L’altare sistemato al centro della navata crea un’atmosfera di raccoglimento e di attenzione che spesso si perde nelle Chiese con l’altare in fondo e i posti a sedere sviluppati lungo la navata. A chi gli chiede se ha chiesto il permesso al vescovo, lui risponde, sornione: “Gliel’ho comunicato...vagamente!”. Un altro dono che mi fece quando venni a trovarlo la prima volta, è la “Linfa di San Raffaele”, un flacone con il tappo a contagocce, che mi consigliò di prendere per quando mi sentivo debole e per la gola. Nel foglio che mi aveva dato c’erano scritte molte finalità e benefici. Si tratta di un amaro a base di erbe e una tintura madre. Lui mi disse che si era curato anche il covid con quell’amaro. Sarà che le erbe, se sapute miscelare e utilizzare, posso avere effetti miracolosi, sarà l’effetto placebo, io mi curai con quell’amaro all’inizio dell’inverno del 2022, quando rimasi a casa per due settimane, dicendo a me stesso che ero in fase di decongestionamento. Don Antonio ha continuato a tenere sempre aperta la Chiesa di San Michele durante il DPCM che tra marzo e maggio del 2020 stabilì la chiusura anche degli edifici di culto. Uno che abita a Figline in Valdarno, parlando seriamente e con rispetto, ha dato a don Antonio dell’ ”esorcista”. Qualcun altro in Valdarno lo conosce come “naturopata” o “uno che lavora con le erbe”. Qualcuno lo chiama con il titolo che ha acquisito studiando: “iridologo”. Di fatto è il parroco di San Michele ed è stato nominato esorcista diocesano, perché ogni diocesi ne deve avere uno di ufficio. Don Antonio cura le persone che lo vengono a trovare con la forza della parola, del Logos, termine, questo, a lui caro, e con le competenze acquisite studiando e stando a contatto con le persone, con la terra e con Dio. E’ uno dei pochi sacerdoti a non essere passato dal seminario, perché ha deciso di ordinarsi dopo i quarant’anni di età. Crede negli Angeli e nel loro amore che hanno per gli umani, nel loro potere di illuminarci e di aiutarci, misteriosamente, per non cadere in situazioni distruttive. Alessandro, a cena, qualche giorno fa, raccontava di quando don Antonio aveva preso i fili di rame scoperti, che prima aveva messo dentro la presa della sala, i fili avevano fatto una piccola esplosione di corrente elettrica, si erano bruciate le guaine che coprivano i fili, don Antonio incautamente li aveva presi per toglierli dalla presa, “e non si sa in base a quale legge non era rimasto fulminato”. Don Antonio vive come un monaco eremita contemporaneo, d’altronde, nel suo percorso, oltre il passaggio alle Stinche, c’è un breve periodo di comunità a Santa Maria delle Grazie, a Rossano Calabro, fondata a metà anni Settanta da Gianni Novello e attiva fino al 2010. E c’è anche una traccia “vallombrosiana” nel suo cammino (L’abbazia di Vallombrosa, storica comunità di benedettina a pochi Km da Figline in Valdarno) Ma a parte questo, don Antonio, di origine lucana, sembra che riesca a conciliare la forza dell’intelletto (compra, legge e studia enormi libri di teologia, filosofia, psicologia, pensiero orientale, gnosi…) con la saggezza della terra, l’elaborazione intellettuale, il bisogno di spiritualità, stimola a orientarsi verso il soprasensibile, partendo dal sensibile. Oggi, nella Chiesa parrocchiale, è stato realizzato un immenso arazzo raffigurante San Raffaele, l’originale è di Luisa Del Campana, con ricami di Marta, un’anziana ricamatrice. Per molti anni, fino al 2015, don Antonio ha organzzato seminari ad Assisi per la scrittrice francese Annick De Souzenelle, deceduta a circa 102 anni.


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