6° Anniversario di Indipendenza del Sud Sudan

Carissima amica e carissimo amico!  Pace a te! Come stai? Spero bene, e che comunque tu sia sempre in cammino per le strade della vita, nonostante i pesi che essa comporta. Anche questo, tuttavia, è salutare se c’è lo Spirito giusto! In questi ultimi mesi.... 

Ti riscrivo dopo diversi mesi dalla mia ultima lettera agli amici dal Sud Sudan alla fine dello scorso anno 2016, in cui salutavo i miei confratelli e la gente della missione della più giovane nazione al mondo ancora in guerra, prima del mio rientro in Italia. Sapevo che dopo aver vissuto la mia missione anche in qualità di superiore provinciale dei Comboniani, mi avrebbero chiesto una rotazione di qualche anno in un altro nuovo servizio,apostolato omissione e anche, eventualmente in un’altra provincia. E questo è avvenuto. Ma ve ne parlerò più avanti. Dagli inizi dell’anno 2017, sono rimasto a casa mia, con mia madre, per starle vicino e riposarmi un po', dopo i tanti impegni, le lotte e le responsabilità vissute durante gli ultimi anni della missione in Sud Sudan, specialmente negli ultimi tre anni di guerra civile, purtroppo, allo stato attuale dei fatti, ancora in atto. È stato un tempo di riposo, lettura, riflessione e contatto con la mia famiglia, con gli amici e con i parrocchiani. Poi, a partire dal mese di marzo, ho girato l’Italia per tre settimane, partecipando a incontri organizzati da amici  per raccontare il dramma del Sud Sudan e delle tragiche condizioni che questo popolo sta attraversando, a causa  di leader politici e militari che hanno permesso di sprofondare in una guerra fratricida e assurda. Voglio ringraziare ancora tutti gli amici che hanno organizzato e portato avanti le iniziative per sostenere la gente e i progetti del Sud Sudan, anche tramite incontri di sensibilizzazione su questa realtà. Shukran! Asante sana! Grazie mille! Gracias!

Poi se ricordate, agli inizi di aprile 2017, vi avevo anche inviato una lettera e un messaggio di posta elettronico nei quali vi salutavo fraternamente prima di partire per il pellegrinaggio a piedi per Santiago di Compostela in Spagna (camino Francese). Vi informavo che avrei camminato per oltre 1000 km da Saint Jean Pied de Port (non lontano da Lourdes, dove sono andato per un paio di giorni) passando dai Pirenei per arrivare a Santiago verso metà maggio, per poi proseguire sempre a piedi per il Capo di Finisterre sull’Oceano Atlantico e alla “fine del mondo”. Infine, sono sceso verso Lisbona per visitare i miei confratelli in Portogallo dove ho vissuto una stupenda settimana di confessione ai pellegrini diretti verso Fatima, prima di tornare in Italia alla fine del mese di maggio.

1.100 km per la PACE in SUD SUDAN

Ho desiderato profondamente vivere questo tempo di pellegrinaggio camminando per una causa importante: 1000 km per la Pace in Sud Sudan! Ancora oggi, in questo paese, c’è un’atroce guerra civile che ha messo in ginocchio l’intero Paese, e soprattutto la gente che è  allo stremo anche a causa della fame e del colera, che uccidono  le persone a migliaia. Tutto ciò è causa dell’ottusità politica e militare dei leader delle varie etnie, che si preoccupano più dei loro interessi piuttosto che a garantire una vita decente e civile alla propria popolazione. Ho pregato molto anche per te, per gli amici e per le persone vicine e lontane che portano le loro croci quotidianamente. Poi, di ritorno, sono rimasto ancora un po' a casa, aspettando la nuova destinazione e  preparandomi per questa nuova tappa della mia vita e missione. Di tutto questo vi parlerò nel dovuto modo più avanti.

Se il tuo Dio è Ebreo,

la tua macchina è Giapponese,

la tua pizza è Italiana,

il tuo gas è Algerino,

il tuo caffè è Brasiliano,

le tue vacanze sono Marocchine,

le tue cifre sono Arabe,

le tue lettere sono Latine...

Come puoi dire

che il tuo vicino è straniero?

 

COME STA IL SUD SUDAN?

Qualche giorno fa, Amnesty International, l’organizzazione non governativa che si occupa di monitorare i diritti umani in giro nel mondo, ha stilato un report sulle atrocità che il conflitto in Sud Sudan ha causato a milioni di persone. Il 9 Luglio 2017, abbiamo celebrato il 6° anniversario della nascita di questo nuovo Stato, ma quasi 4 di questi anni sono stati passati dalla popolazione nella guerra civile, che ha visto milioni di rifugiati all’estero, quasi la totalità nei Paesi vicini, e migliaia di morti dei quali non si saprà mai il numero preciso. Fame, colera e gruppi ribelli di varie etnie sono il frutto delle continue divisioni interne al Paese, dell’esercito governativo e anche dei ribelli stessi che lottano contro il presidente Salva Kiir. Prendo spunto proprio da questo report per informarvi e cercare di condividere con voi il dramma di un popolo sempre più alla deriva e abbandonato da tutti, anche da una comunità internazionale molto confusa, che invece di intervenire con misure decise, tergiversa a causa dei propri interessi politici e economici nella zona,oltre che a causa di strategie regionali e di alleanze geopolitiche.

Amnesty International ha denunciato che un nuovo fronte del conflitto del Sud Sudan ha causato atrocità, terrore e fame e costretto nell’ultimo anno centinaia di migliaia di persone ad abbandonare la fertile regione dell’Equatoria. Le ricercatrici di AI hanno visitato la zona nel mese di giugno 2017, documentando come le forze governative ma anche quelle dell’ opposizione abbiano commesso crimini punibili secondo il diritto internazionale, compresi quelli di guerra, contro la popolazione civile.
Queste atrocità hanno costretto alla fuga verso l’Uganda quasi un milione di persone. A questo numero, dobbiamo poi aggiungere i milioni di persone già fuggite negli anni precedenti verso il Sudan, il Kenya e l’Etiopia. Dopo aver combattuto negli Stati del Nord del Sud Sudan tra i Nuer, ora il conflitto si è trasferito verso sud ovest nelle regioni più ricche di acqua, terreno fertile e foreste, cioè nell’Equatoria.
"L’aumento delle ostilità nella regione di Equatoria ha significato brutalità ancora più diffuse contro i civili. Uomini, donne e bambini sono stati uccisi, pugnalati a morte coi machete e bruciati vivi nelle loro abitazioni. Donne e bambine sono state rapite e sottoposte a stupri di gruppo, ha dichiarato Donatella Rovera, Alta consulente di Amnesty International per le risposte alle crisi, appena rientrata dal Sud Sudan.
"Abitazioni, scuole, ambulatori e sedi delle organizzazioni umanitarie… tutto è stato razziato, vandalizzato e raso al suolo. Il cibo è usato come arma di guerra”, ha accusato Rovera. E continua: "Queste atrocità sono ancora in corso. Centinaia di migliaia di persone che solo un anno fa si sentivano al riparo dal conflitto, ora sono sfollate”. Per quasi tre anni, la regione dell’Equatoria, nella parte meridionale del Sud Sudan, era stata risparmiata dal conflitto esploso nel 2013 tra le forze dell’Esercito popolare di liberazione del Sudan fedeli al presidente Salva Kiir e quelle legate all’allora vicepresidente Riek Machar.
Intorno alla metà del 2016, sia le forze governative sia quelle di opposizione si sono dirette verso Yei, centro strategico di 300.000 abitanti, 150 chilometri a sud-ovest della capitale Juba, lungo un’importante arteria commerciale che si snoda verso l’Uganda e la Repubblica Democratica del Congo.
Le forze governative, appoggiate da milizie locali tra cui la famigerata e impunita “MathianAnyoor” (composta per lo più da giovani combattenti di etnia dinka), si sono rese responsabili di una lunga serie di violazioni dei diritti umani. Sebbene su scala minore, anche i gruppi armati di opposizione hanno compiuto gravi abusi.
Numerosi testimoni oculari dei villaggi intorno a Yei, hanno raccontato ad Amnesty International come le forze governative e le milizie loro alleate abbiano ucciso numerosi civili in modo deliberato e con accanimento.
In uno di questi casi, la sera del 16 maggio i soldati hanno arrestato 11 uomini del villaggio di Kudupi, nei pressi del confine ugandese. Hanno costretto otto di loro a entrare in una capanna, ne hanno chiuso la porta, hanno appiccato il fuoco e sparato alla cieca. Secondo quattro dei sopravvissuti incontrati da Amnesty International, due dei prigionieri sono arsi vivi e altri quattro sono stati uccisi dai proiettili.
Joyce, una madre di sei figli del villaggio di Payawa, ha raccontato quanto accaduto il 18 maggio, quando suo marito e altri cinque uomini sono stati uccisi dai soldati:
“Era la quinta volta che l’esercito attaccava il villaggio. Le volte precedenti si erano presi delle cose, avevano portato via degli uomini per torturarli e delle ragazze per stuprarle, poi le avevano liberate. Lo hanno fatto anche a Susie, la nipote di mio marito, di 18 anni. Era il 18 dicembre scorso”.

Il 21 maggio 2017 nove abitanti del villaggio di Gimuni sono stati rapiti dai soldati. La polizia locale ha ritrovato i loro corpi, segnati dai colpi di machete, intorno alla metà di giugno. Com’è normale, quando i soldati uccidono dei civili, nessuno è stato chiamato a risponderne.
Gli attacchi contro i villaggi da parte delle forze governative paiono spesso motivati dal desidero di rappresaglia contro le forze armate di opposizione attive nella zona. I combattenti dell’opposizione hanno a loro volta compiuto uccisioni deliberate di civili sospettati di parteggiare per il governo o per il solo fatto di essere di etnia dinka o rifugiati provenienti dai monti Nuba, ritenuti dalla parte del governo.
Con l’intensificazione dei combattimenti, il numero dei rapimenti e degli stupri di donne e bambine è cresciuto vertiginosamente.
“Il solo modo di essere al sicuro per donne e ragazze è quello di essere morte. Non c’è modo di esserlo fino a quando sei viva. È brutto da dire ma la situazione è questa…”
, ha detto Mary, 23 anni, madre di cinque figli.
Nell’aprile 2017, tre soldati hanno fatto irruzione nella sua abitazione in piena notte e due di loro l’hanno stuprata. Lei si è trasferita in un’altra abitazione abbandonata, ma una notte uno sconosciuto ha appiccato il fuoco, costringendo la famiglia a fuggire ancora una volta.
Le donne rischiano di essere stuprate soprattutto quando, a causa della scarsità del cibo e dei continui saccheggi, vanno a cercare qualcosa da mangiare nei campi intorno ai villaggi.
Sofia, 29 anni, ha raccontato di essere stata rapita due volte dai gruppi armati di opposizione. L’hanno tenuta prigioniera insieme ad altre donne per un mese la prima volta, e per una settimana la seconda, stuprandola ripetutamente in entrambe le occasioni, sebbene supplicasse di essere risparmiata in quanto madre di tre figli e vedova di un uomo ucciso dalle forze governative. In seguito, Sofia è fuggita a Yei dove ha grande difficoltà a procurare da mangiare alla sua famiglia. L’accesso della popolazione civile al cibo è estremamente limitato. Sia il governo sia i gruppi di opposizione hanno bloccato le forniture in determinate zone, si dedicano a saccheggiare i mercati e le abitazioni private e prendono di mira chi prova a passare lungo la linea del fronte anche con una minima quantità di cibo. Ognuna delle parti accusa i civili di passare cibo a quella avversa o di essere sfamata da questa.
A Yei, dove la maggior parte degli abitanti è fuggita nel corso dell’ultimo anno, i pochi civili rimasti sono praticamente sotto assedio. Non potendo più andare in cerca di cibo nei campi, soffrono per la grave penuria di prodotti alimentari.
Il 22 giugno le Nazioni Unite hanno ammonito che l’insicurezza alimentare ha raggiunto livelli senza precedenti in Sud Sudan.
“È crudelmente tragico che questa guerra ha trasformato il granaio del Sud Sudan, che un anno fa poteva sfamare milioni di persone, in un campo di morte che ha costretto quasi un milione di persone alla fuga in cerca di salvezza”
, ha commentato Joanne Mariner, Alta consulente di Amnesty International per le risposte alle crisi.
“Tutte le parti in conflitto devono riprendere il controllo dei loro combattenti e cessare immediatamente gli attacchi contro i civili che sono protetti dalle leggi di guerra. I responsabili delle atrocità, in qualsiasi parte militino, devono essere sottoposti alla giustizia. Nel frattempo è fondamentale che i peacekeeper delle Nazioni Unite eseguano il loro mandato che è quello di proteggere i civili dalla carneficina in corso”, ha concluso Mariner.

 MA NOI SAPPIAMO…..

Ma noi missionari e la gente, sappiamo benissimo che molto spesso queste parole non vengono ascoltate, né dai soldati né da chi ha il dovere di mettere in pratica questo mandato fondamentale per la sicurezza e per la protezione dei civili in Sud Sudan.  Troppi. in questi 4 anni, sono stati gli esempi di superficialità e di mancato intervento da parte dei soldati delle Nazioni Unite e del governo al fine di proteggere i cittadini dagli assalti provenienti da entrambe le parti. Le testimonianze che abbiamo letto in queste righe, ne sono la prova. E noi Comboniani, dopo la mia partenza agli inizi di gennaio, qualche giorno dopo abbiamo perso un’altra missione, LominKajoKeji, caduta nelle mani dei ribelli prima e dei governativi poi. Saccheggiata e totalmente distrutta;una delle migliori missioni organizzate della nostra provincia sud sudanese e, come riporta il report di Amnesty International nella zona più fertile e pacifica degli ultimi anni ora messa a fuoco e fiamme. I nostri confratelli e sorelle Comboniane hanno deciso di seguire la gente che si è trasferita in massa nei campi di rifugiati in Uganda. La vita là è veramente dura, non ci sono i servizi necessari per poter vivere ma nemmeno per sopravvivere. Quando si hanno milioni di rifugiati da gestire, il problema umanitario è grande per tutti. La speranza non è morta, continua a vivere dentro queste persone che lottano quotidianamente per sopravvivere con la voglia di riscatto e di ritornare un giorno alla loro terra.

E ALLORA QUALE FUTURO?

È troppo semplice descrivere il conflitto nel Sud Sudan come esclusivamente etnico. La lotta per il potere, la corruzione, la pessima gestione della leadership militare, politica, delle risorse e la mancanza di libertà di base, sono situazioni reali che complicano fortemente il conflitto. Le divisioni etniche sono rimaste una caratteristica costante della società sud sudanese per molti decenni. In passato, hanno indebolito la loro lotta per la liberazione e questo, è un fattore importante all’interno dell'attuale guerra civile. La ricca diversità etnica di questo bellissimo Paese dovrebbe essere causa di celebrazione, non di sofferenza.
La gente in questo conflitto civile così violento ha una profonda necessità: la sicurezza. Il conflitto civile - qualunque sia la sua origine politica - è spesso guidato da tale necessità, in quanto gruppi o leader tentano di assicurarla attraverso forze dirette e violente contro gruppi e leader dai quali si sentono minacciati.
La necessità di sentirsi al sicuro è una necessità primaria, tanto quanto la necessità di acqua, cibo e di un posto per poter vivere in pace. Questa necessità comprende non solo la sicurezza fisica, ma anche la sicurezza degli interessi economici (terre), politici (potere), legali (diritti e titoli) e dell’identità (appartenenza e status). Tali aspetti "diversi", spesso si combinano insieme, rendendo più difficile risolvere le controversie o il conflitto come sta avvenendo in questi ultimi anni.
Quando un gruppo percepisce che è minacciato, la risposta è quella di riunirsi e di ritrarsi dall’altro gruppo percepito come minaccioso. Il risultato è che, una volta che le persone si vedono minacciate, questo fatto influisce negativamente sul pensiero, sul sentirsi al sicuro e sulle azioni compiute verso gli altri. Questo, a sua volta, influenza come gli altri li percepiscono, creando così una divisione e aumentando il livello di minaccia. Inoltre, si riducono i sentimenti di identità condivisa, si rafforza l'identità di sottogruppi basati sui clan e sull'etnia, scompare la fiducia tra le persone e si apre la strada alla violenza. Tutto questo, perché la gente cerca di trovare la sicurezza che non possiede se non all’interno e attraverso il proprio sottogruppo.
In Sud Sudan, alcuni politici sfruttano le divisioni etniche per aumentare le loro ambizioni e ricchezze. Alcuni leader della comunità, personaggi notevoli e capi di famiglie, hanno anche un ruolo importante nel diffondere messaggi divisivi. Le comunità opposte rileggono e riportano fatti e narrazioni differenti e contrastanti del passato. Abbiamo storie concorrenti del Sud Sudan, nelle quali la colpa è attribuita ad alcune comunità mentre altre sono assolte da qualsiasi colpa.
Bisogna utilizzare questo bisogno e desiderio di profonda necessità di sicurezza e trasformarlo in una spirale positiva che porti all’unità e alla stabilità. Bisogna cercare di individuare e comunicare un'alternativa alla sicurezza tribale o clanica, al fine di vincere il sostegno pubblico e politico generale e al tempo stesso, esporre le contraddizioni e le insufficienze intrinseche dell'approccio clanico o tribale alla creazione della sicurezza. Nel fare questo, si cerca di costruire la forza continua dell'identità nazionale, degli interessi reciproci e della comunione reciproca. Bisogna educare e creare una cultura nazionale che promuova invece uno stato che difenda l'identità e gli interessi di tutti, creando un’identità nazionale.
Bisogna utilizzare un linguaggio di pace e di solidarietà da parte di chi media e aiuta a ricostruire il tessuto sociale nazionale e locale e bisogna, inoltre, ripristinare la fiducia tra i leader politici e militari, senza i quali non è possibile giungere a un accordo politico. Certamente deve entrare nelle menti e nei cuori dei politici, militari e cittadini, che io sono sicuro e posso vivere meglio, se e quando, anche l’altro mio vicino è sicuro.
Questo anelito ha lo scopo di informare e modellare il pensiero di politici, militari, formatori, leader civici, capi di famiglie, giovani e vecchi. Può essere usato dai mezzi di comunicazione e dal passa parola effettuato attraverso le organizzazioni della società civile, attraverso, i politici – sia al governo sia all’opposizione -, attraverso i leader civili e le altre comunità. Può essere comunicato non solo attraverso parole, ma anche attraverso i simboli e con le azioni di cittadini di ogni livello: quartiere / comunità, locale, stato e governo nazionale, società civile, chiese e moschee. Comprende tutti poiché necessita di tutti, al fine di rassicurare la collettività nei confronti di un futuro comunitario e che non sia solo appannaggio di pochi. Certamente bisogna lavorare molto sul concetto che soltanto quando tutti si  occupano di sicurezza erispetto reciproco e cadono i livelli di minaccia, c'è una maggiore sicurezza per tutti e lo spazio e gli incentivi per l'estremismo si restringono, mentre quelli per la cooperazione si alzano. Ciò offre una reale speranza di fine dell'insicurezza e della divisione e di ritorno alla stabilità e all'unità. Tutto il resto dipende da questo: posti di lavoro e prosperità, educazione e sanità, cessazione della corruzione, trasformazione di servizi pubblici che forniscano un governo e una giustizia adeguati.
È un lavoro paziente, snervante, difficile e continuo ma che potrebbe offrire un futuro determinato dalla mutua preoccupazione e dal rispetto, invece che dal conflitto e dall'instabilità. Non richiede che alcun sud sudanese ceda i propri diritti o rinunci a lottare per ciò che è giusto. Al contrario, può contribuire a creare un'atmosfera politica che favorisca l'effettiva risoluzione delle controversie. Dopo tutto, in aria di conflitto, la verità  diventa distorta rendendo le possibili risoluzioni ostiche. Preziose vite di giovani, scarse risorse e preziose opportunità di sviluppo sono sprecate. Tutti si sentono impotenti davanti all’insicurezza, anche gli avversari, ma cercando di lavorare sulla realtà di una sicurezza importante per il singolo quanto per la comunità, fornisce un raro strumento per trovare nuove vie alla pace. Quindi, se uno si sente al sicuro, anche l’altro si sente al sicuro; solo così si costruisce la pace. Sarà fattibile e ci sarà la giusta fiducia tra militari, politici, etnie diverse, giovani e adulti? Non lo sappiamo ancora, ma c’è speranza. La strategia può essere buona ma ci vogliono  cambiamenti nei cuori e nelle menti. È ancora lungo il cammino verso le guarigioni dai traumi e dai ricordi di milioni di persone che hanno vissuto guerre negli ultimi 40 anni. . Ma tutto è possibile, e dobbiamo crederci mettendoci al servizio in vari modi e su vari piani. Il governo ha lanciato qualche mese fa un’iniziativa intitolata National Dialogue (dialogo nazionale) all’interno della quale si vogliono coinvolgere anche i ribelli; purtroppo, questa iniziativa non sta funzionando perché tutto è nelle mani del governo stesso e del presidente Kiir. Ci vuole un gruppo neutrale e non di parte affinché ci si possa davvero mettere attorno a un tavolo con le molte controparti. Ed è anche necessario che sia davvero un’iniziativa globale e capillare all’interno della quale siano tutti veramente coinvolti in vista di un reale cambiamento di cuore, mente e sentimenti.

Tutti insieme per un cammino comune verso la Pace, la Giustizia e la Dignità!

Il Pellegrino, il pellegrinaggio e il cammino:
nient’altro che me verso me stesso

FaridAddin Attar, sufi persiano del XII secolo


E LE CHIESE COSA FANNO?

In questa situazione difficile e di divisione, la Chiesa cattolica e le Chiese cristiane sono molto attive sia sul territorio sia a livello internazionale. Il 27 ottobre 2016, papa Francesco ha voluto ricevere in Udienza in Vaticano i tre principali Capi cristiani del Sud Sudan (Chiesa Cattolica, Chiesa Episcopaliana e Chiesa Presbiteriana), che costituiscono il South Sudan Council of Churches (SSCC), un’organizzazione che opera unitamente per iniziative di pace, formazione umana e spirituale. Nell'incontro, il Papa ha confermato la proficua collaborazione fra le Chiese cristiane, che ha come obiettivi principali il bene comune, la dignità della persona, la protezione degli indifesi, la promozione di iniziative di dialogo e di riconciliazione, nonché la diffusione della cultura dell'incontro per poter superare tutto ciò che divide e distrugge la pacifica convivenza. Inoltre, ha sottolineato l'importanza dell’esperienza del perdono e dell'accoglienza dell'altro, via maestra per la costruzione della concordia e dello sviluppo umano e sociale. In quell'occasione, il Papa aveva accettato con gioia l'invito della delegazione ecumenica sud sudanese a visitare il Paese per ribadire la reciproca disponibilità a camminare e a lavorare con rinnovata speranza e mutua fiducia, per mostrare i valori positivi inerenti alle proprie tradizioni religiose, per dare risposte effettive al grido di dolore di tanti nostri fratelli e sorelle che soffrono per le violenze, e corrispondere con sollecitudine al loro anelito di una vita più dignitosa e giusta. Da quell'incontro  è emerso con chiarezza che il Paese ha bisogno della collaborazione di tutti, ma soprattutto dell'impegno delle parti coinvolte nel conflitto, in collaborazione con la Comunità regionale e internazionale, per l'immediato cessate il fuoco, il ripristino della sicurezza, la protezione dei civili e degli operatori umanitari, l'accesso agli aiuti umanitari e il sostegno per uno sviluppo equo. Il 26 febbraio scorso, durante la sua visita alla chiesa anglicana di Roma "AllSaints Church", è stato Papa Francesco in persona a rivelare il desiderio di recarsi insieme con l’Arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, primate della Comunione anglicana, in Sud Sudan. L'annuncio, com’era da immaginarsi, ha suscitato molta speranza in Sud Sudan e nella Comunità Internazionale anche perché sarebbe stato un viaggio storico, vissuto insieme dai due primati delle due Chiese.  Purtroppo, in questi mesi gli scontri armati non sono cessati, e ciò ha aggravato la crisi umanitaria e reso impraticabile l'auspicato viaggio apostolico. A peggiorare la situazione, si è aggiunta la crisi alimentare, causata dall'impossibilità dei contadini di coltivare la terra a motivo dell'insicurezza e dei cambiamenti climatici.

Il 30 maggio scorso, il Direttore della Sala Stampa Vaticana, Greg Burke, ha annunciato ai media che il viaggio di Papa Francesco in Sud Sudan, programmato per il prossimo ottobre, verrà rimandato per ragioni logistiche e di sicurezza. Naturalmente, questo rinvio è stato motivo di grande rammarico per Papa Francesco, il quale resta comunque fermo nella sua intenzioni di visitare quanto prima il tormentato Paese. Nel frattempo e in attesa che la situazione migliori, nonostante tutto, Egli ha voluto ardentemente assicurare la Sua attenzione e la Sua vicinanza alle Chiese, ai sud sudanesi, nonché ribadire l'urgenza di vincere la barriera dell'indifferenza e dell’ottusa fiducia nel potere delle armi come principale possibilità di soluzione dei problemi. Recentemente, ha voluto anche fare un gesto importante con l’iniziativa “il Papa per il Sud Sudan”, finanziando tre progetti umanitari del valore di 500 mila dollari: il primo in ambito sanitario, il secondo in quello dell'istruzione e il terzo nell’ambito del lavoro agricolo. Quest'incontro, è stata anche l’occasione per Papa Francesco e per i capi delle altre Chiese di verificare la loro preziosa collaborazione e segno di comunione in un paese diviso, dove le Chiese devono portare unità, riconciliazione e voglia di Pace vera. Uno Spirito e un clima di fiducia atti alla formazione delle misure necessarie per fermare la guerra, insieme a tutte le componenti della società civile, governative e dei ribelli. Si necessitano uomini di buona volontà, mossi dalla fede, che donino speranza alla popolazione e testimonino che è possibile convivere pacificamente e costruire insieme un futuro migliore, in cui le differenze non sono motivo di conflitto ma di arricchimento reciproco. Agli assordanti rumori delle armi, che provocano  distruzione, odio, spirito di vendetta e divisioni sempre più profonde, si contrappone il miracoloso e fruttuoso silenzio di molte persone che nel Paese già costruiscono luoghi di pace, salvano vite e fanno maturare impossibili frutti di bene. In particolare, vi sono già alcune iniziative che stanno dando viva speranza al Paese: il "Centro per la pace Buon Pastore" (GoodShepherdPeace Centre) a Kit, nei pressi di Juba, inaugurato il 15 ottobre 2016, voluto e costruito grazie all'impegno di tutte le congregazioni dei religiosi cattolici (RSASS) con l'appoggio della Chiesa locale per la formazione umana e di laici, clero locale e religiosi per la pace, guarigione dai traumi e per la riconciliazione; l'organizzazione Solidarity with South Sudanche unisce diverse congregazioni religiose femminili e maschili, appartenenti all'Unione dei Superiori Generali (USG) e all'Unione Internazionale dei Superiori Generali (UISG), e che da diversi anni lavora in sintonia con la Chiesa locale sud sudanese e sotto la direzione della Conferenza Episcopale (Sudan Catholic Bishops’ Conference - SCBC); il Villaggio della Pace Kuron, in Equatoria Orientale, fondato da Monsignor Paride Taban, Vescovo emerito di Torit, che dal 2005 ha iniziato a costruire un luogo in cui le famiglie di diverse etnie potessero vivere insieme, senza divisioni e in amicizia.; il CUAMM, che sostiene più di 90 centri per la salute, presente in diversi ospedali del Paese; come anche la Loreto Girl’sSecondary School, aperta a Rumbek nel 2008 e diretta dalle Loreto Sisters, che accoglie ragazze dinka per studiare e crescere insieme. Non dimentico certamente i miei confratelli e consorelle Comboniane che operano da 150 anni in questo paese e che, con i loro sacrifici e il loro lavoro di evangelizzazione e promozione umana, sono sempre stati fedeli e grandi servi del Signore in questo Paese martoriato dalle guerre e dalla morte, specialmente negli ultimi 50 anni. Non voglio certamente dimenticare anche le tante iniziative degli altri istituti religiosi sparsi e delle altre Chiese  sparse in giro per il Sud Sudan. Questo, è un grande segno di Luce, dato che tanti operatori di Pace stanno già vivendo e portando segni di cambiamento e futuro dentro questa realtà assurda di guerra fratricida. Il Papa ha più volte sottolineato che il bene e la pace non si ottengono con le armi! Infatti afferma: "È un'assurda contraddizione parlare di pace, negoziare la pace e, allo stesso tempo, promuovere o consentire il commercio di armi che causa tante vittime innocenti". Tra l'altro, l'insicurezza e l'instabilità si aggravano laddove è maggiore la diffusione delle armi. Non è umano rimanere inerti mentre tanti nostri fratelli e sorelle, per l’egoismo di pochi, soffrono indicibili violenze. Occorre, quindi, il coinvolgimento di tutti sull’obiettivo del bene comune. Non è facile, ma non è impossibile!!

UN LIBRO SUL SUD SUDAN DA PUBBLICARE: VUOI DARMI UNA MANO?

In questo ultimo mese di giugno 2017, da quando sono tornato dal Camino de Santiago, ho cominciato a preparare un libro che pubblicherò con l’amico Gianluca Ferrara delle Edizioni e Creativa/Dissensi. Si tratta praticamente della raccolta di tutte le mie lettere agli amici e di tanti altri articoli che ho scritto sul Sud Sudan e altre realtà limitrofe durante i miei 7 anni di permanenza. Sono arrivato nel 2009, in un periodo di grande speranza e aspettativa per ripartire alla fine del 2016 in piena guerra civile, una guerra che dura da oltre tre anni. Il titolo del libro sarà "SUD SUDAN: IL LUNGO E SOFFERTO CAMMINO VERSO PACE, GIUSTIZIA E DIGNITA’" 

Come per tutte le mie altre pubblicazioni, le offerte provenienti dalla vendita del libro saranno devolute a progetti sostenuti da noi Comboniani o altri organismi presenti in Sud Sudan come segno di solidarietà vera e fraterna alla gente di questo popolo crocifisso, uno dei tanti nella storia di questa umanità. Anche nella mia prossima missione continuerò a sostenere i miei confratelli del Sud Sudan perché conosco i bisogni e le sfide che la gente e i missionari stanno vivendo in questo particolare contesto. Ti chiedo, se è possibile, di darmi una mano a diffondere la notizia e magari anche il libro, nelle parrocchie, nei gruppi e nelle associazioni, nelle scuole, nelle università e in tanti altri luoghi. Sono disponibile dalla fine di settembre fino a fine ottobre 2017 per venire a presentare il libro in un' iniziativa che potete organizzare voi stessi all’interno della quale, se possibile, oltre al libro si possa parlare anche della realtà del Sud Sudan che, come sapete, non è quasi mai affrontata dai media, se non quando ci sono situazioni ancora più scabrose della guerra,della  fame e della carestia che purtroppo fanno parte della storia di questo popolo in questi tempi. Potrei venire anche accompagnato da alcuni amici che hanno scritto le prefazioni al libro, così che sarebbe anche occasione di dialogo e di  una riflessione più ampia sul tema e su ciò che sta accadendo in Sud Sudan e in Africa. Diamoci una mano a mantenere almeno una finestra aperta su questo dramma che si sta consumando nell’indifferenza di molti.

Per chi fosse interessato a organizzare un evento o una presentazione o un dibattito sul Sud Sudan, chiedo di contattarmi presto visto che già diversi gruppi e associazioni hanno già effettuato la loro prenotazione per un incontro serale, o pomeridiano, in scuole superiori o in università, per aprire mostre e convegni e altro. Il tempo sarà di un mese, e sono disponibile a viaggiare per l’Italia e venirvi a trovare, incontrarci e aver l’opportunità di poterci salutare e condividere molte cose. Il mio numero di telefono e indirizzo email lo trovate alla fine della lettera.

 

Il cammino non ti dà l’orizzonte
ma molti punti di vista

IN CAMMINO VERSO SANTIAGO DE COMPOSTELA….BUEN CAMINO!!

Se ricordate amici carissimi, vi ho mandato qualche mese fa la notizia che sarei partito per un pellegrinaggio a piedi verso il santuario di Santiago de Compostela. Il mio obiettivo era quello di raggiungere Santiago e poi Finisterre, nella Galizia spagnola e sull’Oceano Atlantico. Finisterre, cioè fino ai confini della terra dove i vecchi pellegrini del Medioevo giungevano dopo Santiago poiché era considerato il luogo in cui il mondo conosciuto a quel tempo aveva fine . Infatti, agli inizi del secondo millennio non si conoscevano ancore le Americhe o l’Asia, mondi lontani e sconosciuti così come le loro popolazioni, le loro lingue, i loro colori, le loro tradizioni e religioni. Poi, giunsero le “scoperte” o le “conquiste”, dipende sempre da che angolo si legge la storia dell’umanità. Queste due nazioni che ho visitato, Spagna e Portogallo, sono state molto presenti con i loro Regni nei secoli successivi e hanno dato un’impronta fondamentale alla storia e a ciò che tuttora sono i paesi Latino Americani con le loro conquiste e con il legami che hanno intrattenuto con queste terre.

Nel Medioevo, infatti,questo fenomeno religioso sorprendente del pellegrinaggio, creò una base comune di tipo culturale per quell’unità di popoli che noi oggi chiamiamo Europa. Il grande scrittore tedesco Johann Wolfgang von Goethe, agli inizi del diciottesimo secolo scriveva: “L’Europa è nata in pellegrinaggio e la sua lingua materna è il Cristianesimo.”

 

 

SANTIAGO DE COMPOSTELA: UN LUOGO, UNA STORIA, UNA TRADIZIONE SPIRITUALE

Ci sono sicuramente molti tra noi, tra i nostri amici e parenti che avranno sentito parlare almeno una volta del Camino de Santiago.Le domande che mi ponevo, e che tanti altri si sono posti  nei secoli passati, insieme alle curiosità, sono davvero tante. Perché questo luogo, a partire dal diciannovesimo secolo, è divenuto così importante da trasformarsi  in una delle mete di peregrinazione più importanti della storia della cristianità, attualmente anche a livello mondiale? Perché milioni di pellegrini nella storia hanno percorso le vie che conducono fino a questa città della Galizia, regione all’estremo nord-ovest della Spagna e della penisola Iberica? Cosa li spinge a incamminarsi fin là, nell’antico confine occidentale del mondo, dove la costa rocciosa sprofonda nel tenebroso oceano Atlantico? Da dove, e perché, nasce questa devozione verso un luogo così semplice e rurale, situato in una regione periferica dell’Europa, dove la natura florida è protagonista molto più che di grandi e importanti città? E soprattutto, cosa significava essere pellegrino nel passato e cosa significa esserlo oggi? Perché si va là, con che stile e con che motivazioni?

E TUTTO PARTÌ DA UNA STORIA DI VITA: SAN GIACOMO L’APOSTOLO (Sant’Iago)

Giacomo, figlio di Zebedeo, pescatore, era uno dei 12 apostoli di Gesù, come il fratello Giovanni l’Evangelista. Dopo la resurrezione di Gesù Cristo, per molti anni girò la penisola iberica per compiere l’opera di evangelizzazione. Tornato in Palestina fu fatto decapitare dal re Erode Agrippa, che temeva che l’apostolo acquisisse potere eccessivo; i suoi discepoli Attanasio e Teodoro, ne raccolsero il corpo e lo trasportarono segretamente con una nave nei luoghi della predicazione. Sbarcati nei pressi di Finisterr, si addentrarono in Galizia e gli diedero sepoltura in quella regione.
Nei secoli successivi si perse traccia del sepolcro. Nell’anno 813, l’eremita Pelayo vide, per molti giorni successivi, una pioggia di stelle cadere sopra un colle. Una notte gli apparve in sogno San Giacomo; egli  svelò all’eremita che il luogo delle luci indicava la sua tomba. L’abate rimosse la terra nei secoli depositatasi e scoprì il sepolcro. Ne diede notizia al Vescovo locale Teodomiro, che confermò la veridicità dell’accaduto. La notizia giunse presto al Papa e ai principali sovrani cattolici dell’epoca. Di qui, iniziò il culto di Santiago (il nome Santiago deriva dalla contrazione di San Giacomo). Fu costruita una piccola chiesa sul luogo del sepolcro; ben presto sorse intorno una città che fu venne chiamata Santiago de Compostela (da campus stellae, il campo delle stelle).

GLI ANTICHI PELLEGRINAGGI

Da alcuni secoli, gli arabi si erano insediati e dominavano la Spagna del Sud e quella Centrale: San Giacomo divenne il simbolo e il protettore della reconquista, il processo di riappropriazione da parte dei principi spagnoli della parte della penisola occupata dai “Mori”. San Giacomo fu quindi raffigurato come santo-guerriero e venne chiamato “matamoro”, ossia l’uccisore dei mori). La leggenda narra che molte volte il santo è  intervenuto in modo decisivo per aiutare i cristiani a sconfiggere i mori nelle tante battaglie combattute nei secoli successivi. La reconquista infatti, si concluse nel 1492, con la definitiva sconfitta degli arabi da parte del re Ferdinando e della Regina Isabella “La cattolica”.
Subito dopo la scoperta del sepolcro iniziarono i pellegrinaggi. I pellegrini confluivano qui da ogni parte d’Europa: la via lattea indicava la direzione da seguire. Il flusso in alcune epoche divenne imponente.
È interessante oggi, leggere e scoprire come questo tipo di iniziativa venisse preparata con tanto di riti e segni particolari. Alla partenza veniva compiuto il rito della vestizione con la consegna della bisaccia e bordone (il bastone). Il pellegrino alla partenza si spogliava dei propri averi e spesso era costretto a vendere o a ipotecare i suoi beni per potersi finanziare il viaggio; poi, faceva testamento e dava disposizioni per il governo del patrimonio in sua assenza. Spesso la Chiesa interveniva attivamente in questa funzione di tutela. Questo stato particolare conferiva al pellegrino un particolare prestigio.
La scelta di fare un pellegrinaggio era generalmente una libera decisione personale: per chiedere una grazia, per adempiere a un voto oppure per una ricerca religiosa personale.

Tuttavia in molti casi, il pellegrinaggio era imposto come pena dal giudice o come penitenza dal confessore per colpe o peccati di particolare gravità. Chi era ricco poteva mandare una persona a fare il pellegrinaggio per proprio conto. Anche qui, il potere dei soldi!

I pellegrini viaggiavano solitamente in gruppo, per sostentarsi e proteggersi reciprocamente: i pericoli erano rappresentati dallo stato spesso precario delle strade, dalle catastrofi naturali e soprattutto dai banditi che infestavano le strade.

Lungo il percorso, negli anni, si sviluppò una rete di servizi per il sostentamento dei pellegrini composta da chiese, monasteri, alloggi, ospizi, ospedali, locande, molti dei quali ancora visibili ai nostri giorni. Sulla stessa tratta nacquero inoltre paesi e città e furono costruite strade e ponti. Della protezione dei pellegrini dagli assalti dei briganti si occuparono per un lungo periodo molti ordini ospitaleri: tra essi, principalmente i Templari,fino al loro scioglimento nel secolo XIII). Anche molti re e personaggi storici noti effettuarono il pellegrinaggio; San Francesco fu uno di questi.

Il pellegrinaggio verso Santiago de Compostela ebbe una rapida diffusione nel mondo cristiano, nel quadro del rifiorire della spiritualità che caratterizzò l’inizio del secondo millennio. Dante Alighieri (Vita Nova, XL, XXIV) parla di tre grandi vie di pellegrinaggio:
– una diretta a Gerusalemme – i pellegrini erano detti “palmieri” (le palme d’oltremare); la palma era anche il simbolo del pellegrinaggio.
– una diretta a Roma – i pellegrini erano detti “romei” (da Roma); il simbolo era la croce.
– una diretta a Santiago – erano i “pellegrini” propriamente detti (il luogo più lontano, più peregrino); il simbolo era la conchiglia.

Le grandi direttrici dei tre grandi pellegrinaggi del mondo cristiano erano costituite da:
– un insieme di vie che, attraversando la Francia su più tracciati, confluivano a Roncisvalle e a Puente la Reina, per dirigersi a Santiago de Compostela
– un altro insieme di vie che, provenendo da diverse località europee, confluiva nella Via Francigena fino a Roma; chi andava in Terrasanta proseguiva lungo l’antica via Appia fino ai porti pugliesi. Questa stessa via era utilizzata, nella direzione opposta, dai pellegrini che, partiti dall’Italia e diretti a Santiago, valicavano le Alpi e si immettevano nella Via Tolosana.

Il pellegrinaggio verso Santiago ebbe periodi di maggiore o minore partecipazione. Fu sostenuto e promosso soprattutto dalla componente più illuminata ed evangelica della Chiesa.

Nel secolo XVIII iniziò un progressivo declino. La maggior parte delle strutture di accoglienza cadde in disuso; altre cambiarono destinazione d’uso. Si è avuta una ripresa a partire dagli anni Ottanta del ventesimo secolo. Un decisivo contributo è stato dato dalla visita del papa Giovanni Paolo II a Santiago nell’anno 1989, in concomitanza con l’incontro mondiale della gioventù: mezzo milioni di giovani arrivarono a Santiago da ogni parte del mondo; fu la maggior concentrazione di pellegrini mai registrata. Da allora, il flusso dei pellegrini è aumentato progressivamente e in modo inarrestabile. Il 23 ottobre 1987 il Consiglio d’Europa ha dichiarato i percorsi che portano a Santiago “itinerario culturale europeo, mettendo a disposizione risorse economiche per segnalare convenientemente il cammino, ristrutturare e costruire i rifugi in cui i pellegrini possano alloggiare; nel 1993 l’UNESCO lo ha dichiarati “patrimonio dell’Umanità”.

 

Non correre, pellegrino
la felicità, ciò che dopo ricorderai,
non sta nell’alloggio ma nel cammino

COSA VUOL DIRE ESSERE PELLEGRINI?

La parola pellegrino significa “colui che lascia la sua terra, la sua patria, per farsi straniero recandosi verso un luogo sacro o di devozione religiosa”. Deriva infatti dal latino peregrinus(straniero), composto da per (al di là) e da ager (campo); il termine identifica quindi un viaggiatore umile, che attraversa terre sconosciute e da “oltre i campi giunge di volta in volta presso altri luoghi dove è forestiero.

Il pellegrino non è un viandante errante o vagabondo; viaggia verso la sua meta irresistibilmente attratto da qualcosa; è una persona che rompe con la vita ordinaria caratterizzata dal ritmo lavorativo, le sue certezze e sicurezze familiari e si espone fiducioso nella Provvidenza, alle sorprese, alle novità, agli incontri. Un pellegrino è un viaggiatore dell’anima, aperto all’incontro rispettoso con l’umanità, capace di fraternizzare oltre le differenze, arricchendosi sempre più nello spirito. Egli sa ascoltare chi è nel bisogno, ha lui stesso l’umiltà di chiedere quando sente qualche necessità e scopre che veramente c’è più gioia nel donare che nel ricevere come i Vangeli ci testimoniano in maniera chiara e stupenda.

Lo spirito di abbandono e di disponibilità con il quale ho camminato, era ispirato da questo testo del Vangelo che mi ha accompagnato durante tutto il Camino di Santiago. Un testo stupendo che conosco e conosciamo a memoria da sempre, ma che se viviamo quotidianamente, ci penetra dentro e ci tona pace e serenità. E questo, sulle strade del Camino è realtà vissuta e condivisa con la natura e Creazione di fronte a noi e l’Umanità che il Signore ci fa incontrare da tutte le parti del mondo.

Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un'ora sola alla sua vita? E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede? Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in più.                              

Matteo 6,25-33

 

PERCHE’ UN PELLEGRINAGGIO? RELIGIOSO O LAICO…?

Per molti che ho incontrato e ascoltato, il pellegrinaggio a Compostela è un evento che segna la propria esistenza: qualcosa che determina un “prima” e un “dopo”. Lungo il Cammino può capitare di incontrare compagni di viaggio il cui ricordo ci accompagnerà per tutta la vita o con i quali si rimarrà in contatto a lungo. Così come è accaduto a me, è già accaduto per molti altri in passato. Oppure, può capitare di incontrare sé stessi. Di certo più che l’arrivo, il protagonista è il Cammino in sé, un itinerario che è molto più di una sequenza di chilometri percorsi e da percorrere. Il Cammino è proprio la metafora della vita quotidiana che viviamo con i suoi alti e bassi, delle speranze e delle sofferenze, delle gioie e delle lotte, dei fallimenti e dei successi. Il Cammino è tanto e molto altro….

Infatti la Peregrinatio ad limina  SanctiJacobi, come era chiamata nel Medioevo, o Cammino di Santiago de Compostela, come si usa dire adesso, è un percorso di passaggio e rinascita, di attesa, sofferenza e ricompensa finale. Ogni anno, più di 300.000 persone di ogni età provenienti  da ogni parte del mondo, si mettono in marcia per coprire centinaia e centinaia di chilometri. In Spagna ci sono più di dieci cammini diversi che portano a Santiago: il Francese, il Portoghese, quello del Nord, il Primitivo, quella de la Plata …

Io ho camminato su quello Francese, un percorso di circa 800 chilometri in un viaggio che si compie innanzi tutto all’interno di sé stessi, qualunque siano le motivazioni che spingono a partire. Questa è forse la chiave del Cammino: partire, non arrivare; viaggiare, non spostarsi; in un’epoca come la nostra, in cui la stessa distanza viene coperta in aereo in poco più di un’ora, può sembrare incomprensibile la scelta di impiegare settimane di fatica fisica, sotto il sole o pioggia, con le scarpe nel fango o i piedi pieni di vesciche, a piedi, in bicicletta o anche a cavallo…. Eppure il fascino del Cammino rappresenta un’attrattiva ancora irresistibilmente attuale, forse proprio perché in qualche modo “diversa” dall’esistenza quotidiana di molti di noi. Di fatto, compiere il pellegrinaggio è un’esperienza che continua anche dopo l’arrivo e dopo il ritorno a casa. Se la partenza è vissuta a volte come un fatto più intimo, il racconto, una volta tornati, diventa per molti un’esigenza quasi inevitabile da dover condividere e che possa contagiare gli altri.

I diari di viaggio che si trovano in libreria o su Internet sono testimonianza della voglia di raccontare, condividere, e in qualche modo rivivere un’esperienza irripetibile. Ho incontrato molti che il Cammino lo hanno percorso più di una volta, e non sono pochi. Raccontano che ciascun pellegrinaggio è diverso, non solo per la geografia o difficoltà, ma perché diverso è lo spirito con il quale lo si compie.

L’esperienza del Cammino è certamente influenzata dalla  compagnia con cui lo si affronta. Il percorso in solitaria, come l’ho vissuto io, permette di regolare a piacimento tempi e modi del viaggio, di ritagliarsi momenti di riflessione, silenzio, preghiera, riposo e visite a ciò che più interessa lungo il percorso. Ma soprattutto, il fatto di essere soli nel cammino,apre all’incontro con persone sconosciute all’inizio, ma che nel durare del pellegrinaggio, diventano amici e compagni di viaggio con i quali condividere molto delle nostre vite, speranze e lotte, aspettative e delusioni. Ma anche accompagnati da un amico fidato, dalla persona con la quale si condivide l’esistenza, da un padre o madre, o da un figlio, si ha la possibilità di riscoprire dialoghi che sembravano dimenticati. Ho conosciuto persone interessanti e belle dentro con le quali ho condiviso pezzi di strada e di spiritualità., ma anche persone protagoniste di dolori e sofferenze. Ho visto bambini piccoli camminare per centinaia di chilometri insieme alle loro mamme, oppure disabili in carrozzina o in stampelle che percorrevano con grande impegno e intensità il percorso come tutti noi. Grandi esempi di determinazione, forza di volontà e  abnegazione.

 

ULTREYA Y SUSEYA! BUEN CAMINO PEREGRINO……!!

La responsabilità di avere una persona al proprio fianco sprona nei momenti di stanchezza e conforta in quelli di emotività. Viaggiare in gruppo pone di fronte a tutte altre dinamiche: a volte il gruppo è saldamente costituto anche prima di partire, altre volte si costituisce spontaneamente lungo il percorso quando durante una sosta, nel corso di una salita, sotto un temporale improvviso o di fronte a un pezzo di pane, si scoprono sentimenti e ideali comuni, forze e debolezze, attese e motivazioni e speranze condivise.

Percorrere il Cammino non è necessariamente un’esperienza religiosa, ma in qualche modo lo diventa.

Sul Cammino ci sono migliaia di persone ogni giorno. C’è il mondo su quelle strade. Gente che proviene danazioni del Nord del mondo, ma anche dall’America Latina, dall’Asia, dall’Oceania e qualcuno …. dall’Africa.

Su questo Cammino verso Santiago, non pochi sonoi non cristiani, o addirittura i non religiosi o atei, che si avventurano lungo queste strade, per scoprire poi di aver trovato qualcosa che non cercavano, di aver scoperto ciò di cui non pensavano di aver bisogno. E questo, è forse il dono più grande del Cammino di Santiago. Infatti non a caso, ci sono stati molti partiti come turisti e arrivati come “pellegrini”. Sono convinto che tutti coloro che partono per questi percorsi per motivi vari come dimagrire, sport, turismo, arte e così via, in fondo in fondo sono anche alla ricerca di un profondo senso e di una profonda motivazione di vita, religiosa o meno È mia piena convinzione che per tutti, il Signore, ha già messo dentro questa smania e desiderio di vivere, questo tempo di cammino per scavare e vivere più sobriamente e intensamente la propria vita e porsi le domande essenziali per il presente e il futuro.

Ultreya y Suseya era il saluto che si rivolgevano i pellegrini di un tempo quando si incontravano. Ora, è molto più usato “Buen Camino!” Ovvero “Buon cammino”….fisico ma anche di vita! È un augurio importante e un incoraggiamento che apre il cuore e la mente di chi ti sta davanti nel camminare o che ha bisogno di un aiuto. Ci sono grandi testimonianze di aiuto reciproco e di solidarietà gratuita durante tutto il cammino e nei semplici ostelli dove ci si ferma la notte per riposarsi, rinfrescarsi, rifocillarsi e dormire. E ripartire…..con più entusiasmo ed energia!

Le parole latine,Ultreya y Suseya derivano da un antico canto riportato nel quinto libro del Codex Calixtinus (libro di San Giacomo cioè le prime descrizione del pellegrinaggio a Santiago di molti secoli fa) in latino: “Herru Santiagu, grot Santiagu. E ultreia e suseia Deus adiuva nos” che significa“San Giacomo, Signore, buon San Giacomo, più avanti, più in alto. Dio ci protegga”.

Quindi caro amico e cara amica! ULTREYA Y SUSEYA!! BUEN CAMINO DE VIDA A TI!!! Un grande augurio a te per una vita piena e di coraggio per i tanti sali e scendi che ci riserva. Ma anche peri bellissimi panorami e incontri che ci toccano il cuore … anche nella vita quotidiana!

Soprattutto sempre avanti ma anche guardando in Su, verso l’alto, perché è là dove Lui ci guarda e ci sostiene, ci aiuta e ci protegge! Saggezza dei nostri vecchi e antichi pellegrini!

Prima di partire per il Camino de Santiago avevo trovato una bella frase di un vescovo indimenticato profeta e testimone del Vangelo, Don Tonino Bello. Questa frase provocatoria era ed è ancora molto attuale perché, in effetti, se ci guardiamo dentro e fuori, ma soprattutto intorno, in questo mondo le sue parole sono pesanti come…macigni! Ma straordinariamente vere e da vivere in pienezza! Una sfida che rimane comunque aperta e in agguato tutti i giorni della nostra vita…..

“Il pellegrinaggio più lungo non è quello verso Santiago de Compostela, ma quello che va dall’uscio di casa nostra a quello di fronte!”

Don Tonino Bello

Il “caso” ha voluto che facendo una tappa di montagna, precisamente a O’Cebreiro a 1300 mt.d’altitudine, visitando e pregando nel piccolo santuario del posto, abbia trovato questa preghiera/riflessione che ho gradito molto e  fatto mia. Ed è da stimolo a molti pellegrini o camminatori…ma è molto vera!! In continuità a quella di don Tonino Bello…

 

E DOVE SEI ARRIVATO PELLEGRINO ???

Anche se avessi percorso tutte le strade, montagne e valli,

dall’Oriente all’Occidente, ma non ho scoperto la libertà di essere me stesso,

non sono arrivato da nessuna parte.

 

Anche se avessi condiviso tutti i miei beni con gente di altre lingue e culture,

fatto amicizia con pellegrini di tutte le parti del mondo,

condiviso rifugi con santi e nobili,

ma non sono capace di perdonare subito a chi mi sta accanto,

non sono arrivato da nessuna parte.

 

Anche se avessi portato sempre il mio zaino, dall’inizio alla fine,

e curato qualche pellegrino nel bisogno, o ceduto il letto a chi è arrivato dopo di me,

e donato la mia borraccia senza chiedere nulla in cambio,

però tornato a casa e al mio lavoro non costruisco fraternità e non dono gioia, pace e unità,

non sono arrivato da nessuna parte.

 

Anche se ho avuto cibo e acqua tutti i giorni, e goduto sempre di un tetto e di una doccia

E ricevuto cure per le mie ferite, ma non ho scoperto che tutto era per amore di Dio,

non sono arrivato da nessuna parte.

 

Anche se avessi visto tutti i monumenti e contemplato i migliori tramonti,

anche se avessi imparato un saluto in ogni lingua, e bevuto l’acqua limpida di tutte le fonti,

ma non ho scoperto chi è l’autore di tanta bellezza e di tanta pace,

non sono arrivato da nessuna parte.

 

Se da oggi non cammino sulla tua strada cercando di vivere come qui ho imparato;

se da oggi non vedo in ogni persona amico e nemico un compagno di viaggio;

se da oggi non riconosco che Dio,  Dio Padre di Gesù di Nazareth, è l’unico Dio della mia vita,

non sono arrivato da nessuna parte……

 Preghiera di Fraydino

 

LOURDES, FINISTERRE, FATIMA E LISBONA…

Agli inizi di aprile, prima di prendere la via verso Saint Jean Pied de Port , località ai piedi dei Pirenei e prima tappa del Camino, mi sono fermato a Lourdes al santuario di nostra Signora per prepararmi spiritualmente ad affrontare non solo fisicamente il pellegrinaggio, ma anche spiritualmente. E così ho fatto. I due giorni che ho trascorso a Fatima si sono rivelati molto belli, pieni di preghiera e di incontri con malati e pellegrini che venivano anche qui da tutto il mondo, alla ricerca della pace interiore, della guarigione fisica ma soprattutto spirituale. È sempre molto utile accostarsi ai malati quando ci si cala alla scoperta di un Cristo che è misericordioso, solidale e amorevole dentro le cure che i volontari, i parenti dei malati e i malati stessi cercano di condividere in quel luogo di silenzio e preghiera. Questa tappa spirituale, prima di affrontare il viaggio fisico con energie più grandi e poderose, affidando a Maria nostra Madre il pellegrinaggio e la mia vita, è stata molto salutare. Ho anche pregato per alcune persone in particolare, malati, coppie, famiglie e per tanti eventi e situazioni vissute e ancora in atto, come la Pace in Sud Sudan. Da lì, ho cominciato a portare questo desiderio e preghiera per la Pace offrendola a Maria durante tutto il Camino fino ad arrivare a Lisbona, ultima tappa di questo lungo pellegrinaggio che passava da Santiago ma che toccava luoghi significativi come Finisterre e Fatima in Portogallo.

È stata un’esperienza molto profonda. Nel cammino ero solo, ma in realtà non sono mai stato solo. Quel Qualcuno c’era sempre ad accompagnarmi, ma c’erano anche tanti altri pellegrini, fratelli e sorelle che provenivano da questo immenso e stupendo mondo, anche loro alla ricerca di sé stessi, di vita e di fede i credenti ma di nuove motivazioni per la propria storia personale i non credenti. Magari un giorno lo farai anche tu. E te lo auguro di cuore! Ne vale la pena…ma…preparati interiormente e fisicamente. E magari qualcuno lo ha già vissuto in pienezza e capisce i sentimenti, il desiderio e  la voglia di rivivere questa esperienza. Il Signore fa sempre bene le cose……prima e dopo. Il mio amico e hermano Angelo Di Napoli ne sa qualcosa. Lui lo ha già fatto due volte e se potesse, lo farebbe subito … e, come Angelo, ci sono molte altre persone che bruciano dal desiderio di vivere la spiritualità della strada. Ma tutti i pellegrini sanno che ciò che conta è….il ritorno a casa! È lì, dove ci si ritrova per vivere i valori scoperti o riscoperti durante il Camino. L’importante è lasciarsi provocare dallo Spirito del Camino!!

In questi due mesi di pellegrinaggio, ho avuto veramente tempo per pregare, far silenzio, osservare e godermi la natura, i panorami, la storia, l’arte e la bella gente che ho incontrato e con cui ho condiviso pezzi di cammino ma anche di vita. Mi sono sentito accompagnato da amici, parenti e persone che mi vogliono bene e che mi hanno trasmesso la loro preghiera, il loro spirito e la loro forza. Anch’io, ho pregato molto per te e per quelle persone che ne avevano bisogno come i malati, le persone a rischio, le famiglie in difficoltà, i giovani sbandati o delusi e depressi, per ciò che sentiamo sempre nei nostri cuori e non riusciamo mai a chiamare con un nome in modo da poterlo trasformare in creatività per costruire un mondo migliore, più umano con una spiritualità intensa e incarnata nella realtà e nella storia dell’oggi di questo mondo.

Anche l’uso di Facebook è diventato fonte e sorgente di bellissime condivisioni, comunicandovi ogni due o tre giorni ciò che vivevo e mettendo anche qualche foto. Le vostre reazioni  mi hanno toccato il cuore e accompagnato nel cammino e nella preghiera. C’era Dio dentro in tutto questo…!! Sentivo che camminavate con me!!

Sono passato anche da due nostre comunità Comboniane sul Cammino a Santiago stesso e a Palas de Rey dove i pellegrini vengono accolti  in parrocchia. Sono stati momenti in cui ho condiviso davvero le gioie della missione di un mondo che cammina sulle strade verso Santiago! Per noi missionari è come se la Missione venisse a casa …!

Arrivato a Santiago, dopo aver vissuto tre giorni intensi di spiritualità in mezzo a tanta confusione di pellegrini, sono ripartito per Finisterre, verso la “fine del mondo”.Nel giorno del mio arrivo sotto la pioggia e in compagnia di due anziani amici trentini, come tutti i pellegrini abbiamo ritirato la nostra Compostela cioè il documento strettamente in latino che certifica che il pellegrino ha veramente compiuto il Camino de Santiago. Questo, rimarrà per sempre un pezzo di carta che ci ricorderà momenti stupendi, compagni, preghiera e Grazie vissute. Nella messa del pellegrino di quel giorno, il Vangelo mi e ci dava ancora una volta un messaggio chiaro e preciso, con un invito a seguirlo sempre con radicalità nella vita quotidiana. “Io sono la Via, la Verità e la Vita” e in spagnolo suonavano ancora meglio:  “Yo soy el Camino, la Verdad y la Vida” Davvero, il caso non esiste….

Successivamente, ho deciso di passare da Muxia, sulla punta della Galizia, posto stupendo e ancora vergine da un punto di vista turistico. Ho camminato per altri 120 chilometri in mezzo a boschi stupendi, ma la pioggia mi ha accompagnato fino alla fine, così com’ero arrivato a Santiago sotto una pioggia torrenziale. Finisterre è un paese oggi molto turistico alla punta estrema dell’Europa e della Galizia. Un luogo che tanti pellegrini, ma anche tanti turisti visitano per vedere il luogo estremo dell’Europa e godere dei tramonti bellissimi verso le dieci. Qui, i pellegrini di un tempo, venivano a cercare le cape sante, cioè le conchiglie, il simbolo del pellegrinaggio di Santiago. Segno che stava a significare che erano arrivati fino in fondo al pellegrinaggio e che riportavano indietro quasi come lasciapassare sulla via del ritorno verso casa. Anch’io ho cercato le cape sante sulle bellissime spiagge di Finisterre e Muxia e le ho trovate, ma ciò che più mi premeva era portare alla fine di questo cammino di 1100 chilometri il simbolo di un paese e di un popolo che ho servito negli ultimi 7 anni della mia vita, il Sud Sudan.

Al Faro costruito proprio sulla punta del promontorio, con le sue rocce che cadono a strapiombo proprio dentro l’Oceano, ci sono vari monumenti e uno di questi è un palo a forma di freccia che guarda verso l’alto. In varie lingue c’è scritto: “Che la Pace prevalga sulla terra”. Proprio qui, l’ultimo giorno del mio pellegrinaggio ho deposto la bandiera del Sud Sudan che avevo portato con me e che avevo offerto alla Madonna a Lourdes e a San Giacomo a Santiago e in tanti posti e chiese toccate durante il pellegrinaggio, come simbolo del Popolo Sud Sudanese e. Poi, lo avrei fatto anche a Fatima perché non abbiamo tante Madonne ma una sola e unica Maria, nostra Mamma nella fede e nella vita. Di nuovo mi tornavano in mente le parole latine che avevo incontrato anche diverse volte nel cammino:  ULTREYA E SUSEYA! Più avanti e più SU!

Proprio così, più avanti e più su guardando il Signore che può ciò che noi umani non riusciamo a fare anche con tutte le potenzialità e i talenti che abbiamo. E quella punta di palo e i tanti segni lasciati attaccati a esso dai pellegrini che venuti qui, mi mostravano ancora una volta quanto desiderio di Oltre ci fosse in ogni uomo, credente e non credente. In ognuno di noi c’è una profonda ricerca di Verità e di Pace vera! Quindi, sono stato felice di offrire la bandiera di un popolo crocifisso e sono certo che questo cammino lungo 1100 chilometri abbia avuto un senso, se non agli occhi degli uomini di certo a quelli di Dio. Ne sono certo, perché Dio non chiede sacrifici, ma gioia e desiderio di servire i fratelli e sorelle dovunque Lui ci mandi!

In effetti, non lo sapevo ancora, ma proprio quel punto che credevo fosse davvero “la fine del mondo” di quel tempo e dell’Europa di oggi, sarebbe diventato invece un punto di partenza per la mia nuova vita missionaria: ULTREYA Y SUSEYA! Avanti sempre avanti, e sempre più Su!! Ve lo spiegherò … andate più avanti!!

L’esperienza di una settimana a Fatima, al servizio dei pellegrini provenienti da tutto il mondo, è stata davvero edificante e intensa. Sono sceso da Santiago con il bus presso il Santuario di Fatima, che ho visitato per la prima volta. Un momento di spiritualità e incontro con tanti pellegrini e gruppi che venivano a pregare in questo luogo silenzioso, che permette di vivere un tempo intenso di incontro con Dio e con sé stessi.

Per tutta la settimana, sono rimasto a disposizione dei pellegrini per le confessioni in inglese, italiano e qualche volta anche in spagnolo. Circa 6-7 ore al giorno nel confessionale; vi confesso che è stato davvero un tempo di Grazia. Ho ascoltato, ascoltato, ascoltato molto. Ho pregato e cercato di essere mediatore della Grazie e Misericordia del Padre in quel tempo che i pellegrini hanno voluto dedicare a questo delicato e importante sacramento della Riconciliazione. E ho trovato tanta docilità e desiderio di riconciliarsi veramente. Gente giovani, adulti, anziani e gruppi. Alcuni non si confessavano da 20-30 anni o avevano remora nel condividere situazioni personali o familiari davvero toccanti e difficili. Sentivo che aprivano il loro cuore in modo sincero e vero, senza nascondersi dietro a maschere e paure; alla fine di questo tempo donato e abbondante uscivano dal confessionale sorridenti e gioiosi. Per me, è stato un grande segno di affetto da parte del Signore; ogni uomo, nonostante tutto, è buono dentro perché siamo davvero Creature di Dio!

Tempo di Grazia e di testimonianza di tante persone semplici e umili, ma che con le loro difficoltà hanno rappresentato davvero l’Umanità ferita e bisognosa della grande Misericordia di Dio!

Dopo aver vissuto questo tempo di Grazia e di Perdono, sono partito per Lisbona per andare a trovare padre Joe Vieira, Comboniano, provinciale superiore del Portogallo che è stato con me per qualche anno nella missione di Juba. Sono andatoo anche per visitare i confratelli della comunità grazie alla quale ho potuto godere Lisbona, che ho visitato per la prima volta. Ne è valsa la pena.

L’ultimo giorno della mia permanenza a Lisbona, poco prima di ripartire, ho ricevuto la notizia che il Papa ha dovuto posporre il viaggio previsto per il Sud Sudan nel mese di ottobre 2017. In quel momento mi sono rattristato perché avevo pregato molto per quel viaggio che Papa Francesco vuole fare per andare a trovare la gente ferita del Sud Sudan. Questa visita è stata posticipata per motivi di sicurezza,ma sappiamo da fonti certe che Francesco vuol partire al più presto, non appena le condizioni lo permetteranno. Il popolo sud sudanese è radicato nel suo cuore poiché è uno dei popoli più crocifissi della storia e del mondo da diverse decine d’anni! Il Signore ha i suoi tempi e sono certo che questo viaggio avverrà e che sarà un grande segno per questa gente, delusa,  nell’aver ricevuto questa notizia in mezzo altrettante tante notizie negative di guerra, fame, e malattia. Ma chi semina nel pianto, miete nella gioia dice il salmo. Quindi metto e mettiamo la nostra fiducia e speranza nel Signore che cambierà la tristezza in gioia piena!

 

IL FUTURO: UNA NUOVA MISSIONE ALL’ORIZZONTE…..

Dopo questo tempo di riposo di qualche mese, di incontro con tante e diverse realtà, certamente un tempo di grande Grazia e Rinnovamento, sono pronto a ripartire.

Tanti parenti, amici, confratelli, religiosi e parrocchiani durante questi mesi hanno continuato a chiedermi dove sarei andato dopo questo tempo sabbatico, soprattutto in seguito al Camino de Santiago. Sapevo già che non sarei ritornato in Sud Sudan dopo il mio periodo di sei anni come superiore provinciale perché come Istituto abbiamo una giusta “regola” che consiste nel rimanere fuori dalla provincia di assegnazione per qualche anno, per facilitare chi ci sostituisce a entrare in maniera libera e piena nel nuovo ministero senza nessuna influenza o presenza. Ma ritornerò in Africa prima o poi!

Prima della partenza dall’Italia per il Camino ho ricevuto diverse proposte da parte della mia Direzione Generale Comboniana e dalla Provincia Italiana per vari servizida vivere qui in Italia  quali gli immigrati, i laici, i giovani, l’ animazione missionaria e così via .

Ma il nostro Padre Generale e il suo consiglio avevano un paio di proposte tra Roma e gli Stati Uniti d’America.

Ho chiesto a tutti loro di aver pazienza, un po' di tempo per pregare e meditarci su e chiedere consiglio al Signore, a Santiago, alla Madonna e a persone sagge. E così è stato. Mentre camminavo e meditavo e condividevo con tante persone il cammino, ho sentito che dovevo ancora una volta fidarmi pienamente del Signore e accettare qualsiasi destinazione mi avrebbero offerto.

Quando sono tornato in Italia, dopo qualche giorno sono andato a Roma alla Direzione Generale, per comunicare la mia totale disponibilità nel prossimo impegno missionario senza dare nessuna preferenza come avrei potuto invece indicare, come Padre Tesfaye Tadesse, generale dei Comboniani, mi aveva comunicato sin dal mio ritorno dal Sud Sudan, ma ho sentito che era bene lasciar fare al Signore.

Così, mi hanno assegnato alla provincia degli Stati Uniti d’America che certamente non era nei miei orizzonti di missione fino a poco tempo fa. Certo, ci ero già stato nel 2014 per una quarantina di giorni direttamente dal Sud Sudan per alcune giornate missionarie. Ne avevo ammirato la bellezza ma avevo anche scorto le grandi contraddizioni di un paese che molti considerano patria della democrazia e della libertà, ma che nasconde in realtà tanti volti e storie di poveri e di decadenza sotto vari aspetti.

La Direzione Generale mi manderà a Newark, una città vicino a New York, in cui è presente una parrocchia comboniana, per un lavoro molto delicato, complesso e difficile. Con altri missionari di congregazioni residenti nella zona, sarà necessario continuare il lavoro portato avanti in questi anni da altri come VIVAT (nome dell’organizzazione missionaria) che opera all’interno dell’ONU, al palazzo di vetro delle Nazioni Unite.

Cert,o un lavoro che sembra freddo e lontano dalla gente e dalla frontiera vissuta negli ultimi 20 anni. Ma chi mi manda ha fiducia che l’esperienza accumulata, gli di lavoro e conoscenza in Mani Tese, e questi ultimi anni in Sud Sudan mi abbiano portato ad una conoscenza profonda di situazioni e meccanismi perversi che condannano miliardi di persone in Africa e in tutto il Sud del mondo. Un lavoro che vuole essere di advocacy o lobby, cercando di coinvolgere, informare e premere su temi, scelte e decisioni dei rappresentati all’ONU nelle loro deliberazioni nei confronti del mondo, e soprattutto della gente più vulnerabile e povera dei continenti del Sud del mondo. Un simile lavoro mi è chiesto anche a nome dei Comboniani nell’organizzazione AFJN, Africa Faith and Justice network a Washington, dove si lavora esclusivamente per il continente Africano presso il Parlamento Americano insieme ad altre organizzazione della società civile americana. Gli States hanno grossi interessi in Africa, e queste organizzazioni cercano di prevenire situazioni ed eventi negativi a svantaggio dei popoli Africani, cercando di proporre iniziative positive e di coinvolgimento nel rispetto della dignità umana e dei popoli che già portano enormi croci.

Certo un lavoro molto diverso da ciò che ho sempre fatto e vissuto a Korogocho e in Sud Sudan, ma che in effetti mi dimostra come la missione si sviluppi a 360 gradi e che non possiamo più considerare pienamente missione solo il Sud del mondo ma anche realtà del Nord e istituzioni dove si decidono davvero le sorti, il presente e soprattutto il futuro di chi non può far sentire la propria voce calpestata e lontana da questi centri di potere politico ed economico.

Avrò anche tempo di incontrare tanta gente, e comunque cercherò un impegno con la gente meno fortunata ed emarginata in un contesto di grandi sperequazioni come quello degli Stati Uniti . I poveri, gli emarginati, i piccoli e tanta sofferenza esistono anche là e ci chiama ad ascoltare e soprattutto a condividere i sogni anche con loro, aprendosi a ciò che sono le grida dei poveri di tutto questo mondo, vicini e lontano. È importante per me, e per il mio essere missionario e sacerdote, vivere con le “pecore” e sentirne sempre l’“odore” per poter crescere nella fede e nell’Amore di Dio e della gente. Lavorerò per la mia provincia americana anche per nel campo della Giustizia, della Pace, della Riconciliazione e della Salvaguardia del Creato e, potrete capire quanto sia difficile farlo oggi con l’amministrazione politica di Trump che si schiera sul fronte opposto rispetto a molti valori umani e di rispetto per la  vita, per i popoli e per l’ambiente. Sarà una bella e grande sfida da affrontare!

Stranamente, quando sono arrivato a Finisterre, all’ultima tappa del mio Camino de Santiago, e scrutando oltre l’orizzonte di questa “fine della terra al tempo del Medio Evo, non mi era mai balenata l’idea che avrei dovuto varcare i mari e andare esattamente oltre l’orizzonte di questo continente Europeo per incontrare un’altra terra e un altro continente: quello Americano. La mia nuova missione era là!

Quando, dopo esser stato assegnato là, ci ho riflettuto, mi è venuto da sorridere perché davvero il destino sembra nelle nostre mani ma poi … il Signore ha i suoi piani e tempi. Li prepara nel tempo, e al momento giusto fa assaporare un po' per volta quale sarà il prossimo passo di vita e di missione futura. Non so come sarà e chi incontrerò né  come andrà veramente in un altro continente in un mondo totalmente diverso, nella cultura, nello stile, nel modo di vita e di pensare. Ma ci vado con fiducia e fede nel Signore perché so che Lui mi ha sempre aperto strade e posto sulla mia strada persone preziose e sante, capaci di orientarmi e testimoniarmi che Lui mi ama e ci ama. E continua ad amare questo mondo, questa Creazione che è stupenda e tutti i popoli hanno una parte della Sua immagine. Quindi…..andiamo e ascoltiamo…..poi si vedrà! Ma sempre con lo stesso spirito di pellegrino che ho vissuto in Africa e ovunque!

Partirò il 18 Luglio per Madrid per due mesi di studio della lingua spagnola, perché negli Stati Uniti  ci sono milioni di Latino americani, e nelle varie Chiese e nella vita comune lo spagnolo è usato moltissimo. Inoltre, mi servirà comunque per il mio lavoro. Tornerò in Italia alla fine di settembre per presentare il libro che pubblicheremo fra poche settimane e farò un giro per un mesetto per fare vari incontri presentando il libro sul Sud Sudan. Spero magari di rivederci in qualche incontro organizzato per salutarci. Alla fine di ottobre o agli inizi di novembre partirò per gli USA.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NEL CUORE DELLA BESTIA…

Ora ti saluto con grande amore e calore. Ti ho raccontato molto di me e di tante cose scoperte in questi ultimi mesi. Son certo che mi porterai ancora una volta nella tua preghiera, nella tua amicizia e nel tuo ricordo. Ti lascio come al solito i miei indirizzi e riferimenti nel nuovo continente. Magari ci si vedrà là! I primi sei mesi, li vivrò a Washington con l’organizzazione AFJN che mi aiuterà ad introdurmi nel mondo americano sociale, politico, culturale, economico e tanto altro. E soprattutto, nella vita sociale della gente comune e dei poveri, anche della Chiesa Americana. Poi ti scriverò di là come sarà iniziata la mia nuova missione nel “cuore della bestia” come dice il mio grande amico e confratello Alex Zanotelli. Ha pienamente ragione, perché tante decisioni e strategie politiche e finanziarie per il mondo vengono decise e attuate proprio lì nel disumanizzare il mondo e i suoi stupendi popoli.

Quindi forza e coraggio! La missione continua per me ma anche per te…..non ti preoccupare! Lui ci darà la forza di lavorare e servire come Lui vuole!

Munguakubariki (Dio ti benedica) e davvero che sia un MONDO DI AMANI (Pace vera)!

                                                                                                                            

Padre Daniele Moschetti, MCCJ

Castiglione Olona, 9 Luglio 2017

 

 

Il mio nuovo indirizzo sarà:

  1. DANIELE MOSCHETTI

Comboni Missionaries

St. Lucy Church  -118 7th Avenue

NEWARK, NJ 07104-1803 (USA)

tel. +1-973/803 4200  (telefono comunità)

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+39 345 8710005   numero italiano


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